VERSO LA SANREMO. GAVIRIA, UN MISIL PER LA CLASSICISSIMA

PROFESSIONISTI | 22/03/2019 | 07:27
di Giulia De Maio

Ama la velocità. È spinto dall’adrenalina. Vuole vincere. Fernando Gaviria è un ra­gazzo dalle idee chiare e con la testa che viaggia ve­loce. Non potrebbe essere altrimenti visto che deve tenere il passo di quelle gambe che in volata gli permettono di trasformarsi in un missile. 
Abbiamo incontrato il 24enne colombiano, protagonista del trasferimento di mercato più clamoroso dello scorso anno, in Argentina, dove ha iniziato la sua stagione vincendo due tappe alla Vuelta a San Juan. Con la nuova maglia della UAE Emirates non ha voluto al­zare le braccia in segno di rispetto dei suoi ex compagni della Quick Step, ma dopo la prima corsa a tappe del  2019 è tornato ad esultare come ha sempre fatto all’UAE Tour, corsa a cui la sua nuova squadra ovviamente teneva moltissimo. E spera tanto di riuscire ad esultare anche il prossimo 23 marzo in via Roma.


«Corro solo per la vittoria» avvisa i rivali parlando della Classicissima. Per arrivarci al meglio ha in programma un calendario tricolore con Strade Bianche e Tirreno-Adriatico in vista della Mi­la­no-Sanremo e ha anche imparato (mol­to bene) l’italiano.


Chi ti ha insegnato la nostra lingua?
«L’ho imparata parlando con Max Ri­cheze, fino all’anno scorso mio ultimo uomo e compagno di stanza. L’italiano mi ha sempre affascinato più dell’inglese, che ho dovuto imparare ma non mi appassiona. Mi esercito chiacchierando con gli amici e leggendo. Ho letto tanti giornali dedicati ad argomenti che mi interessano, come le automobili. Il linguaggio del ciclismo l’ho imparato alla svelta perché è limitato, alla fine si usa­no sempre le stesse parole».

Ti aspettavi di partire così forte?
«Lo speravo, mi ero allenato bene in Colombia ma il test delle gare è sempre un’incognita. Il passaggio in una nuova squadra dopo tre anni ha rappresentato un grande cambio nella mia vita. Non era scontato iniziare subito con il colpo di pedale giusto. Vincere al de­butto con i nuovi colori è stato emozionante. La squadra ha fatto un lavoro perfetto, si meritava il successo. Sia io che i miei compagni ci siamo preparati come si deve durante l’inverno e abbiamo iniziato a raccogliere fin da subito. Mi sono presentato al via della stagione con cinque chili in più rispetto a un anno fa e non perché abbia mangiato troppo (sorride, ndr). Evidente­men­te ho aumentato la massa muscolare».

Quando hai deciso di cambiare squadra?
«Sapevo di assumermi un rischio, ma la vita è fatta di rischi. Ci ho pensato un mese, l’arco di tempo in cui i due team hanno trovato un accordo. All’inizio ero nervoso, si trattava di una decisione im­portante per la mia carriera. Ho valutato che il progetto della Uae Emirates avesse un plus, che fosse quello ideale per permettermi di crescere di più e raggiungere il top».

Cosa ti resta dall’esperienza alla Quick Step?
«Nella formazione belga ho imparato tanto, da come funziona il treno per le volate fino a come prendere decisioni importanti nel finale di una corsa. Mi hanno insegnato a muovervi e a gestire lo sprint. Lefevere? Non l’ho più sentito».

Come sono stati i primi mesi con il nuovo gruppo?
«Sono stati fatti tanti cambiamenti per migliorare. Lo staff di direttori sportivi e allenatori è davvero di grande livello. La struttura è altamente specializzata nella performance sportiva. C’è l’ambizione di arrivare molto in alto. I buoni risultati di tutta la squadra in questo inizio di stagione dimostrano che il team si è rafforzato molto».

Sembri più tranquillo.
«Sono rilassato, ma più che altro sono cresciuto. Ho più testa. Da quando mi avete conosciuto nel 2015 a San Luis (si mise in mostra battendo Cavendish, ndr) sono decisamente più maturo. Ge­stisco meglio la pressione e tutto ciò che comporta l’essere un atleta conosciuto. Cinque anni fa nessuno mi chiedeva nulla, ora a ogni corsa devo ottenere un buon risultato e confrontarmi con i media. Da allora la mia vita è cam­biata totalmente: prima ero un bam­­bino che si divertiva ad andare in bi­ci e basta, ora questa è la mia professione, ciò comporta maggiori responsabilità. Anche se preferisco riposarmi in­vece che rilasciare un’intervista, capisco che fa parte del lavoro. Della vita da professionista cerco di godermi tut­to, continuando a divertirmi. Giro il mon­do, conosco paesi nuovi, mi ritengo fortunato. Proporrei giusto una cor­sa a Santorini, quella manca (scherza, ndr)».

Un uomo che avresti voluto portare con te è Max Richeze.
«Esatto. Magari torneremo a correre insieme in futuro... Al mio fianco ho comunque un uomo molto esperto co­me Ferrari e giovani di classe e qualità co­me Consonni e Troia (suoi coetanei, ndr) che si sono dimostrati subito all’altezza della situazione.  Nelle classiche sarà diverso, ci sono tanti corridori che conoscono le strade alla perfezione. Alla UAE non so chi sarà la mia “guida”, di sicuro Kristoff e Marcato saranno preziosi così come Peiper in ammiraglia. Detto questo, come sempre, più di tutto sarà fondamentale ave­re gambe».

Con che ambizioni ti presenti al via della Milano-Sanremo?
«Ci vado per vincere. Ho già rischiato di riuscirci al debutto nel 2016, quando sono caduto a 300 metri dal traguardo. Se avrò le gambe e sul Poggio si muoverà qualcuno lo seguirò, altrimenti me la giocherò allo sprint. Nibali l’anno scorso ha fatto un numero raro. Al Fian­dre e alla Roubaix ci proverò con la stessa convinzione, ma queste classiche sono una novità per me e al nord l’esperienza conta moltissimo, quindi la nostra punta sarà Kristoff».

In programma hai tutte le classiche di pri­mavera fino alla Parigi-Roubaix. Re­sta la tua corsa dei sogni?
«Sì, il pavè mi ha sempre affascinato. Spero di arrivare all’Inferno del Nord nella forma giusta per fare bene e per poter essere utile alla squadra. Con Alexander non avrò problemi di convivenza. In dicembre ci siamo parlati. Non siamo bambini, ma atleti professionisti. Sapremo valutare quando è il momento di mettersi a disposizione l’uno dell’altro a seconda delle condizioni del momento».

Quanto ai Grandi Giri, hai già deciso quale correrai?
«Dovrei andare al Tour de France, ma farò il punto della situazione con la squadra dopo che si sarà conclusa la prima parte di stagione. Se dovrò lavorare per Kristoff lo farò senza problemi e lui farò altrettanto. Alla Grande Boucle nelle tappe più dure lui avrà le sue opportunità, in quelle più semplici con arrivo di gruppo ci penserò io».

Ti paragonano spesso a Sagan.
«Peter è un grande, ha vinto tre Mon­dia­li di fila... Ma non amo troppo questo tipo di confronti, alla fine della mia carriera vorrei essere ricordato solo come Fernando Gaviria. In autunno sia­mo stati in vacanza insieme in Co­lombia. Tra noi c’è amicizia e rispetto, ma in gara naturalmente cerchiamo di superarci ogni volta. In genere preferisco allenarmi da solo per svolgere lavori individuali, ma quando sono a Mo­naco ogni tanto esco con lui, Capecchi, Gilbert e altri colleghi con cui mi frequento al di là della bici… Si può essere amici anche se si è rivali in corsa».

Quando sei lontano da casa, cosa ti man­ca?
«La mamma che mi porta la colazione a letto. Siamo sempre in giro per il mondo e abbiamo poco tempo per sta­re con chi ci vuole bene. Mi piace la ve­locità, in tutte le sue forme. Amo i ca­valli (ne ha 5, ndr), i cani e le macchine. Ultimamente mi sono regalato una Mustang del ’68. Allo stesso tem­po mi piace anche fermarmi e rilassarmi. Il tempo che trascorro con i miei cari vale più di una vittoria. Quando mi ritirerò non penso continuerò a lavorare in questo ambiente, mi impegnerò per dare continuità alla scuola di ciclismo per i giovani avviata da mio padre a La Ceja, in cui sono cresciuto, ma non me ne occuperò in pri­ma persona. Io vo­glio godermi la vita».

In alcuni momenti-chiave della tua giovane carriera, come la Sanremo o il mondiale di Doha nel 2016, sei caduto. Pensi di essere in credito con la fortuna?
«No, non la vedo così. Se sono finito a terra è perché ho commesso degli er­rori, ho peccato in attenzione e concentrazione. Sto lavorando affinché non succeda più. Quan­do si sbaglia, si impara».

Riguardi i tuoi sprint in video?
«No, mai. Quando sono a casa non parlo di ciclismo. I miei genitori sono super appassionati, ma con mamma parliamo di altro, mi vede come un figlio e non un campione di ciclismo, così co­me i miei amici».

Ti senti il più veloce di tutti?
«Ogni sprint è relativo, ogni volata è diversa, è impossibile fare una classifica assoluta. Mi confronto ogni giorno con colleghi molto validi, da tutti ho da imparare qualcosa. Il ciclismo è uno sport super esigente. Il livello del­le volate è molto alto, ci sono 10-12 ve­locisti che possono essere competitivi per il successo. Non vedo un dominatore assoluto, ogni volta a seconda delle condizioni può vincerne uno di­verso di questo gruppo».

Cosa pensi di Viviani?
«Elia è forte, nel 2018 è il corridore che ha vinto di più. Lo conosco da quan­do eravamo giovani e ci scontravamo in pista, confrontarmi con lui continua a essere una bella sfida. Il primo round di quest’anno è stato l’UAE Tour, ma le corse a cui puntiamo en­trambi sono Sanremo e Gand. Ma a Tokyo 2020 non mi vedrete, ho chiuso con l’attività nei velodromi, voglio re­stare concentrato sulla strada».

E del campione del mondo Valverde che opinione hai?
«Alejandro è un grande, per me quest’anno può vincere il Fiandre».

Che corridore vuoi diventare?
«Voglio ottenere il massimo e provare ad essere il migliore al mondo. Da bambino sognavo questa professione, ma non mi aspettavo di uscire dalla Colombia. Nel mio paese d’origine le corse sono quasi tutte dure, i ve­lo­cisti ci sono ma faticano ad emergere. Io solo in Europa ho capito cosa potevo diventare. Il giorno che avrò una famiglia vorrò dare un buon futuro ai miei figli e non dover sempre lavorare e viaggiare in giro per il mondo. Per questo devo far fruttare al massimo questi anni. Mi sa che bastava una parola solo per risponderti, voglio es­sere... vincente».

da tuttoBICI di marzo

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