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Proni e il ciclismo
questioni di famiglia

Il romano che è salito in sella per imitare papà e fratello, è ora il cognato della campionessa del mondo di Stoccarda, Marta Bastianelli. In proprio coltiva sogni e motti: "Qui nessuno regala mai niente"

La vittoria di Alessandro Proni al Giro di Svizzera. Reuters
La vittoria di Alessandro Proni al Giro di Svizzera. Reuters
MILANO, 10 dicembre 2007 - Ci sono dei filmini a testimoniarlo. Ritraggono un bambino di tre anni, l’espressione della felicità, appeso a una biciclettina speciale: minuscola, già da corsa, color verde speranza. Alessandro Proni l’aveva voluta a tutti i costi. Era cresciuto non nel mito di Moser e neanche di Bugno, ma in quello del babbo e del fratello. Solo che il babbo, dilettante, e forte, doveva passare professionista, poi preferì un posto sicuro in un ospedale. Solo che il fratello, dilettante, doveva andare a correre per una squadra di Milano, e invece le ragazze, si sa, e allora più niente. Ma a tenere alto l’onore della famiglia Proni — tranquilli — c’era lui.
- Pronti, via?
"Le prime garette a sei anni. Categoria giovanissimi. Un paio di chilometri, su strada. Se non vincevo, piangevo. Ma 10 su 12, all’anno, le vincevo. Roma, quartiere Portuense: per allenarmi, avevo bisogno della scorta di mio padre. In macchina mi proteggeva. Facevo giretti di cinque o sei chilometri, in strade senza traffico, poi lui mi costringeva a scendere dalla bici e io cercavo disperatamente di rimanerci su. Una lotta".
- Chi vinceva?
"Prima lui, poi io. Insistevo ad andare in bici. Studiavo e pedalavo, pedalavo e studiavo. Sempre con l’idea, un po’ fissa, un po’ ossessiva, di diventare corridore di professione. A 15 anni, primo anno da junior, sono andato a vivere e correre in Toscana. All’inizio a Lari, vicino a Pisa, gli ultimi due anni da dilettante a San Baronto. Intanto mi sono diplomato all’istituto tecnico-industriale in Elettronica e telecomunicazioni. E mi sono anche iscritto a Psicologia. Ma a quel punto ho dovuto scegliere: avevo la frequenza obbligatoria sia all’università sia nel ciclismo".
- San Baronto è un tempio del ciclismo.
"Correvo per la Finauto di Scinto e Citracca. Abitavo in cima alla salita, in una casa in affitto, a quel punto io, mia moglie Luana e la nostra figlia Rebecca. Anche lì il merito è stato del ciclismo. Un compagno di squadra mi chiedeva di andare ad allenarmi con lui, al paese suo, Lariano, una quarantina di chilometri da Roma. Prima ho scoperto che sua cugina era Luana, e poi ho scoperto che la sorella di Luana era Marta. Anche lei con la passione del ciclismo. E a volte, più che la passione, quasi un’ossessione. Non a caso è diventata campionessa del mondo".
- Marta Bastianelli?
"Lei. Spesso si esce insieme in allenamento. Ha una forza di volontà pazzesca, ha un senso del dovere militare, una forza di volontà da martire. Pensavo che, così, si è o campioni o malati. Marta è sempre andata forte, ma erano molti di più i piazzamenti delle vittorie. Un giorno le ho chiesto perché non provasse a partire prima dell’arrivo, senza aspettare la volata. Conquistato il titolo iridato a Stoccarda, al telefono mi ha detto: 'Ho fatto un’azione alla Proni'".
- Ci racconta un’azione alla Proni?
"Giro di Svizzera 2007. Via in tre. Il gruppo prima ci concede libertà, poi decide di riprendersela, e riprenderci. Ai piedi dell’ultima salita mollo i miei due compagni e tento di sopravvivere. Mai faticato tanto. Per darmi coraggio pensavo a Luana, a Rebecca, ai miei genitori, pensavo all’importanza di vincere una corsa, la mia prima corsa, una tappa, perdipiù di un grande giro. E, diciamoci la verità, pensavo anche alla possibilità di allungare il contratto. In pochi mesi di professionismo una cosa l’avevo già imparata a memoria: qui nessuno ti regala mai niente".
- E allora?
"Vinto, per soli 7 secondi. Quanto fosse importante, l’ho capito il giorno dopo: prima ero io che andavo a salutare tutti, poi sono stati gli altri a venire a farmi i complimenti. Ma quello sforzo mi è costato parecchio: un’infiammazione al tendine d’Achille. Avevo la maglia verde di leader della montagna, ci ho corso su, poi mi sono dovuto ritirare, fermare e riposare. Non ho potuto lasciare più nulla al caso: osteopata, plantare, modifiche alla posizione in bici".
Altre azioni?
"Tour du Picardie, in Francia. Prima un terzo posto. Poi fuga a due, uno strappo da Giro delle Fiandre nel finale, il mio ideale, da lì all’arrivo un chilometro e mezzo di discesa. Ragiono: tiro a tutta, se va male perdo la volata ma guadagno la maglia di leader. Ci azzecco a metà: perdo la volata, ma perdo anche la maglia di leader per colpa degli abbuoni. Insomma, una cavolata".
- Proni, il bello del ciclismo?
"Tour della Georgia, negli Stati Uniti: una festa popolare, con bambini e mamme, richieste di foto e autografi non perché ti conoscono, ma solo perché sei un corridore. A loro modo di vedere: una specie di eroe, a prescindere dai risultati".
- Il 2008?
"E’ cominciato presto, alla fine di settembre: dieta, palestra, bici, saune, stretching. Voglio partire forte. Farò il Tour Down Under in Australia e la Tirreno-Adriatico, il mio progetto è partecipare alla Sanremo, il mio obiettivo è correrla da protagonista, il mio sogno è vincerla. Prima o poi".

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