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Cultura

"E ora pedalare come Bartali". Intervista a Davide Cassani

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“Se Gino Bartali fosse qui, direbbe ‘l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare’. Ci spronerebbe a rialzarci dalle macerie di questa pandemia, cambiando il nostro modo di muoverci nelle città, visto che le abbiamo trasformate in trappole di smog”. A vent’anni esatti dalla scomparsa dell’eroe del ciclismo italiano, il ct della Nazionale italiana Davide Cassani regala ad HuffPost un concentrato di filosofia del ciclismo, un’attitudine che in questo momento farebbe bene all’Italia intera. Perché se è vero che l’Era della Bici non si improvvisa in un giorno – e rispetto ad altri Paesi siamo indietro di decenni – è altrettanto vero che è tempo di fare sul serio e “cominciare a investire nella mobilità alternativa, nell’uso di bici e monopattini”. Ce lo chiede l’emergenza Covid – che improvvisamente ha trasformato le due ruote nel mezzo più ambito perché più sicuro – e ce lo chiede l’aria che respiriamo, la peggiore d’Europa. Secondo Cassani, “per la classe politica è un’occasione di mostrare un po’ di lungimiranza: il Paese ha bisogno di un piano che promuova con decisione la mobilità alternativa. Come ha bisogno del Giro d’Italia. Per sognare, emozionarsi, ritrovarsi ancora”.

Vent’anni fa ci lasciava Gino Bartali, leggenda del ciclismo italiano. Qual è la sua eredità? Come può aiutarci oggi ad attraversare questo tempo di crisi e ricostruzione?

“Se Gino fosse qui, direbbe “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Bartali lo abbiamo sempre applaudito come grande campione, senza renderci conto che nella sua vita aveva fatto molto di più: aveva aiutato tantissimi ebrei salvandoli da morte certa. Questo dà lo spessore dell’uomo prima ancora che del campione che tutti abbiamo conosciuto”.

 

Nel ’46, in un Paese distrutto dalla Guerra, fu lui a vincere il Giro d’Italia. Oggi anche questo appuntamento è a rischio a causa del coronavirus… Cosa aspettarsi per il mondo del ciclismo di fronte all’emergenza Covid, visto che è uno sport impossibile da fare a porte chiuse?

“È impossibile farlo a porte chiuse, però non c’è quell’assembramento che potrebbe esserci in uno stadio. Certo, qualche rischio indubbiamente c’è, ma con degli accorgimenti è possibile adattarsi alla situazione. Nelle ultime tappe della Parigi-Nizza, che è terminata il 14 marzo, gli organizzatori erano riusciti a non far arrivare il pubblico alle partenze e agli arrivi, quindi una sorta di ciclismo a porte chiuse in realtà è già stato fatto. Per quanto riguarda il Giro d’Italia, mi auguro che si faccia nel mese di ottobre. Lo riuscirono a fare anche nel ’46, quando il Paese era in ginocchio, ridotto a un cumulo di macerie. Fu molto importante perché alla fine tanti italiani si identificarono in quel duello Coppi-Bartali. Fu così importante che venne definito il Giro della Rinascita. Mi auguro ci siano le possibilità e i presupposti per tenere la gara. Per il ciclismo ma non solo”.

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Sarebbe comunque un giro diverso, unico. Come lo immagina?

“Gli organizzatori dovranno ridisegnare le prime tre tappe perché non si potrà partire dall’Ungheria, ma le altre potrebbero rimanere identiche. È naturale che dovendo andare sullo Stelvio e sull’Agnello dovranno comunque pensare a un piano B, a una tappa alternativa se dovesse essere brutto tempo, ma negli ultimi anni il mese di ottobre è sempre stato molto bello”.

Il ciclismo è uno sport che richiede grande resistenza, sacrifici, impegno. Capacità di attraversare la fatica senza farsi schiacciare, con la fiducia che poi arriverà la discesa. Tutte qualità di cui il Paese, in questo momento, ha molto bisogno… In che modo l’insegnamento che arriva dal ciclismo può far bene dall’Italia?

“Perché è uno sport di fatica, perché è l’unico sport che ti passa sotto casa, è l’unico sport che abbraccia l’Italia intera. Il prossimo Giro potrebbe partire dalla Sicilia e attraversare quasi tutte le Regioni, fino ad arrivare al Nord. Il ciclismo è veramente una festa popolare, non è solo una corsa in bicicletta”.

Nella Fase 1 dell’emergenza siete stati tra i primi a fermarvi, dimostrando un forte senso di responsabilità. Quali sono le indicazioni ai ciclisti – amatori e professionisti – per la Fase 2?

“La prima cosa è continuare ad avere quella responsabilità che abbiamo avuto due mesi fa, quando prima di tutti gli altri ci siamo fermati. Abbiamo subito capito che forse era meglio non uscire in bicicletta ma attendere, perché stavamo andando incontro a qualcosa di ignoto e preoccupante. Ora dobbiamo continuare ad avere questo rispetto e questa responsabilità, riprendendo a fare attività fisica, ma rigorosamente da soli, con gli occhiali, usando fazzoletti monouso, cercando di avere con sé la mascherina nel caso dovessimo arrivare a una fontana o a un punto dove potremmo trovare altre persone. La chiave è avere rispetto per sé e per gli altri, cercando di fare quell’attività fisica che è certamente importante ma senza mai venire meno al principio di responsabilità che adesso è ancora più importante”.

Molte voci, dal governo e dalla politica, invocano la bici come mezzo ideale nella fase di “convivenza” con il virus. Oggi la ministra De Micheli ha annunciato incentivi per l’acquisto e più piste ciclabili. Ma cosa serve davvero per entrare nell’Era della Bici?

“Innanzitutto bisogna capire che, al di là del virus, la nostra mobilità va completamente rivista. Su questo il Covid può fare da acceleratore: se nelle prossime settimane/mesi i mezzi pubblici potranno assorbire solo il 25% degli spostamenti che coprivano prima, la situazione diventa problematica. Per tragitti fino a 5 km è dimostrato che la bicicletta è il mezzo più veloce; in tempi di Covid è anche il più sicuro, visto che consente di mantenere il distanziamento sociale. Sarebbe miope non cogliere l’opportunità di rivedere il nostro modello di mobilità, tanto più che la stagione gioca in nostro favore. Città come Parigi, Amsterdam, Copenaghen e Londra stanno investendo moltissimo nella mobilità alternativa. Non vedo perché non possiamo farlo anche noi italiani, considerando che la bicicletta ha sempre fatto parte della nostra cultura e della nostra società. È incisa nel nostro dna”.

Gli italiani amano la bici ma allo stesso tempo sono anche molto pigri… e il modo in cui (non) funzionano le nostre città non aiuta. Come venirne a capo?

“Ormai anche questa scusa è saltata perché c’è la bici elettrica che ti permette di usufruire delle due ruote anche se non sei allenato, se non vuoi sudare perché devi andare al lavoro, se devi percorrere una distanza maggiore. Adesso a Parigi l’uso della bici è al 5%, ma c’è l’intenzione di arrivare al 10-15%. Possiamo farlo anche noi, ma bisogna crederci e investirci su. Le città più lungimiranti stanno cercando di diventare più verdi, più vivibili. Non dimentichiamo che nel mondo lo smog uccide più del tabacco. L’Italia – secondo l’Oms - è al nono posto nel mondo per i decessi causati da gas e polveri sottili. Solo il 40% dell’inquinamento arriva dalle macchine, ma non è poco. Una città lungimirante, che voglia essere più vivibile, deve dare la possibilità a chi vuole usare la bicicletta o vuole andare a piedi di avere quello di cui ha bisogno”.

Quindi più aree verdi, percorsi ciclabili, bike sharing, incentivi… Una rivoluzione, insomma.

“Il bike sharing è una buona soluzione, lo uso anche io ogni volta che vado a Milano in treno. Avrò fatto 1.200 km in un anno con quelle biciclettine lì, ma non perché sono allenato, semplicemente perché è lo strumento migliore: so quando parto e quando arrivo, e soprattutto do la possibilità all’aria di essere un po’ più pulita. L’Olanda – ricordiamolo - non si è inventata ciclista da un giorno all’altro. Hanno intrapreso una politica, così come stanno facendo Copenaghen, Oslo, Londra, Parigi. Ci vogliono anni, forse decenni, è vero… ma bisogna cominciare. I bravi politici devono guardare all’oggi ma preoccuparsi soprattutto del domani, devono essere lungimiranti”.

Cosa ne pensa della proposta della De Micheli sulla Bike lane (una corsia condivisa bici-moto), criticata da molte associazioni?

“Bisogna capire bene come funziona. In molte città ad esempio hanno abbassato il limite di velocità da 50 a 40 km/h. Di conseguenza è diminuita anche la mortalità legata agli incidenti. Anche lì bisogna capire bene qual è la soluzione migliore. Di certo alla base ci deve essere il rispetto reciproco: ogni persona deve mettersi nei panni degli altri, e questo vale per tutti, dal pedone al ciclista fino all’automobilista. È un discorso molto importante: una forma di educazione che deve partire dai bambini, coloro che nel tempo occuperanno le nostre strade - si spera sempre più spesso in bicicletta”.

Per due mesi la pandemia ci ha chiusi in casa, ora ci impone comunque di stravolgere il nostro modo di vivere. Quale impatto avrà nel lungo periodo sul nostro modo di spostarci?

“Credo che non dobbiamo avere paura di cambiare. Molti temono che riducendo il numero di auto si finisca per penalizzare i commercianti, ma il buon senso suggerisce che quando una città è più vivibile, più verde, più bella, alla fine i commercianti non ci rimettono, anzi. Milano e Torino sono tra le città più inquinate d’Europa. Ora le persone sono molto preoccupate per la propria salute, e giustamente. Ma a lungo andare, con quest’aria, la salute la perderemo lo stesso, Covid o non Covid. Sul territorio nazionale non mancano gli esempi virtuosi: è il caso dell’Emilia, dove la bicicletta è un mezzo molto usato, ma anche del Veneto e di città come Pesaro, Pescara, Bari, che negli ultimi tempi hanno fatto delle belle politiche. Però come Paese bisogna crederci. E pedalare”.

ansa/agf/ansa
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