Sono tornato a casa: intervista a Iuri Filosi

Iuri Filosi torna in Italia, alla Bardiani, dopo un magro biennio francese.

 

Rivangare il passato, rimuginare su ciò che avrebbe potuto essere, vivere a braccetto coi rimorsi. Spesso ciò che siamo stati e quello che abbiamo (o non abbiamo) fatto ci influenza, ci accompagna togliendoci sicurezze e spensieratezza, insinuando dubbi e pensieri, tinteggiando d’ansia il presente e i progetti futuri. Liberarsi di queste preoccupazioni non è facile e riuscirci, in generale, dipende dal carattere di ciascuno di noi, dal proprio modus vivendi e da chi ci circonda. Di certo, tutto passa da uno o più cambiamenti e dalla consapevolezza di chi si è e di ciò che si vuole raggiungere, elementi fondamentali per confezionare una necessaria e salvifica svolta.

Quella di Iuri Filosi è arrivata quest’anno con l’approdo alla Bardiani-CSF-Faizanè, una realtà che lo cercava fin dai dilettanti ma con cui solo nel 2020 il corteggiamento è andato a buon fine. Accolto dalla famiglia Reverberi, per il bresciano trapiantato a Praso (provincia di Trento) sono finiti gli istanti in cui guardarsi indietro e ripensare a come sono andate le ultime stagioni tra i professionisti. Il suo sguardo, infatti, ora è proiettato sul presente, sui prossimi mesi di corse e allenamenti; la sua voce non cela la convinzione con cui vuole approcciare il nuovo capitolo della sua vita.

©Bardiani-CSF-Faizanè, Twitter

«Quelli in Francia con la Delko Marseille Provence sono stati due anni molto difficili. Ho fatto quest’esperienza perché volevo cambiare aria e provare qualcosa di differente, ma alla fine per diverse ragioni non è andata molto bene. A posteriori è facile parlare di una scelta che forse non rifarei, ma finché non sei dentro una certa realtà non puoi saperlo. Ad ogni modo, ciò che conta è che oggi mi trovo in una squadra dove mi sento bene, vivo in modo molto più sereno e, di conseguenza, ho ritrovato le motivazioni e la voglia di andare in bicicletta dei primi tempi. Spero di contraccambiare presto la fiducia ricevuta e ripagare le persone che mi hanno cercato».

L’attenzione, dunque, è solo per i chilometri ancora da percorrere, non per quelli macinati in passato, e l’obiettivo è quello di tornare a far bene e mostrare il proprio valore; ambizione che, allargando il discorso, è anche quella che anima la compagine verde-viola in questa stagione iper-concentrata. «Da quel poco che ho potuto notare, finora tutti in squadra mostrano di tenerci parecchio e sperano di fare una bella stagione perché arrivano da un anno difficile. Il clima è positivo e sereno, si lavora bene e questo è ciò che mi interessava sentire».

Filosi, infatti, è tornato in Italia per ritrovare serenità, tranquillità e idee chiare, essenziali per ridare vigore a una carriera iniziata sulle ali della passione trasmessa dal padre. «Mio padre era molto amico di Francesco Moser ed è sempre andato parecchio in bici. Io, invece, da piccolo praticavo diversi sport oltre al ciclismo: calcio, corsa, sci. Quando mi sono trovato a decidere su quale concentrarmi, la scelta è ricaduta sulla bici».

©NIPPO Vini Fantini Faizanè, Twitter

Cresciuto prima con le immagini di Pantani e poi con lo stile e gli affondi di Andy Schleck, tra i dilettanti Filosi ha trovato modo di emergere cogliendo piazzamenti di rilievo (nel 2014 fu 2° agli Europei, 6° ai Mondiali e 5° al Liberazione) e vittorie di peso (Giro delle Pesche Nettarine e Piccola Sanremo sempre nel 2014), viatico per lo sbarco non senza aspettative tra i professionisti avvenuto nel 2015 con la Nippo-Vini Fantini. Tra le fila della formazione italo-giapponese Filosi ha militato per tre stagioni, riuscendo sia a centrare la prima vittoria da professionista (il Gran Premio di Lugano nel 2017) sia ad assaggiare le dinamiche e le complicazioni legate a una corsa a tappe di tre settimane come il Giro d’Italia (2016): eventi che, pur in momenti e modalità differenti, hanno lasciato un segno indelebile su di lui e testimoniano la caparbietà e la determinazione che da sempre caratterizzano la sua personalità.

«Prima di Lugano sapevo di stare bene, che la vittoria poteva arrivare. In più, tenevo particolarmente a fare una dedica a un amico che era appena scomparso. Quel giorno a un certo punto volevo ritirarmi, ma alla fine ne è uscito un numero incredibile. Mi dispiace che successivamente sia riuscito a correre poco: di seguito, infatti, ho disputato una corsa in Francia (dove volavo e i francesi mi hanno messo gli occhi addosso) e ho preso parte al Giro d’Austria con la Nazionale, ma lì sono stato colpito da appendicite. A quel punto sono stato costretto a fermarmi e a passare un mese a casa nell’attesa di capire se avessi bisogno di un’operazione o meno. Poi, una volta ripreso, non sono più riuscito a trovare la forma di maggio e giugno».

Anche in occasione del Giro d’Italia 2016, alle emozioni e all’adrenalina del via dall’Olanda ha fatto seguito un abbandono anticipato dovuto a un’indisposizione fisica. «La tappa di Arezzo è stato il giorno più duro della mia carriera. Sono stato male tutta la notte, tra dissenteria e mal di schiena ho dormito davvero poco. La mattina ho bucato in partenza, sono rientrato, ho preso le mantelline su ordine del capitano perché ha iniziato a piovere, ma una caduta all’imbocco della prima salita mi ha fermato nuovamente. Pensavo di scollinare e rientrare con calma, ma complice il gruppo che quel giorno non si è mai fermato sono sprofondato senza forze. Volevo ritirarmi, ma dall’ammiraglia mi hanno incoraggiato a non mollare e a continuare nonostante sapessi di essere oltre il tempo massimo. È stata una giornata pessima e mi dispiace perché prima del Giro andavo forte. A Francoforte, pur cadendo a tre quarti della gara, sono andato via in salita con altri tre a otto chilometri dall’arrivo e alla fine ero ancora davanti a fare la volata. Quella caduta, però, mi ha costretto a passare in hotel i successivi cinque giorni senza toccare la bici perché non riuscivo neanche ad alzare le gambe. Un altro corridore nelle mie condizioni avrebbe rinunciato a schierarsi al via del Giro, ma quella era la mia prima partecipazione e mi son voluto buttare a tutti i costi».

©Zona Cycling, Twitter

Se gli si chiede se si sia sentito tradito dal proprio fisico, Filosi è perentorio. «Non direi. Generalmente, infatti, sono sempre stato bene. Il problema all’appendicite è stato qualcosa di improvviso, mentre al Giro sono certo di esser stato male per colpa di alcuni integratori molto commerciali che usavo all’epoca e che già in qualche occasione mi avevano scombussolato stomaco e fisico. Tornato a casa ho subito buttato tutto».

Nonostante gli stop che più volte ne hanno interrotto la rincorsa, al termine dei tre anni in arancio-blu Filosi è emigrato in Francia cogliendo al volo la proposta della Delko. L’organizzazione della squadra e lo stress dovuto alle tante trasferte a cui è chiamato durante l’anno, però, lo divorano e ne minano spirito e serenità. Filosi fatica a farsi vedere e sente che lasciare casa, il suo paese e i monti della Valle del Chiese diventa sempre più dura. Così, dopo due anni oltralpe, maturano le condizioni per il ritorno a casa e a fornirgli quest’opportunità è la Bardiani, dove evidentemente non si sono dimenticati delle sue capacità e degli exploit degli anni precedenti. La Bardiani, tuttavia, non gli offre solo un contratto e un’occasione per rilanciarsi, ma anche quella di possibilità di svoltare concentrandosi esclusivamente sul presente e lasciandosi alle spalle le recenti stagioni in chiaroscuro.

«Ho riflettuto, ho capito cosa non è andato, ma sinceramente quello ormai è il passato. Sicuramente, vedendo quello che ho vinto qualche anno fa, mi aspettavo di più: ma non sempre le cose vanno come uno se le immagina».

Indossata la nuova casacca, giorno dopo giorno in lui è tornata la tranquillità, il piacere di allenarsi e fare sacrifici in sella alla propria bicicletta. Il lockdown non ha minato il suo spirito («Sono riuscito a gestirmi bene, senza strafare, e in generale sono contento della condizione e di come sto pedalando ora dopo un periodo così buio») e in questo è stato aiutato dalla possibilità di vivere la quarantena tra le sue montagne, quelle che nei mesi precedenti a volte aveva visto solamente di sfuggita. Quei profili rocciosi, quei pendii solcati in inverno con gli sci ai piedi, quei sentieri nascosti nei boschi ideali per camminare e quell’aria salubre, per il nativo di Brescia rappresentano un vero e proprio toccasana. «La montagna mi dà calma e benessere. D’estate ci sono un sacco di belle passeggiate, anche se nel mio caso sono sconsigliate perché rovinano la muscolatura, mentre d’inverno riesco a godermi quel mese di pausa che abbiamo facendo lavori alternativi sugli sci e praticando altri sport. Quando sono in giro tutto questo mi manca come mi manca il paese in cui abito, un posto al quale sono molto legato».

©Iuri Filosi, Twitter

In questo contesto, una volta Filosi era solito anche andare a pesca («Ora non la pratico molto spesso»), mentre oggi sfoga con piacere la sua passione per i motori. «Mi piacciono sia le auto che le moto e quando ho tempo mi diverto a fare il meccanico, smontando e rimontando. Un giorno mi piacerebbe andare a vedere un gran premio dal vivo, ma è difficile conciliare questo desiderio con gli impegni in bici. Tuttavia, abitando qui vicino, esco spesso (in bici e non solo) con Marco Melandri, il quale mi ha promesso che un giorno mi porterà». Nel frattempo, Filosi ha ripreso a coltivare anche i propri sogni ciclistici come quello per la Milano-Sanremo, una corsa che il ventottenne di origini lombarde sente particolarmente e che quest’anno si correrà eccezionalmente l’8 agosto.

«Mi piacerebbe affrontarla al massimo della condizione. È una corsa a cui tengo molto, adatta a me e in cui posso e voglio fare bene. Delle tre classiche monumento che ho affrontato in carriera finora, per altimetria e percorso è quella che si sposa meglio con le mie caratteristiche. Della Roubaix ho brutti ricordi: la prima volta che l’ho fatta, a causa delle scarpe, ho avuto una tendinite e un’infiammazione al metatarso che ho impiegato un anno a sistemare. In teoria potrebbe anche essere una corsa adatta a me, però evidentemente ho le ossa delicate e la soffro più del dovuto. Il Lombardia sulla carta è molto duro: per capire cosa posso fare devo arrivarci preparato».

Fedele a una filosofia di vita spensierata ma allo stesso tempo testardo e deciso a raggiungere gli obiettivi che si prefissa, Filosi farà di tutto per farsi trovare pronto e dare un’ulteriore prova di aver imboccato la giusta strada. In quest’ottica, dopo le classiche, Filosi potrebbe e vorrebbe anche ritrovarsi a riallacciare il filo con un altro evento prestigioso come il Giro d’Italia, provando a cancellare la giornata di Arezzo magari puntando a qualche tappa, e aggiungere così un bel ricordo a quelli indimenticabili d’infanzia.

©Mirco Maestri, Twitter

«Quando avevo cinque o sei anni sono andato a vedere il passaggio della corsa sul Crocedomini assieme a mio padre. Lui era in bici e io lo accompagnai, pedalando davanti a lui su una piccola biciclettina. Ricordo che mi guardavano tutti. L’altra immagine indelebile che conservo del Giro è quella della vittoria di Marco Pantani a Madonna di Campiglio, dove anche in quel caso mi ero recato per vedere la corsa. Quella è veramente rimasta impressa dentro di me».

Filosi non nasconde l’emozione quando parla del Pirata: l’intensità del ricordo di quella giornata si percepisce chiaramente attraverso le sue parole e si trasforma in un sospiro sognante quando rammenta che una frazione del Giro di quest’anno si concluderà proprio nella rinomata località trentina, un luogo che inevitabilmente è legato a circostanze poco felici e a un nebuloso passato sportivo che tutti gli appassionati purtroppo ricordano e dimenticherebbero volentieri. Più nitido invece è il passato di Filosi, il quale però, mai come ora, vuole solo guardare avanti e scoprire cosa gli riserverà il futuro.

 

 

Foto in evidenza: ©Bettini Photo, per gentile concessione di Luca Barioglio e Bardiani-CSF-Faizanè