Sobrero è un giovane brillante e infatti il prossimo anno diventerà professionista.

 

 

Per Matteo Sobrero l’unica certezza è il dubbio. Non è filosofia, ma esperienza, realismo, quotidianità. Di sé e del suo futuro da ciclista sa più nulla che poco, ed è giusto così: che gusto c’è ad avere tutto sotto controllo? Lasciarsi trasportare dal corso degli eventi non è così grave; il problema, semmai, è abbandonarsi alla corrente, credere di non poter mai opporre resistenza. E poi le persone piene di sicurezze sono le più arroganti, le più noiose, le più ignoranti. Una delle poche cose certe, nell’avvenire di Sobrero, è il passaggio al professionismo con la Dimension Data a partire dal 2020. “Ma non domandatemi cosa mi aspetto: la squadra cambierà nome (Team NTT, ndr) e diversi corridori, dunque non so davvero immaginare niente. Mi accontenterei di mettere in cascina un po’ d’esperienza e qualche ottimo risultato.”

Nemmeno i suoi inizi sono così chiari – e loro sì che dovrebbero esserlo, a differenza della fine: la famiglia Sobrero non seguiva il ciclismo perché non era appassionata, dunque lui non ha iniziato per emulare qualcuno o perché qualcuno voleva vederlo in sella ad una bicicletta. “Pedalavo nei dintorni dell’azienda vitivinicola dei miei, finché un giorno mio padre mi disse che invece di sgambettare da casa alle vigne e dalle vigne a casa, avrei potuto provare per strada e con una squadra vera e propria. Non ero tanto convinto, ma se oggi sono qui vuol dire che mi sbagliavo.” Sul professionismo, invece, non si sbaglia perché non si sbilancia: “È più dura perché il traguardo è un po’ più in là”, riassume magistralmente. E se anche ci fosse una gara adatta alle sue caratteristiche, Sobrero non indaga: “Non so che tipo di corridore posso diventare: per darmi un obiettivo importante dico una classica, ma nemmeno io so quale”.

A proposito di classiche, Sobrero si è distinto in una di quelle più belle che presenta la primissima parte di stagione: “Non avrei pensato di andare così forte da arrivare terzo al Laigueglia”, racconta riavvolgendo il nastro. “Ero partito tranquillo, non avevo grosse responsabilità ed ero consapevole che una giornata difficile sarebbe stata normale, considerando il livello abbastanza alto della corsa. L’ho realizzato soltanto dopo qualche giorno, lì per lì non mi sembrava d’aver fatto niente di speciale.” Qualche mese più tardi è arrivata un’altra grande giornata: quella della vittoria nella prova a cronometro dei campionati italiani. “Che dire, la maglia tricolore che viene data al vincitore racchiude tutto. Le prove contro il tempo mi piacciono anche perché sento d’esserci portato, non lo nego. Però c’è anche altro: sono solo col mio corpo e la mia testa, posso provarmi”. Se aumentasse la tenuta sulle salite lunghe, Sobrero potrebbe diventare un corridore buono per tutte le stagioni: “Infatti mi piacciono Alaphilippe e Kwiatkowski: a volte riconosco a me stesso che se riuscissi a combinare un decimo di quello che hanno fatto loro non sarebbe poi così male…”

Tuttavia, non bisogna far credere a chi legge che Sobrero sia un eterno indeciso, uno che non sa dove battere la testa, uno che pedala per sbaglio. Le sue certezze, probabilmente quelle necessarie, ce le ha e sono granitiche: è conscio della sua forza mentale, “tant’è che se mi pongo un obiettivo non ci vado mai lontano, neanche se sto attraversando un periodo complicato”; non crede che correre in una Continental (quella della Dimension Data, ndr) autorizzi chissà quali comportamenti, “anche perché ci sono tante valide squadre dilettantistiche e la stagione è lunga, dunque non ci sono leggi immutabili”; e ricorda nitidamente il momento in cui ha realizzato che avrebbe voluto far parte del ciclismo professionistico: “Mentre correvo la Parigi-Roubaix riservata agli Juniores: il pavé, il livello della corsa, il pubblico mi hanno segnato; anche l’Africa, dove ho avuto la fortuna di pedalare, perché rispettano i corridori in una maniera esagerata, ti fanno sentire una divinità. Ma quella Parigi-Roubaix non la scorderò mai.” Quel giorno non gli andò così bene, dato che forò a pochi chilometri dal traguardo proprio mentre pedalava coi primi. Si consoli con un buon bicchiere di vino, Sobrero: alcune delle carriere più belle degli ultimi decenni sono iniziate proprio così, con una foratura a giochi fatti, un’incertezza che ha incrinato il sistema di certezze.

 

 

Foto in evidenza: ©Team DiData Conti, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.