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Simeoni ha un ultimo sogno

Dopo aver conquistato a sorpresa la maglia tricolore, il campione ritrovato a 37 anni allunga lo sguardo verso Varese: "La maglia azzurra sarebbe il massimo, ma forse chiedo troppo..."

Filippo Simeoni, 37 anni, festeggia nel suo tabacchino a Sezze. Ansa
Filippo Simeoni, 37 anni, festeggia nel suo tabacchino a Sezze. Ansa
MILANO, 30 agosto 2008 - Due mesi fa Filippo Simeoni era, per dirla con le sue parole, "un cicloturista". Proprio così: un cicloturista di Sezze, nel Lazio. "La mattina mi allenavo, ma tranquillo. E il pomeriggio lavoravo. Un bar-tabacchi, aperto nel 2003, con mio cognato Roberto Rossi e i risparmi di una vita. E un tabacchi-articoli da regalo, inaugurato nell’inverno 2006, sempre con mio cognato Roberto e con i risparmi di una carriera. Finché...".
Finché?
"Campionato italiano, a Bergamo. Sole, caldo, circuito, duro, con una salita, poi però discesa e pianura, che permettono di rientrare. Rientro. Poi attacco. A pochi chilometri dal traguardo. Ci do dentro, tutto quello che ho. E aspetto che da un momento all’altro vengano a prendermi. Invece no. Ultimo chilometro, ultimi 500 metri, ultimi 100, ultimi 10. Mi volto. Ce la faccio. Mani al cielo".
A 37 anni.
"Nel 2007 la prima corsa è stata anche l’ultima: il Laigueglia. Poi non mi sembrava giusto correre senza stipendio. Va bene la passione, ma non si vive solo di quella. Però non mi sembrava neanche bello finirla così, per il fallimento della squadra. Dentro di me sentivo una vocina che continuava a dirmi: va’ avanti, va’ avanti".
Infatti.
"Avevo in ballo qualche trattativa, ma la Flaminia mi ha cercato, corteggiato, fatto sentire importante. E ho ricominciato, tentando di ripagare la fiducia. Dunque: la mattina mi allenavo, ma tranquillo, e il pomeriggio lavoravo. E poi correvo. Fino al campionato italiano".
E la vita è cambiata?
"La maglia tricolore ti cambia fuori, e un po’ anche dentro. Dalla gente ricevi un calore che non ti aspetti: riconosciuto, chiamato, invocato, pregato di regalare un autografo o di posare per una fotografia. C’è chi mi dice 'ti saluta Armstrong', perché della questione con Lance se n’è parlato anche troppo. Ma c’è anche chi si ricorda delle mie due vittorie alla Vuelta, la prima oltrepassando il traguardo a piedi con la bicicletta tenuta fra le mani".
Chissà a Sezze.
"Quando sono tornato al paese, le colonne fuori dal bar erano verniciate in bianco, rosso e verde. Gli amici del bar mi hanno regalato due specchietti retrovisori, di quelli che si mettono sulle bici da bambino. Sostengono che mi giro troppo indietro, e invece così posso puntare diritto al traguardo. Ma quello che più mi ha emozionato è stata la proposta dell’Avis".
Noleggio di auto o del sangue?
"Associazione volontari italiani sangue. Di solito il sangue dei corridori è sospetto, a volte perfino infetto. Invece il mio è stato preso come testimone di una campagna per promuovere le donazioni. Lo facevo già da un anno, e avevano visto che il mio esempio aveva creato un certo interesse. Sezze ha 25 mila abitanti, e forse 5 mila famiglie. In ogni famiglia verrà presto distribuito un volantino con la mia immagine e il mio messaggio: 'Corro per la vittoria, dono per la vita' ".
L’avrebbe mai detto?
"Quando si comincia a correre, si comincia anche a sognare. E io ho sognato per quasi 30 anni. Io sono salito in bici da bambino, per la Salus di Seregno. Recentemente, al Trittico lombardo, c’erano i bambini della Salus, schierati, in divisa, i colori identici a quelli dei miei tempi: giallo-blu. Ho fatto una foto-ricordo con loro. E poi sono venuti anche dei ragazzi - degli ex-ragazzi - con cui correvo da piccolo. E mi hanno portato una vecchia foto, dove c’ero anch’io".
E adesso?
"Domenica c’è il Giro del Veneto. Una corsa affascinante. Arrivai terzo nel 1998. Stavolta non prometto nulla, se non cercare di onorare la maglia tricolore. Non è facile. Quando si è in giornata-no, si sale in macchina e si va al traguardo. Ma con questa maglia non si può. E se proprio non se ne può fare a meno, mi devo nascondere".
E poi?
"Mi piacerebbe conquistare, dopo la maglia tricolore, anche quella azzurra. Ma forse esagero, forse chiedo troppo".
E il prossimo anno?
"Il ciclismo richiede dedizione totale. E non so se posso garantirla ancora. Credo che nessuno si sia mai ritirato dall’attività con la maglia tricolore addosso. Ma io sono un tipo originale. Però...".
Però?
"Però ho capito una cosa. Che il successo è pericoloso. Se ti piomba addosso quando hai 20 o 25 anni, rischia di travolgerti. A meno che non si abbiano un’educazione, una famiglia, dei valori. A 37 il successo te lo gusti fino in fondo, ma rimani con i piedi per terra. Perché distingui al volo chi ti vuole bene da sempre da chi ti vuole bene solo da adesso, e chi ti vuole bene da chi dice di volerti bene".

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