IL SOGNO DI VIVIANI: «LA SANREMO»

INTERVISTA | 04/01/2018 | 13:56
Elia Viviani cambia sempre qualcosa. L’anno scorso, dopo l’oro di Rio, ha lasciato la pista per dedicarsi anima e corpo alla strada. Quest’anno ha lasciato il Team Sky per ricominciare in un altro squadrone, la Quick Step-Floors. Ma prima si è fermato, e si è concesso una lunga vacanza in Thailandia con la sua Elena Cecchini, che con lui divide pista, strada e vita. «Ai primi di novembre ho ripreso a pedalare. Ho già fatto quasi cinquemila chilometri, anche perché voglio partire forte, punto molto sulla prima parte della stagione. Dobbiamo giusto mettere a posto il treno, sarà il mio valore aggiunto».

Chi saranno i suoi uomini?
«Quelli fissi sono Sabatini e Mørkøv. Gli altri si alterneranno. In Australia ci sarà Sénéchal, che è molto veloce».

Il programma?
«Il Tour Down Under, gli Emirati. Fra Tirreno e Parigi-Nizza si deciderà dopo aver visto i percorsi. Dopo la Sanremo un buon modo di avvicinarsi al Giro d’Italia sarebbe correre il Romandia».

 Che corsa è per lei la Milano-Sanremo?
«Se il massimo in pista era vincere l’Olimpiade, il massimo su strada sarebbe vincere la Sanremo».

Con Gaviria siete stati rivali, adesso siete compagni di squadra.
«Non ci troveremo spesso alle stesse corse, e avremo compagni diversi».

Alla Sanremo ci sarete entrambi.
«Non siamo gli unici a volerla vincere in squadra. Ci sono anche Gilbert e Alaphilippe. Speriamo di essere ancora tutti e quattro lì dopo il Poggio, e a quel punto si deciderà. Questa è una corsa che va inseguita a lungo. Ci arriverò con venticinque giorni di gara nelle gambe, farò il possibile per essere al massimo».

Con il suo fisico potrebbe puntare anche al Fiandre.
«Devo essere sincero, quando ho vinto a Plouay ho cominciato a pensarci. Ma non sarà quest’anno, ho altri obiettivi. Darò tutto per la Sanremo e poi voglio presentarmi al Giro al 110%. Però un giorno ci proverò: Kristoff il Fiandre l’ha vinto e come caratteristiche mi ci rivedo, quindi perché no».

Arriva alla Quick Step dopo l’addio di Kittel. Uno stimolo in più o un peso?
«Non mi preoccupa. Quello che mi interessa è che sono nel miglior posto possibile per me. Kittel è il velocista più potente al mondo. Io sono un buon velocista che può vincere anche le classiche, ed è quello che voglio essere. Se sto bene voglio vincere anche la corsa del campanile ma se dovessi vincere la Sanremo o tre tappe al Giro il mio anno sarebbe fantastico così».

Il 2017 è stato importante: 9 vittorie e 10 secondi posti. Che cosa le manca ancora?
«Vorrei riproporre il Viviani di fine 2017 al momento giusto. Ho soltanto un rammarico per il Mondiale. Purtroppo il picco di condizione l’ho avuto a Plouay: ho cercato di mantenerlo fino a Bergen ma un mese è molto lungo».

Dieci secondi posti cosa vogliono dire?
«Sette sono arrivati a inizio stagione: era l’anno del passaggio dalla pista alla strada, ho messo tante ore nelle gambe e l’ho pagato, non ero brillante in volata. Quando ho raggiunto un equilibrio, nella seconda parte della stagione, i risultati si sono visti».

Che significato dà al ritorno al Giro d’Italia?
«Voglia di rivalsa. Dell’ultima volta, nel 2015, ho un bellissimo ricordo: la tappa vinta, le due settimane in maglia rossa. Non vedo l’ora di tornare a correre davanti ai tifosi italiani dopo l’oro di Rio».

Quanto ha pesato il fatto di non aver fatto il Giro e le altre grandi corse a tappe nel suo addio al Team Sky?
«Non è stato tanto il fatto di non averli fatti quest’anno. Ma il fatto di capire che anche nel 2018 rischiavo di non andare al Giro, e che forse non lo avrei più fatto neanche in futuro. Non è facile lasciare Sky, sei nella squadra che tutti sognano e te ne vai... Però proprio in quel momento ho avuto l’offerta della Quick Step, e questo mi ha aiutato a decidere».

Il Team Sky è molto criticato in gruppo per il suo modo di correre, è sicuro che sia il sogno di tutti i suoi colleghi?
«Sì. Quando sei lì non ti manca niente, devi pensare soltanto a correre, a fare bene il tuo lavoro. Non è normale trovare un ambiente così. E lo dico io che sono stato fortunato, sono passato da uno squadrone a un altro, visto che la Quick Step è al top da anni». 

Però tutti criticano il modo di correre della Sky.
«Loro hanno una maniera diversa di vedere il ciclismo, e lo dicono apertamente. A loro non interessa lo spettacolo, vogliono vincere. E non gli interessa neanche piacere alla gente. Hanno un progetto lunghissimo, investiranno ancora nel ciclismo. Dominano da anni la corsa più importante del mondo, il Tour de France. Hanno i migliori corridori al mondo, assumono il controllo della corsa e hanno il potenziale economico e atletico per farlo. Che questo piaccia alla gente per loro è secondario».

Cosa pensa della vicenda Froome?
«Conosco bene Sky, e non trovo un motivo per cui Froome avrebbe dovuto prendersi dei rischi, sapendo fra l’altro di essere sicuramente controllato ogni giorno. So come la squadra tiene tutto assolutamente sotto controllo, in senso buono, e non è possibile pensare che abbiano fatto anche solo un puff in più di Ventolin. Naturalmente da corridore dico anche che se non riuscirà a dimostrare cosa è successo, non è giusto che qualcuno abbia pagato e lui no».

Che cos’ha cambiato l’oro olimpico nella sua vita?
«Vincere un’Olimpiade ti apre ad altri mondi. Una cosa nuova, almeno per me, è la gente che ti riconosce per strada. E’ bellissimo, qualche volta un po’ imbarazzante. Mi fermano e mi dicono: quanto mi hai fatto piangere. Oppure: quante parolacce mi hai fatto dire quando sei caduto, ho tirato tutti i cuscini al televisore. Ti raccontano cosa stavano facendo loro mentre tu vincevi l’Olimpiade, è il loro modo per dirti che sei stato qualcosa di indimenticabile».

Qualche altro mondo?
«Ho scoperto che il Coni è una figata. Prima avevo la mia squadra e, quando mi chiamavano, la nazionale. Adesso sento di far parte anche della squadra del Coni, partecipo a eventi che coinvolgono altri sport, ho conosciuto atleti lontani da me. Sento spesso Valentina Marchei, la pattinatrice, energia pura. Ho conosciuto Sofia Goggia, Peter Fill. Marta Pagnini, che era la capitana delle Farfalle, Elisa Di Francisca, Clemente Russo. Il viaggio di ritorno da Rio l’ho fatto con Greg Paltrinieri, adesso ci scriviamo, spero di vederlo in Australia. E’ come avere un’altra famiglia».

Tornerà in pista?
«Torno, torno. Non ho ancora fissato quando, ma penso il prossimo inverno, per le qualificazioni olimpiche. Il quartetto comunque non ha bisogno di me».

Le manca la pista?
«Un po sì, ma cerco di non farmela mancare. Faccio le sei giorni apposta».

A Tokyo allora ci pensa.
«Ci penso sì. Anche perché il tempo vola, ormai ci siamo... Io le Olimpiadi le ho vinte, il problema è che poi vuoi rifarlo. Vuoi provare ancora quella sensazione, la più bella che ci sia».

Alessandra Giardini, Corriere dello Sport Stadio
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