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Spadi, ciclista fai da te:
il postino tirava la volata

A 6 anni aspettava il portalettere e lo seguiva per tutto il paese. Passato alle corse, ha vinto subito. "Da professionista è più difficile, un successo all'inizio e poi niente in tre anni. In fondo, sono contento anche così"

Manuele Spadi, 26 anni, professionista dal 2005. Archivio
Manuele Spadi, 26 anni, professionista dal 2005. Archivio
MILANO, 6 gennaio 2008 - Il postino non doveva neanche suonare. Manuele Spadi lo aspettava fuori di casa, puntuale, la mattina alle 9, poi s'incollava alla sua ruota e lo seguiva. Davanti il postino, su un vespone, e dietro Manuele, su un biciclettino. Casa dopo casa. Finché, dopo una settimana, il postino — più stupito che seccato — gli fece: "Ma perché non corri?". In una settimana fu fatto tutto: foto, certificato, tesserino e iscrizione. Poi la prima corsa: vinta. Manuele aveva sei anni. Pane e ciclismo? "Da noi è così. Le strade sono invase da corridori, raccontano corse, tramandano tappe: sanno di ciclismo. A ogni fontana ci sono almeno un ricordo e una leggenda. La mia è la zona del Bottegone in cui correva Moser, di Ballerini e di Tafi, dei corridori toscani e di quelli adottati, degli amatori e dei professionisti. La mia — abito a Casenuove, in provincia di Pistoia — è la zona del San Baronto".
Il tempio del ciclismo?
"Una salita che ha la sua storia. Se ci fate caso, dalla parte di Lamporecchio, c’è il mio cognome scritto a caratteri giganti. È stato mio zio Claudio. Tre anni fa, il giorno del Gran premio di Larciano, si è armato di barattoli e pennelli e mi ha immortalato sull’asfalto. Scoperto, ha beccato anche una multa. Ma le scritte rimangono indelebili. O le ha ripassate, o ha usato una vernice speciale. Lo zio Claudio è proprio sfegatato: in corsa, sul San Baronto, lo sento urlare già da cinque o sei tornanti sotto".
Tre anni da professionista, una vittoria.
"Il primo anno, al Giro del Medio Brenta. Inizio piatto, poi montagne e selezione. Rimaniamo in sette o otto. In cima all'ultima salita cado, spacco la bici, risalgo, rientro. Faccio la volata tranquillo, perché quello che ho da perdere l'ho già perso. Con il 14, figurarsi. Eppure a 20 metri ho già vinto. Ricordo di essermelo anche detto: 'Incredibile'".
Poi?
"Piazzamenti. Il ciclismo è sport duro, anche da digerire: partecipare non è da tutti, arrivare non è mai scontato, a piazzarsi ci riescono in pochi, a vincere uno solo. Sotto la doccia, in albergo, a casa, ci puoi sempre ragionare su: se avessi fatto questo, se fosse successo quello, se se e se. Ma la verità è che da allora ho visto vincere sempre qualcuno davanti a me".
Dispiaciuto?
"Tutto sommato, in fondo in fondo, sono contento anche così. Mi stimo, ma non ho particolari ambizioni, per me è già un sogno realizzato quello di vivere da professionista. Per diventare corridore ho smesso di fare tutto, anche la scuola. Dopo la terza media i miei genitori mi hanno fatto scegliere, poi mi hanno dato fiducia".
E la vita del corridore?
"Andare a letto alle 10 di sera non mi pesa, svegliarmi e saltare sulla bici e farmi cinque tre o quattro ore di allenamento è un piacere. Ma sì, è bella la vita del corridore. I miei amici, che non fanno i corridori, non sono mica tutti soddisfatti: magari vanno a letto alle 3 di notte, ma poi alle 7 si devono alzare e timbrare il cartellino in ufficio o in fabbrica. In più io giro il mondo".
Dove?
"Non solo Francia e Spagna. Da dilettante anche in Venezuela, Uruguay e Ungheria. Da professionista anche in Portogallo, Polonia e Repubblica Ceca. Mia madre dice: 'Questa casa non è un albergo'. Ma io vivo con la valigia pronta. Quasi pronta. A dire il vero, neanche la disfo. Cinque minuti prima di uscire di casa tolgo qualche panno sporco, ce ne metto qualcuno pulito, aggiungo il rosario e un libro di preghiere, e via".
Religioso?
"Non esiste un dio del ciclismo, esiste un Dio per tutti. Non ho mai pregato per vincere, ma che non mi succedesse nulla. A parte comunione e cresima, avevo 14 o 15 anni quando sono andato per la prima volta in chiesa con coscienza a pregare. Alla prima corsa, dopo 7 chilometri, una macchina mi ha centrato a 70 all'ora. Non ho avuto neanche il tempo di frenare. E l'impatto è stato così violento che sono stato sbattuto a 100 metri di distanza".
Risultato?
"Non mi sono fatto niente, non sono dovuto andare neanche all’ospedale. Non ho pensato: è stato il diavolo. Ho pensato: il Signore mi ha mandato un segnale. Divino e stradale".
Spadi, il programma di oggi?
"Si esce. D’inverno alle 10, d’estate alle 9. Tra professionisti, dilettanti e amatori, è sempre un bel gruppo. Si sceglie un percorso, si pedala di gusto, a un certo punto ci si ferma in un bar e, quando si risale in sella, vale la regola Bartoli: a tutta. Chi rimane staccato, non rientra più".
E l'obiettivo di domani?
"Il mio campionato del mondo è sempre il gran premio di Larciano. Nel 2005 avevo la febbre, nel 2006 una tendinite, nel 2007 mi sono piazzato decimo. Nel 2008 vorrei vincere. Sento già lo zio Claudio urlare su un tornante del San Baronto".

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