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Bindi, colpa del vicino di casa

Abitava vicino alla moglie di Ballerini e la passione per i successi del futuro c.t. l'hanno trscinato in sella. Ora che è approdato alla Lampre può sognare: "Sceglierei di vincere all’Olimpiade. Ma ci vorrebbe un’altra bacchetta magica: per poter essere selezionato"

Emanuele Bindi ha iniziato a correre nel 1987, passando professionista nel 2006 con Otc Lauretana,
Emanuele Bindi ha iniziato a correre nel 1987, passando professionista nel 2006 con Otc Lauretana,
MILANO, 1 gennaio 2008 - Quando Sabrina s’innamorò di Franco Ballerini, e Franco Ballerini s’innamorò di Sabrina, la vita del vicino di casa (di Sabrina) Emanuele Bindi prese un'altra piega. Inevitabilmente ciclistica.
Quanti anni aveva?
"Sei. Ballerini era ancora dilettante, nella Magniflex. Figuratevi quando è passato professionista, e poi ha cominciato a vincere, e a rivincere, la Parigi-Roubaix".
Casa a Cantagrillo, prima società a Casalguidi.
"Quella zona della Toscana vale come le Fiandre nel Belgio. Si respirano pedali e tubolari. La prima corsa cui ho partecipato era una gimkana, proprio a Cantagrillo. Un percorso segnato da birilli e complicato da prodezze come prendere una borraccia piena di acqua da un tavolino e trasportarla, senza cadere e senza farla cadere, su un altro tavolino. Vinceva chi lo avrebbe fatto nel minore tempo possibile e senza penalità".
Chi ha vinto?
"Incredibile: io. Indossavo una maglia bianca, pedalavo su una Fanini, telaio 22. A pensarci adesso, l'idea di trasportare una borraccia sembra riservata a futuri gregari. Ma allora si era piccoli, e a questi dettagli non ci si pensava".
Poi?
"Si passava a brevissime corse di due o tre chilometri, da fare in circuito. Mi divertiva. Devo essere sincero: la bicicletta mi ha sempre divertito molto di più della scuola. E a essere ancora più sincero: più passava il tempo, meno passione avevo per la scuola. Alle superiori ho scelto ragioneria, solo perché lì c’era la maggiore concentrazione di ragazze belle. Comunque, alla fine, nonostante le ragazze belle, erano più i giorni in cui non andavo a scuola di quelli in cui andavo".
Allora?
"Ho chiamato babbo e mamma e ho detto loro che non volevo prenderli per i fondelli. Avevo 17 anni. Il giorno stesso sono andato in ritiro con la squadra".
E lì niente ragazze.
"Macché. Eravamo a San Gimignano, ed era pieno di turiste. Ma buone solo da guardare. Il corridore può guardare ma non toccare. Nel frattempo ero passato dalla Polisportiva Milleluci di Casalguidi all’Arianna Rimor di Primo Mori. Poi sono stato con la Finauto di Luca Scinto e nella Grassi. Quindi sono passato professionista nella Otc Doors Lauretana, poi nella Universal Caffè".
Il ciclismo è un’altra scuola?
"Insegna a stare lontani da casa, gestirsi da soli, imparare la disciplina, sperimentare la sofferenza".
Una specie di servizio militare?
"Per fortuna c’è anche il divertimento. Mi sono sempre divertito a stare in bici, allenamento e corsa. E poi il ciclismo ti offre la possibilità di girare il mondo. Francia, Spagna, Germania. Sono stato anche in Estonia. Era maggio e faceva un freddo cane. Però la gente era cordiale, un sacco di italiani, lavoravano in alberghi, ristoranti e bar. E le estoni: bellissime, su 100 le belle erano 100. Ma anche lì: solo viste, mai sfiorate".
Due anni da professionista.
"Il primo anno non andavo, poi ho scoperto di avere la mononucleosi. Ricordo una tappa al Giro del Trentino, quella di Cles, vinta da Cunego. Sono arrivato dopo mezz’ora, cotto. Lo scorso anno sono stato travolto in allenamento da una macchina che non aveva rispettato uno stop. La guidava un turista francese, e non conosceva quelle strade. Sono rimasto tre giorni in coma, ma per fortuna nessuna frattura".
Quest’anno è nella Lampre.
"Il massimo del professionismo. L’ho capito dal primo ritiro. Visite mediche, prove di abbigliamento, test di strumenti, bici su misura, colloqui con gli esperti dell’Uci. E i compagni. In camera con Tiralongo, un privilegio riservato finora a Cunego. Abbiamo chiacchierato. Pensavo che mi regalasse qualche segreto. Invece mi ha detto: 'Apri gli occhi, capirai da solo'".
Obiettivi?
"Ripagare la fiducia. Fare bene. E chissà, magari vincere. Il debutto dovrebbe essere al Tour Down Under, in Australia. Un privilegio. Quanti ragazzi della mia età possono andare dall’altra parte del mondo?".
E se avesse una bacchetta magica?
"Sceglierei di vincere all’Olimpiade. Ma ci vorrebbe un’altra bacchetta magica: per poter essere selezionato".
Che fascino ha l’Olimpiade?
"È una corsa che vale una vita. Entri nella storia. E poi i Giochi olimpici mi fanno impazzire: starei tutto il giorno a guardare in tv le gare di atletica, nuoto, anche sci".
Niente calcio?
"Di calcio sono malato. Milan, ovviamente. C’è una sola squadra al mondo".

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