I rimpianti non mi si addicono: intervista a Katarzyna Niewiadoma

Intervista a Katarzyna Niewiadoma, una delle atlete di riferimento del gruppo.

 

Quando le nuvole basse schiacciano contro il cielo la piazza del centro di Limanowa, viene da chiedersi quanta forza serva a ogni dettaglio di quel piazzale per restare radicato a terra. La chiesa, il pavé, i pini che nel grigiore diventano argentati, sembrano quasi soffocare il respiro dello spettatore tanto sono compressi. È la storia di una terra. Guareschi scriveva che talvolta la Polonia può somigliare a un canto che si leva dalla folla: «un dolore dignitoso di gente usa da secoli ad essere schiacciata e a risorgere, di gente che viene uccisa sempre e non muore mai». E continuava: «Ogni cosa in Polonia, ogni gesto, ogni accento parla della passione polacca».

Katarzyna Niewiadoma, il 29 settembre 1994, è nata qui. «Sono nata a Limanowa, ma sono cresciuta a Ochotnica. Credo siano circa trenta chilometri da Limanowa. Ochotnica è un comune rurale, una tranquilla cittadina di montagna, simpatica direi. Poco più di ottomila abitanti. Ho frequentato la scuola in questo ambiente fino a diciannove anni. Forse non c’è molto, ma c’è tutto quello che mi fa stare bene. C’era la mia famiglia, ad esempio, e mi bastava. Ho amato ogni sentiero di Ochotnica: sono cresciuta libera, ho avuto la possibilità di essere libera, di essere felice, di conoscere il mio corpo e di usarlo per sentirmi meglio».

©Emanuela Sartorio

Niewiadoma racconta che Ochotnica somiglia molto alla Toscana ed è vero. Se la passione a Limanowa assume i contorni di una Pietà deposta, a Ochotnica la luce ricorda La Luzerne, Saint-Denis del puntinista Georges Seurat. «È difficile dire se sia meglio crescere in una città rurale o in una delle nostre città moderne. Dipende da quanti anni hai, dal tuo lavoro, dalle opportunità che cerchi. Quando si cresce si vorrebbe esplorare il mondo, io ho potuto farlo ma non tutti hanno questa possibilità. Oggi vivo a Girona, in Catalogna, e mi manca la montagna, mi mancano quei pomeriggi e quelle sere. Quel silenzio. Qui c’è tanto traffico».

Kasia Niewiadoma guardava papà, quell’uomo così sportivo e così attivo. Un padre che la incoraggiava a praticare sport, a fare qualcosa con il suo corpo. Lei iniziò a correre a piedi. Tutto cambiò una sera: papà varcò la soglia di casa con una bicicletta e rivolgendosi a Katarzyna disse poche parole. «Vuoi venire con me in bicicletta? Vuoi fare qualche gara con me?». Lo disse nel modo in cui i padri parlano con i figli quando vogliono fare qualcosa assieme a loro. Perché sì, ci sono gli amici: ma è diverso. Lo disse con quegli occhi lì. Quelli che tutti hanno visto almeno una volta nello sguardo del loro padre.

E se Niewiadoma racconta in un certo modo il ciclismo, forse è anche perché quegli occhi se li ricorda ancora. «Amo il ciclismo. Intendo dire che amo stare su quella bicicletta, stare all’aria aperta, gareggiare. In realtà della mia vita amo tutto: apprezzo ciò che ho e ciò che sono. Questo sport è una parte essenziale della mia vita. C’è anche la mia carriera, ma mi spaventa l’idea di vedere il ciclismo solo come un lavoro. Il ciclismo è quella sensazione di pace che senti quando vai dove vuoi e nelle orecchie hai solo il suono della bicicletta. Quando ti senti bambino perché in fondo lo sei, bambino, almeno in quei momenti. Magari in sella a una Merida blu e rossa».

©Twitter

E ritorna quel forte sentire polacco, quel donarsi senza ritorno, senza nostalgia. «Facevo delle autentiche pazzie in bicicletta. Ore ed ore di allenamento, magari anche sei ore in sella ogni giorno. Una follia. Esageravo, ma per amore si può anche esagerare». Si parla degli anni in Rabo-Liv, si parla della convivenza con Marianne Vos, Anna van der Breggen e Pauline Ferrand-Prévot, in quel triennio 2014-2016. «È stata una grande sfida. Ero molto giovane e motivata: avevo una possibilità incredibile. Volevo essere come loro, volevo essere una di loro, volevo aiutarle. Non mi hanno mai fermato ma mi hanno dato dei consigli preziosi, in particolare a livello tattico. Per migliorarsi servono mesi, forse anni. Ho rimodulato così la mia scheda di allenamento, l’ho semplificata. Mi hanno insegnato a darmi il mio tempo, a non esagerare. A vivere il mio tempo».

Niewiadoma è una ragazza estroversa. Chi la conosce bene racconta che ha un carisma tale che, probabilmente, sarebbe riuscita bene in qualunque lavoro avesse intrapreso. Qualche insicurezza, però, l’aveva anche lei. Certo, bisognava conoscerla bene per notarla, magari osservarla attentamente quando scattava. Lo ha fatto Connie, la madre di Taylor Phinney, il suo ragazzo. Connie Carpenter è stata una ciclista di fama internazionale, vincitrice dell’oro olimpico a Los Angeles 1984. Con Niewiadoma ha da sempre un ottimo rapporto: Kasia si confronta con lei e nonostante il ciclismo sia cambiato i consigli di Connie restano così attuali che metterli in pratica può cambiare tutto. Un giorno Connie la prese da parte. «Vedo che quando scatti ti volti sempre e guardi il gruppo: non una volta, diverse volte. Perché lo fai? Tu sei davanti. Dove stai andando? All’arrivo. Tu devi volgere lo sguardo lì. Il tuo pensiero deve essere la linea del traguardo, non il gruppo dietro di te».

Lo scambio con Taylor Phinney e la sua famiglia scava nel profondo, non si ferma al ciclismo. Phinney dipinge e Niewiadoma scopre i colori e la pittura. «Faccio qualcosa di diverso da quello che fa Taylor. Non dipingo per esporre, dipingo per me. Le macchie di colore mi rilassano, mi cambiano umore. Il mio colore preferito è il giallo. Grazie ai colori riesco a staccare. Se sono annoiata o stressata, usare i colori mi cura. Per questo non ho un soggetto preferito, qualunque soggetto m’ispiri è quello giusto. Io gioco con i colori».

©CANYON//SRAM Racing, Twitter

In Canyon-SRAM, Niewiadoma è compagna di squadra di Elena Cecchini. «Mi piace molto Elena, mi piace il suo modo di lavorare. Ha un’energia positiva e il suo influsso sulla squadra si sente. Si sta bene in bicicletta con lei». In realtà Kasia Niewiadoma confessa che è attratta dal modo di vivere italiano: qui racconta di avere ricordi positivi e di ritornare sempre volentieri. Ama il cibo, l’atmosfera, le persone e una città «bella come Siena, quasi magica». Poi ci sono le gare: in cinque partecipazioni al Giro Rosa, Niewiadoma si è classificata fra le prime dieci per ben quattro volte. «Il Giro Rosa è una corsa molto importante per me. Vorrei vincerlo, prima o poi. Per farlo, però, dovrò imparare a gestire una gara che si svolge sui dieci giorni: si lotta fino all’ultima tappa e ho notato che di solito le mie crisi arrivano all’ottava tappa circa. L’anno scorso ero terza in quel momento e alla fine ho concluso quinta».

A Castellania, il 5 luglio 2019, c’erano campi di grano maturo e un sole giallo ocra a spaccare le pietre, più di trenta gradi. La sofferenza delle atlete era la scena predominante, nei metri dopo il traguardo di quella cronosquadre inaugurale. Niewiadoma la ricordiamo abbracciata alle sue compagne prima dell’arrivo dell’ultima squadra, poi l’attesa che diventa fremito ed esplode in festeggiamenti. «La maglia rosa è felicità pura. È la possibilità di celebrare un successo con la squadra, di andare in conferenza stampa e raccontare».

La predilezione di Katarzyna Niewiadoma è per le classiche. Racconta che le piacciono tutte, noi aggiungiamo qualche numero. Ha vinto l’Amstel Gold Race e il Trofeo Binda, è arrivata terza alla Freccia Vallone e alla Liegi Bastogne Liegi, tre volte seconda e una volta terza alla Strade Bianche. «Non so dire quale classica preferisco. All’inizio della stagione andare in Toscana, a Siena, è un po’ come tornare a casa; correre con i ragazzi ci regala tanti spettatori e, sono sincera, mi emoziona. Il Fiandre ha un fascino particolare, anche se mi piacerebbe tornare a vincere l’Amstel Gold Race e sogno la Freccia Vallone e la Liegi-Bastogne-Liegi. La Freccia Vallone in particolare: credo sia una di quelle gare che rendono tutto chiaro. Mi spiego meglio: è una gara da grandi atlete, quando la vinci ti senti diversa».

©CANYON//SRAM Racing, Twitter

Ai tempi della scuola le piaceva la matematica e pensava a un lavoro di ufficio, magari contabile. Ripensandoci a distanza di anni, crede che alla fine non sarebbe stata capace di portare avanti un mestiere di quel tipo. Nel ciclismo ha scoperto l’adrenalina e, quando sei abituata a vivere sul filo, la costante normalità a cui molti aspirano è un pensiero difficile da gestire. «Quando smetterò di gareggiare, per qualche anno mi piacerebbe gestire una squadra giovanile nel gravel: devi spingere a tutta fino in fondo, sei in un equilibrio instabile e il rischio provoca l’adrenalina. Vorrei avere una mia squadra e aiutare i giovani a praticare questo sport».

Non sappiamo come inizierebbe il suo primo allenamento, ma crediamo che prima o poi a quei giovani direbbe quello che dice a noi quando le chiediamo cosa prova quando pedala. «Sento che sto facendo qualcosa che fa per me, qualcosa che sento di dover fare. Siamo sempre alla continua ricerca di tempo per sbrigare tutte le nostre faccende. In bicicletta no, in bicicletta non ti preoccupi del resto: di tempo ne vorresti di più solo perché da quella sella non vuoi scendere». L’adrenalina le somiglia e somiglia alla sua musica preferita: la musica elettronica. Su qualche palco, con quel cappellino con la visiera alzata e un sorriso talmente forte che sembra scavare lo stomaco, sembra una rockstar. Fra le sue fantasie di bambina, una resta ancora: vorrebbe gestire una caffetteria o una pasticceria. Cucinare le piace, in particolare ama i dolci. In Italia fa un’eccezione per la pizza.

Sta di fatto che il ciclismo è il suo mondo, un mondo su cui ha le idee chiare. «Il ciclismo femminile è cresciuto velocemente negli ultimi anni. Una volta c’erano più ragazze che partivano con l’idea di partecipare. Adesso è diverso, adesso partono tutte per vincere e il bello è che quasi tutte hanno la possibilità di vincere. C’è maggiore combattività e questo rende più belle le gare. Certo, bisogna continuare a crescere. Il discorso della visibilità mediatica è difficile da affrontare: noi non abbiamo il Tour de France, ad esempio, una gara dalla grossa esposizione mediatica. Sicuramente rispetto al movimento maschile abbiamo una minore visibilità».

Niewiadoma racconta che se dovesse immaginare il prosieguo della propria carriera, vorrebbe ricalcare le orme di Connie Carpenter o di Anna van der Breggen. «Anna è una ragazza estremamente semplice e umile, ma è follemente innamorata del ciclismo. Sa quello che vuole dalla vita e questo le consente di non perdersi. È pressoché perfetta in bicicletta, ma cerca continuamente di migliorarsi».

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Un tratto caratterizzante di Katarzyna Niewiadoma è indubbiamente la capacità della sua mente di “smascherare” le brutture che la vita sembra presentare. Niewiadoma sa bene che alcune situazioni della vita di tutti i giorni sono irreversibili, oppure se reversibili non dipendenti dalla volontà umana. Una possibilità c’è, la persona può comunque fare qualcosa: rendere queste situazioni sopportabili perché dovrà sopportarle in ogni caso e, se riuscirà a togliere loro peso e ad alleggerirle, sarà tutto più semplice. «Non ho vissuto male il periodo di quarantena imposto dal Covid-19. In Spagna siamo stati bloccati in casa per sette settimane, mica poco. Ma cosa potevamo fare? Quando succedono certe cose puoi solo accettarle. Bisogna trovare un equilibrio e darsi la possibilità di andare avanti. Io ero con Taylor in quel periodo. È stato il momento per fare ciò che magari avremmo voluto fare da sempre, ma che la quotidianità ci impediva. Abbiamo scelto come impostare ogni giorno: qualche volta un allenamento più pesante, qualche volta più leggero e qualche volta pausa. Alla fine, sono anche stata contenta».

Fra dieci anni Niewiadoma si immagina in una casa di un paesino di montagna, magari ancora in Polonia, magari ancora a Ochotnica. Una di quelle case con un orto davanti. «Vorrei provare il piacere di uscire in giardino per raccogliere frutta e verdura, portarla in casa, pulirla e preparala per il pranzo. Perché? «Perché è sempre bello uscire di casa, sentire l’aria fresca in viso, guardare davanti e vedere i monti, no? Vorrei realizzare tutte quelle cose che ho immaginato durante la mia carriera. Mi auguro di non dover mai dire: “Avrei voluto fare questa cosa e invece…”. Di non dover avere rimpianti. Vorrei una famiglia e dei bambini. Probabilmente non riuscirò a viverle tutte, ma una gran parte credo di sì».

Katarzyna Niewiadoma non ha libri preferiti e per la lettura si affida all’istinto, che altro non è se non passione in movimento. Però ha due cantanti prediletti: Paul Kalkbrenner e Alice Cooper. Proprio Kalkbrenner in “Sky and Sand” dice: “All this world ain’t got no end“, questo mondo non potrà finire. E no, per Katarzyna Niewiadoma questo mondo non potrà proprio finire.

 

 

Foto in evidenza: ©CANYON//SRAM Racing, Twitter

Stefano Zago

Stefano Zago

Redattore e inviato di http://www.direttaciclismo.it/