Viaggio in Kazakhstan, Velasco inviato speciale di bici.PRO

05.12.2021
6 min
Salva

La capitale ha smesso di chiamarsi Astana nel 2019, quando il presidente Nursultan Narzabaev si è dimesso e le è stato dato il suo nome: Nur-Sultan. Due giorni fa nel velodromo della città si è svolta la presentazione dell’Astana Qazaqstan Team e per Vinokourov è stato davvero un ritorno a casa dopo mesi di… esproprio da parte della compagine canadese che sembrava dovesse rilevare la squadra. E proprio per questo viaggio da mille e una notte, durato due giorni ma pieno di colori, voci ed emozioni, bici.PRO ha nominato un inviato d’eccezione – Simone Velasco – che per noi ha scattato foto e immagazzinato ricordi.

«Un freddo cane – esordisce ridendo – ci siamo ibernati. Abbiamo fatto solo 500 metri fuori dall’hotel, con 10-12 gradi sotto zero. E ci hanno detto che non era neanche freddissimo. Ma è stato un bellissimo evento, organizzato molto bene. Peccato non aver potuto visitare la città, ma non c’era davvero tempo. Ci hanno detto che le stagioni migliori sono primavera e autunno, perché d’estate si arriva a 45 gradi. Se penso a quanti corridori kazaki forti ci sono, si vede che lavorano proprio bene, nonostante un clima del genere…».

Da dove sei partito?

Da Milano. Sono andato su un giorno prima per stare a cena con la mia ragazza. Il 2 dicembre è stato il mio compleanno e praticamente l’ho passato in volo (ride, ndr). Quando siamo atterrati era già passata mezzanotte, quindi non ho nemmeno potuto brindare. Da Milano a Francoforte e poi sei ore fino a Nur-Sultan.

Hai corso alla Gazprom-RusVelo, che differenze si notano fra russi e kazaki?

Completamente differenti. A livello caratteriale, i kazaki sono molto più aperti, direi occidentali, anche se geograficamente non lo diresti. Molto ospitali e poi, cosa che mi ha colpito molto, parlavano tutti l’inglese e anche bene. Fra i russi che ho conosciuto, solo quelli che hanno fatto qualche esperienza di lavoro all’estero sono così. Forse in comune c’è solo la vodka…

Nelle foto che ci hai mandato, si vedono neve e tante bici…

Ci puntano molto, anche a livello paralimpico. Con noi c’erano anche degli atleti ipovedenti che sono stati celebrati con tutti gli onori. Da quando Vinokourov ha vinto le Olimpiadi, la bici è un punto fermo della società. E lui lassù è una star, lo conoscono tutti. Abbiamo fatto un giro in un centro commerciale di uno sponsor e l’autografo e i selfie li chiedevano solo a lui.

Dove si è svolta la presentazione?

In un velodromo molto moderno, attorno al quale hanno creato un polo sportivo in cui c’è praticamente tutto. E’ stato bello però rendersi conto che il ciclismo sia centrale e davvero, visto il clima, sono riusciti a impostare un gran lavoro.

Che tipo di pubblico hai visto alla presentazione?

Purtroppo c’erano parecchie restrizioni Covid, per cui c’erano solo sponsor e autorità. Poi invece ci siamo spostati alla cena di gala, all’Hilton, e lì c’era qualcuno di più. E’ stata molto bella anche quella.

Come siete stati accolti?

Mi ha impressionato quanto fossero curiosi e le domande che facevano. Mi sono sentito accolto come uno di loro. Parlando con Shefer, che ho avuto l’anno scorso alla Gazprom, è venuto fuori che è un tratto comune dei kazaki e che in realtà non abbiamo visto niente.

Stesso clima in squadra?

Ne parlavo con Moscon in aeroporto. Sembra di essere tornati al clima della Zalf, quando correvamo insieme. E’ un po’ di tempo che non vedevo una squadra così, sono convinto che verranno fuori grandissime cose.

Chi è il corridore con la mascherina accanto a te sull’aereo?

E’ Riabuschenko. Abbiamo fatto tutte le categorie giovanili da rivali, siamo amici, ma non avevamo mai corso insieme. Alla fine ci siamo riusciti.

In definitiva che esperienza è stata?

Bellissima per la conoscenza culturale, mi è piaciuto molto. Il viaggio in sé è stato stressante, ma per fortuna ora avremo 15 giorni di lavoro tranquilli e pensando solo alla bici. E’ vero che l’Italia non ha una squadra WorldTour, ma questa è davvero la più italiana. Dieci corridori italiani, cinque direttori, i preparatori. Tutti i corridori parlano italiano. Solo Dombrowski non ci riesce ancora, ma lo capisce benissimo. Sono convinto che imparerà presto anche lui.