Matteo Trentin, Tour de France 2020

Trentin, il Tour delle cose perdute

22.09.2020
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Il Tour de France non è stato quest’anno per Matteo Trentin il solito terreno di caccia. Il trentino della CCC che ha già annunciato il prossimo passaggio nella Uae-Emirates (che si è portata a casa la maglia gialla) non ha vissuto il passaggio a vuoto con troppo entusiasmo, ma ha cercato di dissimulare il malumore in ogni modo possibile. Persino quello nei confronti di Peter Sagan, che raramente si è visto correre in modo così disordinato.

Si diceva che sarebbe stato un Tour nel segno della cautela, arrivandoci senza grossi riferimenti.

Sarà pure stato così, ma tolta la prima settimana in cui siamo stati prudenti anche per ragioni di sicurezza viste le strade bagnate intorno Nizza, poi si è corso ogni giorno come se non ci fosse un domani. Abbiamo sempre menato, in un Tour molto duro in cui tappe con 2.000 metri di dislivello venivano classificate come piatte.

Matteo Trentin
Matteo Trentin, un Tour corso come al solito con spirito guascone
Matteo Trentin, Daniel Oss
Matteo Trentin e Daniel Oss, entrambi corridori della Valsugana, in Trentino
Che cosa ti è parso della gestione Covid, dei tamponi, la bolla e tutto il resto?

Meglio di quel che si è fatto sarebbe stato impossibile. Siamo sempre rimasti fra noi, a settembre c’era meno gente in giro perché lavoravano, ma ugualmente abbiamo visto scene disarmanti. Non si capiva perché alcuni non dovessero mettere la mascherina. C’è una regola, rispettatela! Bisognava far passare il messaggio, ma la verità è che in Francia la gente se ne frega. Vivo a Monaco, nonostante migliaia di contagi ogni giorno, i francesi hanno continuato con la loro vita.

Trentin si è fatto conoscere proprio grazie al Tour, speravi in qualcosa di meglio per te?

Pensavo meglio. Almeno volevo vincere una tappa, sapendo che quelle buone non erano poi tante. Ci sono stati risultati che non mi appagano e anche occasioni che non ho sfruttato.

Si è sentita l’assenza di una Ineos in controllo della corsa?

Neanche un po’, perché la Jumbo-Visma ha fatto la stessa cosa.

Dal Tour alla classiche sperando di aver raggiunto una buona condizione?

Sì, perché il Tour mi ha dato una buona condizione. A ben vedere, ho avuto un solo giorno storto, al Col de la Loze, ma sono stato sempre in crescita, al punto che quando ho provato ad andare in fuga, erano lesti a seguirmi.

Che cosa ti pare del futuro?

Sono seduto su una buona sedia. Dopo il Tour mi è servita una settimana a casa per rigenerarmi, perché di fatto sono partito a fine luglio con l’italiano e sono rimasto sempre per alberghi. Serviva uno stacco mentale, perché devo dire che questi tre mesi sono stati molto intensi e sono anche volati abbastanza in fretta, ma se mi guardo indietro mi pare che sia passato un ano intero.

Se ti dicessero che a dicembre si va in ritiro?

Direi che Trentin è malato. Scherzi a parte, tanti di noi finiranno di correre a novembre. Capirei un ritiro di tre giorni per conoscersi e prendere il materiale, molto meno per iniziare a lavorare. Difficile dire se la stagione ripartirà dall’Australia o dal Sud America, ma la verità è che me ne importa anche poco. Negli ultimi anni ho ricominciato dall’Europa e lo trovo utile, funzionale e meno stancante.

Che cosa ti ha convinto ad andare alla Uae-Emirates?

La scelta è stata prima di tutto tecnica. Già lo scorso anno si erano fatti avanti, così ci siamo riavvicinati e abbiamo ripreso a parlare. Mi hanno spiegato bene il progetto e mi è piaciuto molto. Hanno vinto il Tour, due anni fa chi lo avrebbe detto? Non è facile fare un simile salto di qualità, ma quando cominci a vincere, capisci quale tipo di lavoro funziona e quale no e a quel punto inizi anche a crescere. Sarà bello farne parte.