In un flusso continuo: intervista a Maria Giulia Confalonieri

La cugina Arzuffi, la strada, la pista, le Olimpiadi: Confalonieri si racconta.

 

 

Se dovessimo raccontare Maria Giulia Confalonieri attraverso il “non detto”, potremmo partire dal suo sguardo rivolto ad Alice Maria Arzuffi mentre la stessa risponde alle nostre domande. Lo sguardo di chi ha scelto di scommettere su di te, occhi complici, quasi una curiosità di capire che senso costruiranno quelle parole. Uno sguardo che ricorda a tratti quello dei fratelli maggiori quando, incrociando gli occhi dei fratelli minori, sembrano ricostruire in pochi secondi il filo di un passato condiviso, per proiettarlo lì, davanti all’interlocutore.

Maria Giulia ha solo un anno in più di Alice: ventisei anni lei, venticinque la Arzuffi. Da piccole frequentavano lo stesso asilo e al pomeriggio si trovavano dalla nonna per giocare. Nascere prima, anche solo qualche mese prima, le consente però di essere la prima a sperimentare determinate situazioni. Arzuffi arriva al ciclismo perché al ciclismo è arrivata Confalonieri. Maria Giulia ricorda di aver sperimentato tanti sport, nuoto e calcio in particolare, prima di incontrare, quasi per caso, il proprietario della Senaghese: “Probabilmente lui non ci pensó molto, ma mi disse che mi avrebbe vista bene in bicicletta. Tornai a casa e dissi la frase tipica di ogni bambino di fronte a un desiderio: “Papà voglio andare in bicicletta”. Mio papà ha sempre seguito il ciclismo, io vedevo il Giro d’Italia insieme a lui. Di più: lo ha anche praticato da amatore. Più tardi mi avrebbe accompagnata lui per i primi allenamenti oppure a vedere i passaggi del Giro Rosa o del Giro di Lombardia, quando già correvo, ma in quei momenti avrebbe preferito praticassi pallavolo all’oratorio. Vinsi io: alla fine cedette e mi accompagnò da Daniele Fiorin, vicino a casa, per farmi provare”.

©Valcar Cylance Cycling, Twitter

Alcune volte, in particolare quando si è giovani, succede che si cambi idea di fronte a un desiderio nutrito per molto tempo e poi realizzato. Come se quella realizzazione non avesse appagato le aspettative o, al contrario, le avesse appagate sin troppo. Per Confalonieri non è stato così: “Ogni volta tornavo a casa più convinta, continuando a ripetere che volevo fare ciclismo. Tutte le indecisioni sullo sport da praticare che mi avevano accompagnato sino a lì erano svanite. Arrivò così la prima bicicletta, gialla e rossa. Ero contentissima”.

Il ricordo delle prime gare, descritte come un incubo, non toglie una virgola all’apprezzamento per quel periodo: “All’inizio mi allenavo pochissimo. Non avevo capito bene cosa volesse dire in realtà essere ciclista. Mi piaceva stare in bicicletta, ma alle gare era una fortuna se non mi doppiavano. Daniele Fiorin è stato bravo a prendermi sotto la sua ala, a fissare per me degli obbiettivi raggiungibili, a farmi allenare come bisognava fare. Ricordo che partivamo tutti assieme per gli allenamenti, ragazze e ragazzi di età svariate e discipline diverse. Provavamo cross, pista, strada, mountain bike. Ognuno aveva un programma diverso, ma stavamo assieme, facevamo gruppo, stavamo bene e intanto iniziavamo a crescere”.

C’è un viaggio di quegli anni che Confalonieri ricorda bene. È quello fatto in pullman verso Lecce per i campionati italiani di cross al primo anno da esordiente. “Io non credevo assolutamente alla possibilità di vincere. Anzi, diciamoci la verità: nessuno ci credeva. Gli unici a crederci erano Fiorin e mio papà. Ho vinto. La prima e l’ultima maglia tricolore le ricordi sempre. Del resto, da ragazzina i campionati nazionali e regionali sono i trofei più belli che si possono vincere. Poi è arrivato il trofeo Fardelli. All’inizio di ogni stagione l’asticella si alza sempre un poco”.

©Chiara Redaschi

C’è forte convinzione nella scelta di questo sport, che nel frattempo è diventato un lavoro, ma i piedi restano per terra. Lo si capisce parlando di studi: “Ho frequentato il liceo scientifico tradizionale, ma non l’università. Per il momento mi dedico alla bicicletta”. Una sorta di temporaneità imposta alla propria persona e alle proprie scelte, perché ingannare se stessi raccontandosi che le cose non cambieranno mai è il primo passo falso, tanto più in un mondo complesso come quello del ciclismo e del ciclismo femminile.

“Il primo anno lo approcci sempre con la mente al diploma. A me è andata bene perché in quel periodo sono entrata nell’Italpista. Nel tempo mi sono resa anche economicamente indipendente dalla mia famiglia e ho potuto scegliere la mia strada. Nel 2015 ho vinto il campionato italiano e sono entrata nelle Fiamme Oro. Quella è stata una svolta. Fossi stata nel maschile, probabilmente sarei professionista da tre anni. Invece di strada ne ho già fatta”.

Da qui, l’analisi entra nei meccanismi più complessi di un ambiente che Maria Giulia dimostra di conoscere nei minimi dettagli nonostante il passaggio nelle Elite risalga a soli sei anni fa: “Il salto nelle Elite è un salto nel vuoto. Puoi scegliere di passare subito con squadre “minori”, le quali però hanno un calendario ristretto a causa della mancanza di sponsor (e hanno pochi sponsor proprio per le poche gare disputate), oppure di aspettare e sperare che ti noti una squadra del World Tour. Se scegli la prima alternativa, correrai con le junior e non ti renderai mai conto delle tue effettive possibilità. Se scegli la seconda, almeno per i primi periodi, resterai staccata e faticherai a vedere la testa del gruppo perché il loro ritmo non lo reggi”.

©BIKENEWS.IT, Twitter

Il movimento è in crescita e Confalonieri crede ci siano ampi margini, tuttavia non nega che un’attenzione maggiore da parte del mondo dell’informazione sarebbe gradita. A suo avviso, il punto vincente è l’imprevedibilità che talvolta è del tutto assente nel maschile.

Confalonieri condivide spesso gli allenamenti con la cugina Arzuffi: “È un forte stimolo allenarmi con lei. Il mio dovere lo faccio sempre, se torno a casa avendo saltato un lavoro non mi sento tranquilla, ma quando ti alleni con atleti del tuo stesso livello migliori. Se riesco a tenere il ritmo di Alice in salita, mi rendo conto io stessa che alle gare, pur non essendo una scalatrice, vado meglio. Lei, forse, è anche troppo puntigliosa, troppo irrequieta: non reggerei due giorni di fila ai suoi ritmi”.

Il suo atteggiamento mentale, infatti, è differente: ci sono freddezza e lucidità in ogni comportamento in vista del fine da raggiungere. Rimuginare sugli errori non serve, quindi è inutile farlo; preoccuparsi tanto meno e prendere tutto troppo a cuore è deleterio. Non sono affermazioni di principio: sono idee che Confalonieri applica alla lettera in bicicletta e nella vita quotidiana, consapevole dei benefici che possono portare. Grazie agli undici anni che hanno corso assieme – otto da Fiorin, due alla Lensworld e uno in Valcar -, Confalonieri ha conosciuto anche Davide Arzeni, da sempre preparatore di Arzuffi: “È stato lui a propormi di lavorare assieme: all’inizio lo frequentavo da esterna, perché magari facevo i dietro macchina con Alice. Credo sia la persona adatta per seguirmi. Davide adotta strategie diverse con ognuna di noi: sa che se è il mio giorno no, è meglio una semplice sgambata senza insistere. L’anno prossimo passerò alla WNT-Rotor, ma ho chiesto che sia lui ad allenarmi”.

Insieme a Rachele Barbieri e Chiara Consonni. ©Polizia di Stato, Twitter

Nella descrizione di Maria Giulia Confalonieri, la pista assume contorni differenti a seconda dell’angolo da cui la si osserva. L’introduzione racchiude ogni significato: “La pista, quando è bella, è rumore”. È il caos del pubblico che sugli spalti incoraggia le ragazze ad essere oggetto di quel predicato nominale. “È il bello del moltiplicarsi di eventi anche all’estero. Entrare in un velodromo e sentire quel rumore che è tipico delle gare in pista, del pubblico sugli spalti. Chi lo ha provato lo riconosce subito: è un suono diverso da quello che si avverte sulle strade. I velodromi pieni di pubblico sono la grande bellezza”.

In questo spiega che il ciclismo è una sorta di grande circo che dona se stesso alla gente che va ad osservarlo. “Ricordo le prime prove di Coppa Del Mondo in Colombia. La gente assiepata in queste strutture ore e ore prima del nostro arrivo. Il Sudamerica è eccezionale. Certe volte ti chiedi dove trovino tutta quella voce per urlare”.

La constatazione amara è obbligatoria: in Italia le strutture scarseggiano, parafrasando noti autori la nostra pista si è fermata a Montichiari. Il velodromo di Treviso si è arenato proprio mentre le Olimpiadi 2020 si fanno sempre più vicine. Si supplisce alle mancanze grazie a una preparazione ed un livello che non hanno nulla da invidiare alle altre nazioni. La giovane brianzola descrive l’attività in pista con due termini, gli stessi che lega alle volate di gruppo:  istinto e concentrazione. Qualcosa che azzera i pensieri. Come gettarsi all’inseguimento in discesa dopo aver faticato allo strenuo in salita, altra cosa che le riesce bene.

©Chiara Redaschi

“L’istinto è importante, specialmente nelle gare brevi: il quartetto dura quattro minuti, se pensi troppo è la fine. Devi buttarti e fare ciò che senti in quel momento. La concentrazione ti consente di non perdere mai di vista l’obiettivo anche in gare lunghe come la corsa a punti. Puoi stare più o meno bene: tu devi fare il tuo massimo. Se stai bene, probabilmente dovrai farti carico anche di compagne che non sono in palla quel giorno. Se stai male, devi spingere fino a quando puoi e basta. Non devi risparmiarti e non devi permettere alla tensione di sfinirti. Si lavora in sincronia in un flusso che cambia continuamente”. Prima delle gare in coppia, Confalonieri confessa di appartarsi e di passare del tempo con la compagna con cui dovrà correre. “Ci si dice tutto, anche le paure. In particolare una: quella di rovinare il lavoro delle colleghe. Bisogna parlare. Parlando, anche se non passa, quantomeno la tensione si allenta”.

Il ricordo della pista più vicino risale a fine ottobre. Il pomeriggio di venerdì 18 ottobre, Maria Giulia Confalonieri si trova a Alpeldoorn, in Olanda: il giorno seguente la aspetta il campionato europeo di corsa a punti, già vinto nel 2018. Qualche giorno prima, nelle qualificazioni, si piazza quarta per colpa di un errore. Al mattino parla con Dino Salvoldi. Il commissario tecnico della nazionale la incita, dicendole che la vede particolarmente bene. Quel pomeriggio le si avvicina il meccanico: “Hai una bella gamba. Secondo me vinci”. È una scossa: “Sono scesa dalla bicicletta contentissima, ma fisicamente distrutta. Solitamente risparmio energie all’inizio per dare tutto alla fine: questa volta ho fatto gli ultimi trenta giri in apnea. La bielorussa andava a tutta. Ripetersi non è mai facile per una serie di varianti e invece ci sono riuscita”.

©BIKENEWS.IT, Twitter

Di lì a poco saprà che anche Arzuffi ha vinto, quello stesso pomeriggio, il Superprestige di Boom. Maria Giulia Confalonieri crede che il successo nella corsa a punti agli Europei su pista sia uno dei successi più importanti della sua carriera. Forse non il più bello: “La maglia più bella che ho a casa è quella del Mondiale vinto da junior: spero sempre di potermi ripetere, ma con il livello di adesso è difficile. Il terzo posto ai Mondiali nella Madison è stato significativo: credo che, se continuiamo così, la nostra Nazionale possa essere assidua frequentatrice del podio. Certo che alzare le braccia in una classica di primavera sarebbe incredibile. Ci pensi? A braccia alzate al Fiandre. Non ci penso perché se ci penso mi viene da piangere”.

Dall’inferno del Nord proviene anche il campione a cui più è affezionata: Tom Boonen. Nel futuro prossimo, invece, il pensiero non può non andare a Tokyo 2020, perché “chi non pensa alle Olimpiade nell’anno delle Olimpiadi? Prima però il mio cerchio rosso è sul Mondiale di Berlino che si correrà a febbraio”.

Della pista, Maria Giulia Confalonieri ha fatto propria la concezione del tempo: “È una variabile che serve. Il suo scorrere non deve spaventare. Ci vogliono giorni, mesi, magari anni per avvicinarti, anche solo lontanamente, a ciò che vuoi. Accettalo con positività, senza rimuginare troppo. Tante cose non andranno come vorrai. Succede a tutti, bisogna metterlo in conto”.

©Valcar Cylance Cycling, Twitter

Quella di Confalonieri è una mente abituata a ricercare il lato positivo in qualunque situazione, persino in giorni e giorni di gara sotto l’acqua, come è capitato più volte nell’ultimo anno. “È brutto, certo. Devi lavarti e cambiarti subito altrimenti ti ammali e non hai tempo per il recupero. Però se riesci a cavartela con il bagnato è un punto a tuo favore. Sai che la metà del gruppo parte già sconfitto perché piove. Tu puoi provarci. È un qualcosa da riportare alla mente quando ogni mattina, aprendo la finestra, vedi la pioggia. Altrimenti ti scoraggi e ti conviene lasciar perdere”.

Se avesse più tempo, vorrebbe progettare un viaggio che le permettesse di conoscere al meglio i luoghi visitati. Il suo lavoro non glielo consente, costringendola di aeroporto in aeroporto senza tempo per porsi troppe domande. Confessa che ad ogni gara porta un libro – solitamente un giallo, pur essendo di indole romantica – perché nei momenti liberi ama leggere. Quando le si fa notare che alcune colleghe spiegano che la sua valigia di solito sia piena di libri – “anche tre libri di cinquecento pagine”, sostengono alcune -, ammette: “Ho il timore di finirli. Se non ho più da leggere cosa faccio? Loro dicono così, ma io in pochi giorni un libro di quella grandezza lo termino. Ultimamente però mi sono posta un limite: non più di un certo numero di pagine al giorno. Preservo i miei libri e mi gusto ogni pagina”.

Perché per chi è abituato al rumore di una vita così forte, il silenzio di una camera d’albergo può essere un nemico non trascurabile. Le parole dei libri sono lo strumento migliore per arredare quel silenzio col rumore di altre vite o di altri mondi. E spingere a tutta, senza troppi pensieri.

 

 

Foto in evidenza: ©ItaliaTeam, Twitter

Stefano Zago

Stefano Zago

Redattore e inviato di http://www.direttaciclismo.it/