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Fumagalli studia da grande

Ha iniziato con una Viner, taglia 16, piccola e da corsa. Adesso si allena con Freire, Basso, Garzelli, Andriotto, Zanini e la Cantele: "Dicono che sia un limatore, uno di quelli che cerca di risparmiarsi il più possibile sfruttando il lavoro degli altri, e poi dà battaglia"

Cristiano Fumagalli, 23 anni, corre con la Flaminia-Bossini
Cristiano Fumagalli, 23 anni, corre con la Flaminia-Bossini
MILANO, 17 gennaio 2008 - Una Viner: bianca, piccola, da corsa. Una 16, forse. Roba da bambini. Cristiano Fumagalli era un bambino: aveva nove anni, si era appassionato alla biciclettina vedendo le biciclette dei grandi. A Varese, o giù di lì — la famiglia Fumagalli viene da Dovese, una frazione di Arcisate — la bici è di casa, di lavoro, di patria.
E con quella biciclettina?
"La prima corsa, che non ho finito per la paura. La seconda corsa, poi la terza, la quarta, la quinta finché è arrivato il giorno in cui sono giunto con i primi. E da quel momento non ho più smesso".
La prima vittoria?
"Un anno dopo, campionato provinciale G4, categoria giovanissimi. Al traguardo da solo. A quel tempo mi capitava. Ed è continuato a capitarmi anche da allievo e junior. Poi è diventato più difficile. Già da junior e poi da dilettante ho vinto in volata in gruppetti ristretti. In tutto una cinquantina di vittorie".
Mai un dubbio fra ciclismo e scuola?
"Ho finito un corso di formazione professionale come perito meccanico, ma di passione poco o niente. Invece il ciclismo mi ha affascinato. C’è stato un momento, però...".
Che cos’è successo?
"Volevo smettere. Ero dilettante. Prima la mononucleosi, poi il servizio militare. Lontano dalla bicicletta, stava passandomi la voglia. Per mia fortuna c’è stato un incontro importante".
Con chi?
"Mirko Rossato, del Team Parolin. Mi ha detto: ’Se vuoi, da qui in poi ti insegno il mestiere’. Ho fatto il Valle d’Aosta, poi il Giro della Toscana. Chilometri, salite, avversari. Abbiamo gettato le basi, ne sono uscito in buone condizioni, e via".
Via dove?
"Via verso altre avventure. Mirko mi diceva: ’Se hai doti, un giorno emergeranno’. E mi ripeteva: ’Tranquillo, sereno’. E si raccomandava: ’Lavora’. E avvertiva: ’Oltre il ciclismo c’è un’altra vita’".
Cioè?
"Non si vive di solo ciclismo, neanche se il ciclismo ti occupa buona parte della giornata. C’è la vita quotidiana, fatta di rapporti, ma umani, più importanti. Una vita meno stressante e a volte anche più divertente di quella del corridore. Quando Rossato mi vedeva un po’ giù, cercava di tirarmi su. E allora si andava a mangiare insieme, veniva ad allenarsi insieme, e dopo una corsa ripercorreva —a memoria e a parole — la strada fatta".
Insomma?
"Più che un tecnico, un amico, quasi un fratello maggiore".
Intanto?
"Lo scorso anno ho debuttato, da stagista, fra i professionisti. La prima corsa a Camaiore. Ero un po’ nervoso e preoccupato. I tecnici mi hanno detto: ’Fa’ quello che riesci’. Non ci ho pensato tanto su. Alla prima fuga, mi sono buttato dentro. C’erano anche Nibali, Di Luca, Paolini... Ho sofferto tantissimo: c’era il Monte Pitoro, non granché, ma fatto a 40 all’ora c’è da morire. Tant’è che, quando siamo stati ripresi, mi sono fermato. Non ne avevo più".
Poi?
"Giro del Lazio: finito. Tre Valli Varesine: fermato con tutto il gruppo, un’alluvione biblica, un diluvio universale. Infine la Bernocchi: 160-170 km di fuga prima in tre, poi in due, ripresi negli ultimi 10 km, arrivato sfilato".
Ha del coraggio.
"Forse dell’incoscienza. Soffro le salite lunghe e le corse monotone. Finché sono salite di 5-6 km, me la cavo, ma quando sono di 27 come il Grappa, a un certo punto mi sento come se trascinassi un rimorchio. Succede sempre così: prima mi chiedo come mai non vado, come mai non sono come loro, gli altri, quelli davanti, poi mi rispondo che questi sono i miei limiti, quindi decido di arrendermi, infine cerco di perdere il meno possibile".
Come si fa?
"Stringo i denti. Quando stringi i denti, si contraggono i muscoli della faccia, poi quelli delle braccia, della schiena... Sei al limite. Ed è lì che saltano fuori la grinta, l’orgoglio, la fame, la voglia".
E contro la monotonia?
"C’è solo un segreto: rendere la corsa più dura. Dicono che sia un limatore".
Limare la ruota significa succhiarla.
"Esistono diversi tipi di limatori. I principali sono due: il primo è quello che succhia le ruote tutto il giorno e poi fa la volata. Il secondo è quello che cerca di risparmiarsi il più possibile sfruttando il lavoro degli attaccanti o dei difensori, e poi dà battaglia. Io farei parte di questo secondo genere".
E a chi s’ispira?
"Un corridore che mi è sempre piaciuto è l’olandese Boogerd. Ma spero di poter essere più veloce di lui. Cerco di imparare e copiare dai corridori con cui spesso mi alleno. La classe di Freire, la professionalità di Basso, la tenacia di Garzelli, l’allegria di Andriotto, l’esperienza di Zanini, la forza di Nardello, la grinta della Cantele".
Si allena con lei?
"Non solo. Qualche volta Noemi mi stacca. Meno male che non succede spesso, altrimenti avrei appeso la bici al chiodo".
A proposito: e la sua vecchia biciclettina Viner?
"L’ha usata un mio cuginetto negli esordienti. E ha rischiato di usarla mia sorella quando voleva cominciare a correre. Comunque c’è, in garage, appesa. La prima bici non si scorda mai".

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