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Ginanni, un duro risparmioso

Il neoprofessionista toscano spiega la sua strategia in gara: "Non spendere. E se proprio devo farlo, spendere il meno possibile. Coprirsi, succhiare, ma senza far arrabbiare gli altri"

Francesco Ginanni, 22 anni, toscano di Casalguidi. Bettini
Francesco Ginanni, 22 anni, toscano di Casalguidi. Bettini
MILANO, 16 novembre 2007 - Ogni lasciata è persa. Non parla di donne, Francesco Ginanni, ma di corse. Forse per questo ha cominciato a gareggiare quando andava in prima elementare. "Avevo sei anni. Bici Coste gialla regalata da babbo e zio. Non ricordo più dove si corresse, ma dalle mie parti". Le sue parti sono le Fiandre italiane: "Toscano di Casalguidi, appena al di là del San Baronto, ai confini con quello che è stato battezzato il Triangolo delle Bermuda del ciclismo, dove si respira, si abita e si vive di tubolari e pedivelle".
Era quella la sua prima bici?
"La prima, non la primissima. La primissima era un’altra Coste, un fornitore a cui tutti i negozianti della zona si rivolgono, a Ponte Stella: genere mountain bike, blu, regalata dal babbo. Ci scorrazzavo in campagna. La bici mi serviva per conquistare il mondo: i ruscelli erano il Mississippi, un terrapieno era il Sella e il Pordoi messi insieme".
E la prima vittoria?
"Categoria G1, giovanissimi, sempre dalle parti di Pistoia. A essere sincero, non me la ricordo. Ma sarà stata in volata. Ho sempre vinto in volata, di gruppettino o di gruppo, tranne due volte in cui sono arrivato da solo. E quelle me le ricordo: la prima da allievo a Livorno, la seconda da dilettante a Mastromarco".
C’è differenza?
"Una vittoria da soli vale una vittoria e mezzo. C’è più gusto, più soddisfazione, più piacere e, come si vede, anche più ricordo. Dimostri di essere superiore non nel colpo di reni, ma anche di gambe e di testa. Insomma, hai la certezza che quel giorno non c’è nessuno come te".
E lei com’è?
"Non lo so, sarebbe bello che se lo facesse dire da qualcun altro. Facciamo finta che io sia un altro corridore, in fuga con Ginanni. Allora penserei: occhio a Ginanni, perché è un duro. Io lo so, ce ne sono tanti che vanno più di me. Ma la differenza è che tanti pedalano solo con le gambe, io cerco prima di usare la testa e risparmiare le gambe per il finale".
E come?
"Non spendere. E se proprio devo farlo, spendere il meno possibile. Coprirsi, succhiare, ma senza far arrabbiare gli altri".
Eroi?
"Franco Ballerini. Amici di famiglia: i Ginanni dai Ballerini, i Ballerini dai Ginanni. Le sue imprese in tv, una volta in cui mi ha premiato, poi i suoi consigli. Franco mi ha detto che ho fatto la cosa giusta a passare adesso, a 22 anni, tra i professionisti. Perché quattro o cinque anni da dilettante ci vogliono. Io ne ho fatti quattro. E se non avessi trovato Gianni Savio e la Diquigiovanni-Androni, non sarei neanche passato".
Perché?
"Non per paura. Ma perché in un’altra stagione ci si rafforza: nei muscoli e nella testa. Il primo approccio è stato piacevole, l’ambiente familiare. Ho avuto la fortuna di conoscere Gibo Simoni la scorsa estate allo Stelvio, e lì ho capito che i nostri destini si sarebbero incrociati. Quella del corridore è una professione presa come lavoro e vissuta come passione. Perché ci vuole passione per lavorare ogni giorno, anche sabato e domenica. E il riposo diventa una parte del lavoro: massaggi, mangiare e bere, andare a letto presto e dormire".
Ginanni, un sogno?
"La Milano-Sanremo. Il mio primo sogno è farla subito. Il secondo vincerla. Prima o poi. Meglio prima che poi. Perché ogni lasciata è persa. Sì, è vero, si può sempre dire che quella corsa la vinco dopo. Ma la stessa corsa di un altro anno è già un’altra corsa".
Non pretende troppo?
"Potrei anche sembrare presuntuoso, ma io sono ambizioso, orgoglioso e voglioso. Voglio di più. Chi si accontenta, non gode. Cercare di raggiungere obiettivi importanti si trasforma in un rischio, ma anche in uno stimolo. Comunque sono qui per imparare. Faticare e imparare. Cercherò di tenere occhi aperti e orecchie allungate: due capitani come Simoni e Alessandro Bertolini mi possono fare da scuola".
E adesso?
"Si ricomincia a pedalare. E’, allo stesso tempo, un bisogno e un piacere. A me la bici piace. Esteticamente. Pulita, lucida, in ordine. Ogni cosa al suo posto. Anche la borraccia giusta, intonata ai colori del telaio. E’ una forma di rispetto per la mia compagna. Ho una bici per allenarmi, e tre o quattro come ricordo. Prima le curava il mio babbo, adesso lo faccio io. Non c’è nulla di dovuto nella vita. Neanche pulire la catena".

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