Libner e Margaliot
Dalla guerra alle due ruote

La stagione 2010 sta per nascere. Squadre, raduni, preparazione, programmi... E c’è chi sogna di entrare nella storia diventando il primo professionista del proprio paese. Come gli israeliani Ran Margaliot e Niv Libner, che hanno combattuto nella Striscia di Gaza

MILANO, 24 dicembre 2009 - La stagione 2010 sta per nascere. Squadre, raduni, preparazione, programmi... E c’è chi ha un sogno: passare professionista. Per un israeliano sarebbe la prima volta. Ecco la storia di Ran Margaliot e del suo amico Niv Libner. Ran Margaliot ha 21 anni, Niv Libner 22. Ran è di Modiin, 100 mila abitanti, a una quarantina di chilometri da Tel Aviv verso Gerusalemme; Niv di Tel Aviv, quasi un milione. Ran ha cominciato a correre a 13 anni, Niv a 12. Il resto è uguale: Ran e Niv hanno cominciato con la mountain bike, sono passati alla strada, e sognano di entrare nella storia come i primi professionisti israeliani. È la sesta puntata del nostro viaggio tra i professionisti (in questo caso: aspiranti professionisti) della strada.

Una vittoria di Niv Libner.
Una vittoria di Niv Libner.

Ran, com’è il ciclismo in Israele?
"Il cicloturismo è diffusissimo, il ciclismo meno. Un migliaio, anche meno, i tesserati. Più mountain bike che strada. Tanti corridori a livello giovanile, fino alla categoria juniores, poi c’è il servizio militare, che qui da noi dura tre anni ed è il motivo per cui abbandonano. Solo due ragazzi ogni anno possono godere di certi privilegi".

Cioè?
"Poter continuare ad allenarsi e correre. Quello che è successo a Niv e a me: possiamo dormire a casa, allenarci la mattina, dedicare sei ore del pomeriggio all’esercito, quindi tornare a casa. Questa è la mia giornata-tipo: in più ci devo mettere un’ora e un quarto per andare fra i militari e un’ora e un quarto per tornare".

I vostri compiti?
"Niv ha studiato fisica, nell’esercito è impiegato in un negozio. Io ho studiato comunicazione, prima lavoravo come insegnante, adesso nella radio. Ma siamo anche stati chiamati in guerra, nella Striscia di Gaza. Non in prima linea".

Ran Margaliot, alla testa del gruppo, in azione.
Ran Margaliot, alla testa del gruppo, in azione.

E com’è il livello del vostro ciclismo?
"Più arretrato di quello europeo. Ed è per questo che, due anni fa, prima stagione da dilettante, quando ho conosciuto Massimiliano Lelli, l’ex professionista, e sono stato invitato un mese nella sua casa di Manciano, in Maremma, mi è sembrato di vivere in una favola. Potevo finalmente imparare: ad allenarmi, a correre, a vivere da corridore".

L’importante è cominciare, poi, si dice, da cosa nasce cosa.
"Proprio così. Lelli mi ha messo in contatto con Mauro Gianetti, e lui ci ha dato l’opportunità di fare i corridori. Nel 2008 siamo stati aggregati alla sua squadra di dilettanti, la Saunier Duval, in Spagna, grazie a un permesso speciale del governo e della federazione israeliani. E nel 2009 abbiamo ripetuto l’esperienza nella Fuji-Servetto-Cantabria".

Risultati?
"Abbiamo capito che dobbiamo allenarci di più, e meglio. Quest’anno siamo stati invitati in Svizzera per preparare l’Europeo. Primi israeliani della storia a partecipare a una manifestazione così. Emozionatissimi. E anche piuttosto impreparati. Eppure siamo arrivati in fondo: io ottantaseiesimo, Niv novantaseiesimo, a circa 4 minuti dal primo. Soprattutto con una convinzione: potercela fare".

Avete fatto anche il Mondiale di Mendrisio?
"Percorso impegnativo. Quello non siamo riusciti a finirlo. Ritirati dopo nove dei 13 giri. Però...".

Però?
"Sulla linea di partenza c’era un corridore iraniano. Ci siamo guardati negli occhi, poi ci siamo guardati la maglia, ognuno avrà pensato alla distanza che ci separa sulla Terra, ma non nel ciclismo. Ci siamo salutati, ci siamo detti, in inglese, 'good luck', 'buona fortuna'. Non ne abbiamo avuta tanta: lui si è ritirato prima di noi".

Niv Libner traina il gruppo.
Niv Libner traina il gruppo.

Bel gesto, no?
"Bellissimo. Tornato a casa, ho raccontato questo incontro a mio padre, e lui stentava a credermi: 'davvero?', diceva. Per la generazione di mio padre è una cosa impossibile, invece per noi è normale. Perché i ragazzi non ricordano o non sanno neanche che cosa ci divida dagli altri. Lo sport può fare tantissimo. Perché lo sport unisce. E la religione non dovrebbe dividere".

Sport è passione.
"Non è solo passione, ma piacere e rispetto. È la possibilità di trovare una soluzione pacifica. In più, Niv e io stimavamo l’iraniano, perché sapevamo benissimo che cosa significhi gareggiare da solo invece che in due".

Sarebbe?
"Quando sei da solo, parti solo pensando, e sperando, di finire la corsa. Ti fai mille domande: e se foro?, e se spacco la bici?, e se vado in crisi? e se ho la borraccia vuota? e finita la corsa, dove vado? In due ci si fa sempre coraggio".

Adesso?
"Vorremmo entrare in una squadra di dilettanti europea, italiana sarebbe il massimo. C’è un problema: ogni squadra può accogliere un solo straniero. Così Niv e io dovremmo contare su due offerte, e comunque separarci".

Poi?
"Il sogno è sempre quello di diventare professionisti. In Israele sono convinti che il ciclismo non sia una professione. Io dico di sì". E se non ce la farete? "Torneremo a studiare, o cominceremo a lavorare. Magari nel ciclismo. Io ho aiutato a organizzare il primo Giro Servetto d’Israele, cicloturistico. Dal 31 gennaio al 7 febbraio. Mi creda: sarà un successo".

Marco Pastonesi© RIPRODUZIONE RISERVATA

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