Felline cerca continuità e l’occasione per sbloccarsi

09.12.2021
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Il 2022 è ormai alle porte e Fabio Felline non vede l’ora di scoprire che cosa ha in serbo l’anno nuovo. Dopo averci portato alla scoperta della tappa del Giro sulle sue colline e all’inizio della preparazione a Calpe, il trentunenne dell’Astana Qazaqstan Team ci ha raccontato le sue ambizioni per la nuova stagione e ripercorso quella passata.

Quali sono state le ultime cose che hai fatto prima di partire per la presentazione in Kazakhstan?

Sono andato a fare un test, a provare delle scarpe e a controllare la posizione. Da più di 15 anni ormai ho un rapporto stretto con Mariano (il biomeccanico Alessandro Mariano, ndr), per cui quando c’è qualche modifica da fare, chiedo sempre prima il benestare a lui. 

Come è stato il tuo autunno?

Ho fatto quattro settimane di stacco e poi ho ripreso verso fine novembre. Con il nostro piccolo Edoardo non è che abbiamo fatto vacanza vera e propria, però qualche gita ce la siamo concessa. Ora però sono ripartito e qui in ritiro comincerò a capire quali saranno i programmi concreti.

Che ne pensi del ritorno di Nibali all’Astana? 

Con Vincenzo non avevo mai corso, ma senza dubbio è una bella motivazione averlo in squadra. Non posso dire che è il mio migliore amico, perché non abbiamo mai lavorato insieme in tutti questi anni, per cui sarà tutto da conoscere e da scoprire. Nella lista dei grandi campioni del ciclismo del nuovo millennio, dopo Alberto Contador e Fabian Cancellara, avrò l’opportunità di lavorare con un altro grande di quest’epoca.

Riavvolgendo il nastro di quest’anno: sei soddisfatto del 2021 e cosa chiedi al 2022?

Mi piacerebbe tornare a vincere come è successo nel 2020. Negli ultimi due anni sento di essere andato sempre forte, ovvio che non basta mai, però oggettivamente sono soddisfatto. 

La preparazione è ripresa: in questi giorni Fabio conoscerà i programmi 2022
La preparazione è ripresa: in questi giorni Felline conoscerà i programmi 2022 (foto Instagram)
La tappa della Tirreno-Adriatico chiusa al quarto posto dietro ai fenomeni Van der Poel, Pogacar e Van Aert è stato uno dei momenti più belli?

Sicuramente, però quello che mi è dispiaciuto è che per come andavo, soprattutto in quel periodo lì, non ho raccolto quanto avrei potuto. Faccio il mea culpa, perché ci sono stati dei periodi in cui avrei potuto vincere però, per un motivo o per un altro, non ho mai concluso nulla. Mi auguro di avere la stessa gamba, se non anche migliore e di riuscire a concretizzare con maggiore continuità.

Dove e come dipenderà dalla squadra?

Non ho ancora idea di preciso perché dobbiamo ancora definire tutto. E’ inevitabile che la mia posizione sia cambiata rispetto al passato, non sono più il Fabio Felline di 25 anni alla Trek, che faceva il jolly o il battitore libero, scegliendo di correre a sensazione. C’è un tempo per tutto, il prossimo anno compirò 32 anni: so di essere un uomo squadra e più una garanzia come bravo lavoratore che come vincente. E’ ovvio che, come ho detto, vorrei tornare alla vittoria, però il ciclismo è un lavoro e non si può sempre fare ciò che si vuole. Al Giro di quest’anno ad esempio avrei potuto giocarmi qualche tappa, però c’era un obiettivo classifica con Vlasov e per cui le mie chance sono state ovviamente di meno. L’obiettivo è andare sempre forte, perché così le cose vengono di conseguenza.

Classe 1990 come Colbrelli (qui al Fiandre 2017), Felline cerca di sbloccarsi come Sonny
Classe 1990 come Colbrelli (qui al Fiandre 2017), Felline cerca di sbloccarsi come Sonny
Come si torna a vincere dopo qualche periodo a secco?

Basta qualche situazione favorevole e la ruota gira, come sempre accade. Prendo come esempio Sonny (Colbrelli, ndr) perché siamo cresciuti insieme e fino all’anno scorso eravamo magari visti sullo stesso piano. Tutto è partito da qualcosa, non è arrivato a caso. Se non avesse preso fiducia al Romandia con la tappa vinta, magari non si sarebbe attivato tutto il circolo virtuoso col Delfinato, il campionato italiano, quello europeo e poi il trionfo di Roubaix. Quando vinci, sei più sereno, sei più appagato e non hai più nulla da perdere. Si creano delle situazioni mentali che ti fanno fare uno step ulteriore. Al Giro 2020, ad esempio, sono andato forte come non mai anche perché ero galvanizzato dall’aver vinto il Memorial Pantani a fine agosto.

Tra Sobrero e Ganna, sembra che qualcosa si muova nel ciclismo piemontese, sei d’accordo?

Loro sono due fenomeni, però il problema è che alle loro spalle c’è il buio totale.

Per quale ragione secondo te?

C’è una mentalità del cavolo. Le strade non invogliano ad andare in bici, ci sono sempre più rischi, per cui già per quella ragione un genitore, a meno che non abbia una passione reale, perché dovrebbe portare il figlio a pedalare? Poi l’altra cosa me l’ha fatta notare proprio Sobrero. Mi ha detto che quando lui era allievo o juniores, c’ero io come professionista. Vedendo che ce l’avevo fatta io, lui si è detto: «Devo farcela anch’io». Il problema è che ci sono pochissimi modelli a cui ispirarsi, basti pensare che quando sono passato pro’ io, davanti a me non c’era nessuno, l’unico era Sergio Barbero che aveva smesso 10 anni prima. E ancora prima, negli anni Novanta per ispirarsi bisognava ricordare Italo Zilioli. 

Fabio Felline, Memorial Pantani 2020
La vittoria al Memorial Pantani 2020 ha dato a Felline morale per il Giro d’Italia
Fabio Felline, Memorial Pantani 2020
La vittoria al Memorial Pantani 2020 gli ha dato morale per il Giro dello stesso anno
Dunque non sei così ottimista nemmeno per il futuro?

No e mi dispiace perché, a meno che non spunti fuori qualcuno, manca il ricambio generazionale ed è facile che per un po’ di tempo mancherà dietro a loro due. Ganna e Sobrero sono due fari, ma non bastano. Adesso ho perso il giro del ciclismo giovanile e non vorrei dire una cavolata, ma non ho sentito di allievi o juniores piemontesi che spopolano a livello nazionale per cui il timore è che debbano passare altri 10 anni per tirare fuori altri professionisti di ottimo livello.

Eppure, è una regione che pullula di appassionati delle due ruote, come lo spieghi?

Manca un vivaio in Piemonte. Quando ero piccolino, vedevo molte meno persone in bici, ma quelli che incrociavo correvano tutti, mentre adesso vedi tanta gente che ha comprato la bici, che si è avvicinata al ciclismo più tardi e purtroppo non è quello che fa il ricambio generazionale. Ci vorrebbe di nuovo maggiore cultura del nostro sport che negli anni si è un po’ persa.