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Balducci è il "matto"
"Corro, ma non per soldi"

A 32 anni il velocista dell'Acqua & Sapone-caffè Mokambo sogna due obiettivi personali: la Milano-Sanremo e una tappa al Giro. "Se devo scegliere una ruota, meglio McEwen di Petacchi: ha colpo d'occhio e coraggio da vendere. Tanto ci buttiamo comunque"

Gabriele Balducci sul podio del Giro del Mediterraneo 2007. Afp
Gabriele Balducci sul podio del Giro del Mediterraneo 2007. Afp
MILANO, 23 novembre 2007 - Qualche anno fa, racconta "il Baldo", i professionisti della provincia di Pisa erano una quindicina. "Non c'era neanche bisogno di chiamarsi. Si usciva e ci si trovava. Adesso bisogna telefonarsi, mettersi d’accordo, darsi un appuntamento, altrimenti non ci s'incontra". "Il Baldo" è Gabriele Balducci, pisano di confine, a Santa Maria a Monte. Trentadue anni eppure, almeno a giudicare dalla crisi di vocazioni ad alto livello, già un'eccezione, una rarità, comunque un sopravvissuto del ciclismo inteso più come avventura che come mestiere, più come passione che come professione.
Balducci, un voto al 2007?
"Benone fino al Giro d'Italia, se considero la vittoria di tappa al Giro del Mediterraneo battendo Bennati. Bene al Giro d'Italia, se penso che l'ho cominciato in Sardegna con 38° di febbre. Meno bene poi, perché con il caldo mi sciolgo. Comunque bisogna aggiungere due secondi posti, tutti e due dietro a Petacchi, a Donoratico e nella tappa di Pinerolo al Giro, e quattro terzi posti".
Velocista: i segreti?
"Nessuno. Tutti sanno che ci vogliono gambe e testa. Molto ti aiuta l’esperienza. E' l’esperienza a farti capire quale sia la ruota migliore. Io, fra un McEwen che improvvisa e un Petacchi impostato e pilotato, di solito preferisco mettermi dietro all'australiano. Ha colpo d'occhio, coraggio da vendere, spirito di osservazione, prontezza di riflessi. Sa sfruttare il meglio. Se non sempre, quasi".
Lei è sempre stato velocista?
"Ho sempre vinto volate, fin dalle categorie giovanili. Ma vincere volate non significa essere velocisti, o soltanto velocisti. Quando si rimane in gruppi di 30 corridori, vuole dire saper tenere sulle salite".
Mai vinto per distacco?
"Da dilettante sì. Da professionista quasi. Tirreno-Adriatico, tappa di Sorrento, sul Picco Sant'Angelo siamo scollinati in cinque, ripresi all'ultimo chilometro, ho trovato le energie per vincere in volata. Ma quella la considero una vittoria da fuga".
Che cosa le manca per essere un Petacchi o un Bennati?
"Sarò sincero: innanzitutto il motore, poi la convinzione. Non ho mai trovato la sicurezza per essere competitivo in certe corse. Come se io stessi mi censurassi, mi frenassi. Una volta mi piacevano solo le corse in Belgio: finite quelle, finita la stagione. E prima di certe volatone, mi dicevo: se devo rischiare la vita per arrivare ottavo o nono, non ne vale la pena. Quest'anno, se non sbaglio, su 16 volate ho conquistato 11 piazzamenti fra i primi 10".
La gente dice: "il Baldo" è matto.
"Matto nel senso buono. Ma tutti i velocisti sono un po' matti, altrimenti sarebbero passisti. In volata, se c'è un buco, ci si butta senza esitare, senza chiedersi mai perché, frenando un attimo dopo gli altri. E se il buco non c'è, a volte ci si butta anche lì dentro. Che poi sia un pericolo, te ne accorgi dopo, quando ti rivedi alla tv. E se va male, all'ospedale. Se non avessi fatto il velocista, forse sarei diventato portiere. Non a caso, anche i portieri sono matti".
Se potesse scegliere una corsa?
"La Sanremo. Prima o poi, chissà. O forse no. Ma quest’anno le sono andato proprio vicino, l'ho sfiorata: settimo, primo degli italiani, a un metro dal podio. La mia Sanremo è una lunga, eterna attesa. Non rimanere staccato per giocarmela in volata. Il momento più terribile è sulla Cipressa: dopo il primo chilometro, devi tirare fuori tutto quello che hai, e anche un po' di più. Poi ti giri, vedi solo 50 o 60 corridori, ti sembra una liberazione, ti dici che è fatta. Il Poggio non è così duro, e non si affronta così alla morte, e poi a quel punto vai avanti per adrenalina".
Invece le salite alpine?
"Un incubo. Le faccio in gruppetto, risparmiando anche sul fiato. E mollo esattamente nel punto in cui, la sera prima, guardando la cartina, mi ero detto che avrei tenuto duro fin lì. Il Colle della Maddalena è un calvario, la Fauniera un'agonia".
Adesso, a 32 anni, che cosa chiede alla vita?
"Solo soddisfazioni personali. Non m'interessano guadagni, non m'interessa il ProTour. Ho in mente due obiettivi: la Milano-Sanremo e una tappa del Giro. E' una mia sfida, una sfida più con me stesso che con gli altri".
Già ricominciato?
"Camminate, palestra, nuoto, anche ciclocross. Sempre con il senso del piacere più che del dovere. Poi bici. Con i due Mori, Sabatini e Fornaciari. Se vuoi allenarti, devi chiamare "il Forna". Se andasse forte quanto si allena, nello stesso anno vincerebbe Giro, Tour e Vuelta".
Debutto?
"A Donoratico. Sarà una bella rimpatriata. Immagino che ci sarà anche Petacchi. C'è una storia fra di noi. E' il 1999, si corre il Giro del Lago Maggiore, gareggiamo tutti e due per la Navigare. Fuga a quattro: io e lui, Vainsteins e De Paoli. Sto bene. Chiedo a Petacchi se mi dà una mano. Lui mi risponde che non può, è in scadenza di contratto, ha bisogno di risultati. Allora, ribatto, ognuno fa la sua volata. Arrivo: primo io, secondo Vainsteins, terzo Petacchi, quarto De Paoli. A Chiasso i premi li danno subito. Appena lo ricevo, lo giro a Petacchi. Adesso, ogni volta che lo incontro, gli chiedo: 'Alessandro, me lo rendi quel premio? Mi farebbe così comodo!'".

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