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Corti jr, stelle e fatica

La carriera di Marco, figlio d'arte, è a un momento cruciale della sua carriera: inizia la sua avventura tra i pro', con un occhio ai libri di Astronomia. "Una passione recente, ma violenta"

Marco Corti, 21 anni, 55 vittorie nelle categorie minori. Bettini
Marco Corti, 21 anni, 55 vittorie nelle categorie minori. Bettini
MILANO, 18 novembre 2007 - Passa di lì Felice Gimondi, e con quel suo accento molto bergamasco e un po' vescovile gli fa: "Basta la metà di quello che ha fatto tuo padre e sarai un buon corridore". Marco Corti è figlio di Claudio Corti, campione del mondo dilettanti, vicecampione del mondo professionisti, due volte campione italiano professionisti. Ha ragione Gimondi: basta la metà per entrare nella storia del ciclismo. Marco, ma non poteva scegliere un altro sport? "Ci ho provato, giocavo a calcio, difensore, ma mi piaceva il ciclismo, forse perché qui sono un attaccante. Mio padre non mi ha mai spinto, semmai mi ha frenato. A mettermi in bici è stato Aldo Villucchi, il maestro della prima elementare. Maestro di mattina, poi segretario della società ciclistica del mio paese, Capriolo. E dalla bici non sono più sceso".
Figlio d’arte: un bene o un male?
"Il vantaggio è avere un cognome conosciuto, un padre che sa consigliarti, aiutarti e affidarti anche un posto in squadra. Che di questi tempi è un’impresa. Lo svantaggio è che a ogni corsa ci scappa il paragone. E il paragone con uno che andava forte è difficile da sostenere. E più si va avanti, e più è difficile".
Ha 21 anni e 55 vittorie nelle categorie minori.
"Scalatore. Gli scalatori sono quelli che sopportano il dolore più degli altri. Strano, ma mi comporto sempre meglio il primo anno in una nuova categoria che non il secondo, quando invece dovrei essere favorito dall’età e dall’esperienza. Come se il primo anno, senza responsabilità, mi sentissi più leggero. Il 2006 è stato un buon anno, e ho anche avuto la possibilità di disputare due corse tra i professionisti, come stagista. Una della Due Giorni Marchigiana e il Cimurri. E in una delle due sono arrivato in fondo. Il 2007 è stato disgraziato: mi sono dovuto fermare da metà aprile a metà maggio per un problema alla schiena che mi provocava danni alla cartilagine del ginocchio, così ho dovuto inseguire la forma. A settembre mio padre ha detto di fermarmi, ché tanto non ne valeva la pena".
Ne ha approfittato per studiare?
"Perito aziendale corrispondente in lingue estere, che sarebbero inglese, spagnolo e tedesco. Mi ero iscritto a Economia, ma ho capito lì che c’entravo poco. Allora ho seguito il mio cuore. E il mio cuore batteva per il movimento dei corpi celesti. Così mi sono iscritto ad Astronomia, all’Università di Bologna. Una passione recente, ma violenta. Intanto mi basta scoprire quello che è già stato scoperto: guardo il cielo, che non finisce mai. Ma mi affascina pensare a certi dilemmi, per esempio che cosa c’era prima del Big Bang, l’esplosione che ha dato origine alla nostra vita? E poi, oltre i pianeti e le stelle, che cosa si nasconde, che cosa non si vede, che cosa non si sa?".
Dicono: dove finisce la scienza, comincia la religione.
"La scienza è studio, ragione. La religione è Dio, fede. Non saprei rispondere".
Ciclismo e università sono compatibili?
"Anche a questa domanda non so rispondere. Almeno non adesso, magari fra un po'. Astronomia è un 3 più 2, cioè tre anni e 25 esami per la laurea breve, altri due anni per la specializzazione. Certo sono due attività ben diverse".
Che cosa si aspetta dal primo anno?
"Dare qualche esame all’università, i primi sono Analisi, Esperimentazioni di fisica e Geometria, intanto imparare ad aiutare e aiutare a far vincere. Non sono il tipo che possa tirare volate a Hunter, ma fare parte del gruppettino in salita prima che Soler o Cardenas scattino per la vittoria. Devo considerare la mia squadra come un’università del ciclismo. Dai vecchi si può avere tutto. Basta osservarli".
Quando si comincia?
"Già cominciato. Bici, palestra, un po' di tutto. Stiamo ancora facendo i programmi: c’è chi debutterà all’inizio di febbraio in Sud Africa, con cinque corse di un giorno in cinque giorni, e chi lo farà ancora prima, a Donoratico, con il Gran premio Costa degli Etruschi. Certo, per un corridore italiano il massimo sarebbe partecipare al Giro".
Lei ha una buona stella?
"Una magnifica costellazione: Orione. Ha la forma di un gigante con la spada. E' il simbolo della forza. Ma quando sei in bici, più che delle stelle devi fidarti delle gambe. E per quelle ci vuole allenamento. Ecco, se ho una dote, è la tenacia. Ci do dentro. Esiste una salita dove faccio il test della verità: Grandosso, sopra Grumello, nel Bergamasco. Non è lunga, 4 chilometri, ma è perfetta per capire se sto bene, benino o benone".

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