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Professionista a Napoli
D'Aniello spiega come si fa

"Quindici chilometri nel traffico per uscire dalla città, altri quindici per rientrare, ma alla nostalgia di casa non si resiste: mi trattano troppo bene..."

Antonio D'Aniello, 28 anni, professionista dal 2004
Antonio D'Aniello, 28 anni, professionista dal 2004
MILANO, 16 dicembre 2007 - Lui dice che vivere nel centro di Napoli è anche allenante: allena a evitare le automobili assassine e sfruttare la scia delle moto, allena a migliorare il colpo d’occhio e l’abilità di guidare, allena l’istinto e lo spirito di sopravvivenza. Antonio D’Aniello è napoletano di Marianella: "Quindici chilometri di traffico per uscire dalla città: lo chiamo riscaldamento inquinante. E altri quindici di traffico per tornare a casa: lo chiamo defaticamento intossicante. Ma tutto quello che non ammazza, si sa, ingrassa".
D’Aniello, un professionista a Napoli: un miracolo o un miracolato?
"Non è che la bici mal si concilia con Napoli: non si concilia proprio. Tant’è che si deve emigrare. C’è chi emigra con la valigia, chi con la bici. Un po' per gli allenamenti, un po' per le corse. Io, due anni a Piacenza, due in Toscana, poi in Veneto e in Lombardia. E che nostalgia. Quando sei a casa, tutto ti sembra brutto. Ma quando sei lontano da casa, tutto ti sembra bellissimo. Però, se hai un sogno, sopporti anche la nostalgia".
Qual era il sogno?
"Correre, volare, insomma pedalare. Fin da piccolo. Papà Ciro, prima dilettante, poi amatore. Mio fratello Salvatore, prima dilettante, adesso ciclista nel senso di un negozio di bici da corsa con mio padre. E mio fratello Vincenzo, anche lui dilettante. Ho cominciato per gioco, poi il gioco è diventato passione, e la passione si è trasformata in professione. Andavo a scuola, ma lì la passione non c’era proprio. A 15 anni ho smesso, dopo quattro o cinque ho ricominciato e mi sono diplomato ragioniere, perché un titolo, anche se non è nobiliare, ha sempre il suo valore".
Poi, però, è tornato a Napoli.
"Vivo in casa dei miei genitori. Mi trattano troppo bene. Mangiare e bere, dormire. I genitori si lamentano sempre: questa casa non è un albergo. Poi però gli fa anche piacere avere i figli vicino".
Il ministro Padoa-Schioppa sostiene che chi vive in casa è un bamboccione.
"Io sono tornato a casa, ed è una cosa diversa. Ma il ministro dovrebbe sapere che vivere in casa sarà facile, viverci bene è difficile. E io ci vivo bene".
La sua ragazza è d’accordo?
"Ci siamo fidanzati 10 anni fa. Ho promesso che, alla prima vittoria da professionista, la sposerò. Finora il matrimonio l’abbiamo sfiorato: due volte secondo, poi tutti i piazzamenti fino al decimo posto. Quest’anno poi, al Cct in Portogallo, avevo già vinto quando mi si è rotta la catena".
Che tipo di corridore è?
"Scattista. Da percorsi brevi, da salite brevi, da strappetti, da volate di gruppetto. Ho perfino un fan club, una trentina di amici cicloamatori che si allenano con me nei giorni di scarico. Organizzatissimi: sede nel negozio D’Aniello, maglie D’Aniello, gite e cene, riunioni e granfondo, anche la Nove Colli".
La sua giornata sì?
"Campionato italiano elite nel 2003. Fuga in cinque, arrivo a Saltara, in Romagna, su una salitina, scremati, vinto".
La sua giornata no?
"Giro dell’Austria 2006, arrivo in salita, quota 2800 metri, metà luglio ma arrivò una bufera, di freddo e di neve: ero tra i primi 20, giunsi penultimo, un pezzo di ghiaccio. Il team manager Tozzi mi sollevò dalla bici, mi spogliò, mi rivestì, mi salvò la vita. Il nome della montagna dove c’era il traguardo non me lo ricordo: la cotta me l’ha cancellato dalla memoria per sempre. Comunque il giorno dopo ripartii. E nevicava ancora".
Un traguardo che si possa raccontare?
"Il campionato italiano. Sarà per la maglia tricolore, ma quella corsa ha un fascino particolare. Quest’anno sono arrivato nono, ho forato all’ultimo giro, ma sono cose che capitano".
Una corsa che vorrebbe raccontare?
"Il Giro d’Italia 2008. Ho corso tre anni per la Miche, il prossimo sarà il secondo con la Flaminia. Finora gare del calendario italiano, ma niente Giro. Stavolta potrebbe essere l’occasione buona, ma non diamola per scontata, altrimenti poi ci rimaniamo male. Comunque all’inizio della stagione cercheremo di andare bene per meritarci l’invito".
Come si prepara?
"Quarantacinque giorni giù dalla bici, nel frattempo corse a piedi nel Bosco di Capodimonte, dove c’è il Palazzo Reale. Le non competitive non le faccio. Mi bastano gli allenamenti con i cosiddetti amici: vere e proprie competitive. E il giorno in cui smetterò di correre, preparerò la Maratona di New York. Adesso sono tornato in bici: 15 chilometri di traffico per uscire, 15 per tornare, il resto è fantasia, scoperte, avventura".
Per esempio?
"Un giorno esco con radio e cuffiette, telefono e portafoglio. Ma il telefono è scarico e il portafoglio vuoto. Alla radio ricordano che è un venerdì 17 e si raccomandano: a chiunque capiti una sfortuna, ci telefoni per raccontarla. A un centinaio di chilometri da casa, cioè nel punto più lontano del mio giro, foro la ruota anteriore. Mentre la sostituisco, va a terra anche quella posteriore".
E allora?
"Non mi rimane che entrare da un tabacchino, chiedere a credito una scheda telefonica, telefonare a casa e farmi venire a prendere. Quando mio padre viene a soccorrermi, pago il tabacchino e telefono alla radio per raccontare quello che mi è successo. A nessuno era andata peggio".

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