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Miorin: staccarsi e pensare
"Ma non è meglio il tennis?"

Il corridore della Nippo: "Quando arranchi da solo o ti nascondi nel gruppetto, pensi che sia meglio lavorare in miniera. Poi arrivi al traguardo e quei pensieri lì scivolano via"

Devis Miorin, 31 anni, correrà con il Team Nippo
Devis Miorin, 31 anni, correrà con il Team Nippo
MILANO, 21 dicembre 2007 - Il suo eroe: Luca, il fratello, tre anni di più, neanche male come risultati. Il suo cavallo: una Iride, rossa rame, manubrio all’ingiù, ereditata da qualche ragazzino passato di taglia. E le sue avventure: corse, gare, sfide, qualsiasi pronti-via a due ruote. Poi Luca, ancora junior, ha smesso, e l’Iride è stata passata ad altre generazioni, ma le avventure sono rimaste. Venticinque anni dopo (adesso ne ha 31), Devis Miorin da San Vito al Tagliamento, aria di fiume e mare, residente a Concordia Saggitaria, aria di mare e laguna, non fa che correre. Professionista dal 2000. "Ero felice. Un sogno trasformato in realtà. Anche emozioni, rispetto e timore. Nel gruppo la voce del padrone era quella, tonante, di Cipollini. Se non facevi cazzate, nessun problema. La cazzata era, per lui, scattare. Per fortuna mi è capitato poche volte. Oggi, nel gruppo, manca uno che faccia la voce grossa come Cipollini".
Nel 2002 la prima vittoria.
"Prima e unica. La prima tappa dell’Uniqa Classic, in Austria. Mai avrei pensato di vincerla. Partenza, parte una fuga, in una ventina. Se ci fosse stato Cipollini, chissà come avrebbe alzato la voce. Più passano i chilometri, più si sgrana il gruppo. Rimaniamo in cinque. Scatto all’ultimo chilometro, gli altri si guardano, io guadagno 5 secondi, la tappa e la maglia. E sei o sette miss: bionde e more, tutte belle. Quella corsa era organizzata da una donna, secondo me un’ex miss, che sul podio ne portava tante e affascinanti".
La vita da atleta è vacillata?
"Quando sei in corsa, non si può. Ti dici: tanto, dopo, c’è tutto il tempo. Dipende anche dal carattere: c’è chi tacchina sempre, chi invece chiede il numero di telefono e, a corsa finita, chiama. Io faccio parte di questo secondo genere, diciamo più tranquillo. Di solito, però, quando chiami, è già troppo tardi".
In carriera ha collezionato altri podi.
"Al Giro di Malesia: fuga a due, volata, secondo. Al Giro della Cina: fuga a tre, volata, secondo. All’Istrian Spring Trophy: fuga a due, volata, secondo. E tre terzi posti ai Paths of King Nikola".
Dove si corre?
"In Montenegro. Una corsa da fare e poi da dimenticare. Prima tappa, 200 chilometri, 3 gradi, terzo posto. Andiamo in albergo: non solo non c’era l’acqua calda, pazienza, ma neanche quella fredda. In compenso in camera mancava il riscaldamento, c’era una stufetta ai limiti — probabilmente oltre — della sicurezza, ma siccome eravamo in tre, almeno si creava un po' di calore umano. La mattina dopo, a colazione, solo tè e pane. Siamo dovuti andare in un supermercato a comperare caffè e cioccolata. Però i percorsi erano belli, i posti stupendi anche se trascurati, e c’erano perfino gli spettatori".
Che ciclismo è?
"Tedeschi, polacchi, ungheresi, greci, russi... Quattro o cinque corridori forti, da ProTour, gli altri un po' allo sbando, in tutto un centinaio".
Nel 2006 un terzo posto anche al Giro della Serbia.
"Organizzato meglio. Strade belle, paesaggio stupendo e tanta gente. Ma anche lì occhio al mangiare: niente carne e verdura, solo pasta e pane".
Quest’anno?
"Non benissimo. Fino ad aprile-maggio ho fatto solo cinque corse. E senza corse, non prendi la gamba giusta. Nel finale di stagione arrivavo non con i primi, ma subito alle spalle. Un quarto posto in Lussemburgo".
Per arrivare con i primi?
"A saperlo... Per allenarmi, mi alleno. E non è questione di fortuna o sfortuna. La sfortuna ti può far andare di traverso una stagione, non otto. La fortuna aiuta a piazzarti. La corsa è un divertimento, che diventa sfida prima con se stessi e poi con amici-nemici. La sfida con se stessi sta nel migliorarsi, cioè spingere i limiti un po' più in là".
Chi pone questi limiti?
"Innanzitutto la natura, poi la testa, infine le gambe. Perché è la testa che dice alle gambe di mollare. Ciclismo significa saper conciliare divertimento e sofferenza. E questa capacità o ce l’hai dentro o non la impari".
Mai pensato: meglio il tennis?
"Quando ti stacchi, quando arranchi da solo o ti nascondi nel gruppetto, pensi non solo che sia meglio il tennis, ma anche lavorare in miniera. Poi arrivi al traguardo, guadagni l’albergo, e se c’è l’acqua, meglio se calda, quei pensieri lì scivolano via".
Miorin, se non avesse fatto il corridore?
"Sono perito elettronico, ma forse avrei provato altri sport. Oppure mi sarei guardato intorno e avrei cominciato a lavorare. In bici c’è tutto il tempo per guardarsi attorno, ma non ho ancora trovato un lavoro ideale. Finché ci sono la voglia della bici, e la voglia c’è, e un contratto, e il contratto c’è, pedalo e mi guardo attorno".
La sua è terra di vino.
"Terra di Tocai. A mio padre piace vendemmiare, a me, in compagnia, brindare".
Meglio una consulenza da perito elettronico o un’avventura sul Piancavallo?
"Il Piancavallo. Ma in discesa. O anche in salita, però a cronometro fermo".
Obiettivi del 2008?
"Il calendario italiano, il Giro della Serbia e, siccome il nostro sponsor Nippo è giapponese, Giro del Giappone, Giro di Hokkaido e Japan Cup. In Giappone non ci sono ancora stato: sono curioso. Ma sarei curioso di correre anche il Giro del Marocco o dell’Egitto o del Burkina Faso".

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