E’ un’Alice Maria Arzuffi carica a mille, quella che sta affrontando l’inizio di stagione e i risultati lo stanno dimostrando. Domenica, nella prima prova di Coppa del Mondo in terra europea a Zonhoven, l’azzurra ha chiuso in decima posizione a 2’57” dalla vincitrice Betsema, ma soprattutto è stata la seconda delle non olandesi: «Io cerco di migliorare e fare il meglio possibile, è chiaro che ci troviamo a gareggiare in una marea arancione, il loro livello medio è eccezionale e stanno venendo fuori anche nuovi talenti dalle categorie minori, ma non è questo che io devo guardare, devo pensare a me stessa e a fare il meglio possibile».
Questa rinnovata e positiva verve emerge anche quando si analizza l’aspetto tecnico delle sue prime uscite, toccando quello che, fino allo scorso anno, era un tasto dolente, le partenze un po’ al rallentatore: «E’ ora di sfatare questo luogo comune: basta guardare come sono state le ultime gare internazionali, non solo domenica ma anche quelle americane, per notare che sin dal via sono al livello delle migliori. Spero che i risultati facciano dimenticare questo riferimento che non sento più di meritarmi».
Il 10° posto di Zonhoven è un buon punto di partenza?
Diciamo che mi dà sicurezza maggiore rispetto a quella delle gare americane, dove non sono rimasta completamente soddisfatta, mi aspettavo di più. Evidentemente la condizione è migliorata al ritorno e in terra belga mi sono sentita più a mio agio. Sinceramente comunque so che c’è ancora da lavorare, ma conto di essere all’Europeo in una condizione già più avanzata e adatta a un evento così importante.
Vieni da una stagione su strada nella quale ti si è vista di più, affrontata con molta decisione, esattamente come fai con il ciclocross…
La strada l’ho sempre affrontata seriamente, ci ho sempre creduto, anzi se devo essere sincera è stata una stagione dalla quale volevo estrarre qualcosa in più. Ho tirato fino al Giro d’Italia e alla Clasica di San Sebastian, poi sono rimasta tre settimane ferma e quasi dal nulla ho affrontato il Giro di Norvegia. Inoltre la prima parte della stagione è stata una sofferenza per via di una posizione in sella che non era ideale e che mi dava problemi alla schiena, ci sono voluti 3 mesi e soprattutto il grande apporto di Aldo Vedovati per identificare il problema e risolverlo. Nel 2019 corsi più giorni, per questo penso che posso fare di più e meglio.
Come riesci a gestire due attività così importanti ricavando il necessario riposo?
E’ fondamentale la programmazione: quando finisco il ciclocross a febbraio stacco un mese di assoluto riposo, nel quale non tocco neanche la bici, poi riprendo per iniziare gradualmente e tornare in gara ad aprile. A fine stagione su strada secondo riposo, questa volta di una decina di giorni. E’ una scelta che negli anni ho trovato fondamentale per poter tirare fuori il meglio.
I responsabili delle squadre, soprattutto su strada, ti hanno mai fatto problemi?
No, ho sempre tenuto a specificarlo e metterlo nero su bianco, sono scelte fatte anche in base ai calendari e agli obiettivi sia del team che miei personali. Non ci sono mai state incomprensioni in tal senso, poi ora è tutto molto più semplice.
Come ti stai trovando nella Fas-Valcar di ciclocross dopo anni nei quali hai corso in Belgio?
Qui c’è molto da dire, perché la differenza è enorme. Partiamo dalla premessa che non rinnego la mia scelta di andare a vivere e correre in Belgio, è stata importante per la mia carriera, ma va anche detto che il prezzo psicologico e personale è stato alto, soprattutto negli ultimi due anni. Non dovevo pensare solo ad allenarmi e gareggiare, ero quasi abbandonata a me stessa, dovevo pensare a ogni trasferta: il volo, la logistica, i trasferimenti, il viaggio delle bici, i tamponi… Non ne potevo più, arrivavo in gara già stanca. Ora è un sogno, sono in un team dove si pensa a tutto e posso tornare a concentrarmi sulle corse.
E’ un aiuto correre nello stesso team d’estate e d’inverno?
Enormemente. E’ la strada giusta per poter crescere e non parlo solo a livello personale, ma di tutto il ciclocross italiano. Con il diesse Arzeni nel corso dell’anno ci siamo trovati spesso a parlare, mi aveva accennato a quest’idea e mi ha chiesto molti consigli su tutto quello che sarebbe servito. Io gli ho spiegato quali erano le necessità e il progetto è partito.
Come ti trovi con Luca Bramati e le ragazze?
Finora abbiamo potuto lavorare poco insieme, io e Luca, perché in America ero nel gruppo della nazionale, ma ho subito notato che ha creato un ambiente familiare. Poi con Silvia e Eva (Persico e Lechner, ndr) ci conosciamo da anni e abbiamo condiviso tante trasferte, è un gruppo collaudato.
Correrai in Italia o seguirai solo la stagione internazionale?
Forse sarò a Faé di Oderzo l’8 dicembre, poi naturalmente per gli Italiani, per il resto vedremo come strutturare la stagione in vista dei Mondiali. A proposito: il percorso di Fayetteville è fenomenale, molto pedalabile, proprio come piace a me…