Il 2022 si è aperto senza Fabio Aru. Dopo 10 anni nella massima categoria il sardo ha deciso, a soli 31 anni, che era arrivato il momento di appendere la bici al chiodo. Un’uscita di scena clamorosa che chiude una carriera lucente e fulminea. Caratterizzata da vette talmente alte da far venire le vertigini e tonfi dai quali per chiunque sarebbe difficile rialzarsi. Siamo andati a trovare Fabio Aru per capire cosa ha funzionato e cosa no in questi anni e, soprattutto, per farci raccontare cosa ci sarà nel suo prossimo futuro. Domani, su CYCLE ITALIA potrete trovare l’intervista completa nella quale Fabio Aru ci ha parlato del suo passato ma anche del suo futuro che sarà ancora in sella alle due ruote. Eccone una breve anteprima:
Fabio, se ti guardi indietro cosa vedi?
“Mi rivedo quando avevo 10 anni e con la sacca sulla spalla andavo agli allenamenti di tennis e calcio in bicicletta.”
Le tue prime tracce negli annali del ciclismo risalgono al 2008…
“Si quell’anno affrontai il Giro della Lunigiana. Arrivai ventesimo ma alla fine di quella settimana mi contattò Olivano Locatelli che mi propose di passare con lui tra gli Under 23 continuando a fare il cross e concentrandomi sulla strada invece che sulla MTB”.
Hai vinto una Vuelta a 25 anni, tre tappe al Giro, sei salito due volte sul podio del Giro e hai sfiorato quello del Tour. Il tuo programma era concentrato solo sui grandi eventi, è stato un bene?
“Ogni tanto mi fermo a guardare i risultati che ho ottenuto e mi impressiono. Questo mi ha aiutato nei momenti negativi e mi ha dato sicurezza per provare a ripartire. Non sono mai stato un super vincente ma ho sempre fatto un calendario molto importante con pochissime gare di secondo piano. E’ stato bello così, non ho nessun rimpianto da questo punto di vista”.
Come si passa da essere ad un passo dal vincere il Tour de France allo scomparire dai radar?
“Succede. Purtroppo è successo a me. A parte i problemi fisici che ho avuto, di cui si è sempre parlato sempre poco, ma che hanno inciso tanto ci sono state una serie di circostanze che mi hanno messo fuorigioco. Io ho sottovalutato il problema fisico trascinandomelo per più di un anno, poi c’è stata l’operazione con il lungo periodo di recupero. Sono tornato in gruppo nel 2020, con tutti i problemi legati al Covid. Al Tour di quell’anno ho vissuto il momento più buio: quando passi dal top al vederti staccato da 20-30 corridori, a livello mentale non è una cosa facile da digerire. In Francia ho avuto un momento a livello mentale molto difficile dove credo si sia percepito e si sia visto. Penso che neanche con mezza gamba avrei potuto staccarmi in partenza in pianura dal gruppo. Non mi pento di quello che ho fatto, anche dei sacrifici, ma quando la vita del corridore inizia a pesarti, scegliere di smettere diventa più facile”.
A 31 anni non era troppo presto per smettere?
“Credo non esista un’età giusta per farlo. La realtà è che anche io ho una aspettativa di me stesso e mi piace fare tutto al 100%. Non avrei mai accettato di fare un contratto per trascinarmi ancora avanti senza risultati. O si fanno le cose per bene, e già così è difficile ottenere dei risultati, sennò è meglio dedicarsi ad altro”.
L’intervista completa sarà disponibile sul numero di Gennaio di Cycle Italia che sarà scaricabile già domani cliccando su Ciclismoweb.net.