Da Gatto di Marmo a TopGanna in quattro anni. Lo chiamavano così, Filippo, quando diciottenne approdò nel gruppo azzurro della pista. Rigido sulla bici, correva un po’ sulle uova: insomma, non aveva una gran confidenza con il parquet di un velodromo. E il c.t. Marco Villa gli trovò subito il soprannome. Oggi il marmo è diventato oro zecchino, il nickname è cambiato. E quel ragazzone dal fisico da corazziere si ritrova per la terza volta sul tetto del mondo dell’inseguimento. L’impresa di venerdì in Polonia l’ha consacrato definitivamente – con 4’07”456 ha mancato il record del mondo per 205 millesimi - catapultandolo in una nuova dimensione, lui che a Londra 2016, quando al debutto inaugurò a sorpresa il poker di medaglie, quasi si vergognava a chiedere un selfie al suo idolo, sir Bradley Wiggins. Lo stesso Wiggins che per lui stravede e che venerdì sera, dopo l’ultima prodezza, gli ha inviato un messaggio di complimenti: “Legend! So happy for you! Class act” (“Leggenda! Sono molto felice per te. Dimostrazione di classe”).
Filippo, com’è il giorno dopo?
“Ho solo un po’ di mal di gambe in più… Ma dopo quelle due prove a tutta col 61x14 ci sta”.
E’ vero che aveva scommesso con Villa che, in caso di record del mondo, le avrebbe regalato il suo Rolex GMT Master 1?
“Gliel’ho buttata lì, Marco non ha accettato. Forse perché era sicuro che il record lo avrei battuto…”.
Il tempo di Lambie (4’07”521, ndr) se lo sentiva nelle gambe? Rispetto al suo (4’13”607, ndr) è sceso in un colpo solo di 6”…
“Boh, non saprei dire. In allenamento ho sempre fatto test sui 3 chilometri e sì, viaggiavo a ritmo di primato. Ma 3 chilometri non sono 4. Mi restava l’incognita di quegli ultimi quattro giri, dove può succedere di tutto. Puoi resistere o affondare. L’inseguimento è una brutta bestia. Però con le indicazioni di Marco non ho mai sbagliato. Di lui mi fido ciecamente”.
Quanto ha investito su questi Mondiali?
“Ho avuto carta bianca dalla Sky, nonostante fossi appena arrivato in squadra dopo i due anni alla UAE-Emirates. Mi hanno lasciato preparare in tutta tranquillità questo appuntamento e li ringrazio: alla stagione su strada penseremo da domani. Però non ho fatto una preparazione mirata. Sono pure due-tre chili in più dello scorso anno (85, ndr), anche se la massa magra è inferiore: ho più muscoli, ho lavorato di più sulla forza”.
Cosa le è mancato per il record?
“Forse qualche lavoro in più in palestra? Mah, poi penso anche che mi sono mancati solo 2 miseri decimi di secondo. E che Lambie quel record l’ha fatto in altura, con tutti i vantaggi che ciò comporta”.
Quattro medaglie di fila e tre maglie iridate tutte diverse. Che cosa ricorda di Londra 2016?
“Fu l’oro dell’incoscienza. Non avevo esperienza, non mi aspettavo nulla, poi quell’impresa con tanto di record italiano. Quasi da non crederci”.
2017, l’argento a Hong Kong.
“Non ero al meglio. Ero appena passato pro’: preparazione nuova, diversa rispetto al passato. E poi anche di testa non c’ero molto. Forse ho pagato la voglia di confermarmi a tutti i costi”.
Apeldoorn 2018, il bis.
“L’oro della consapevolezza. Mi sentivo più sicuro, più maturo”.
Qui ha dato l’impressione di essere su un altro pianeta.
“Da questo punto di vista è stato il successo più difficile. Io però ero fiducioso. E nella sfortuna di essere uscito al primo turno col quartetto per la caduta di Lamon, non aver corso altre due prove a squadre mi ha salvato un po’ la gamba”.
Il Team Sky aveva cominciato a corteggiarla già al Mondiale di Ponferrada 2014: lei arrivò 4° nella crono juniores, ma era già destinato altrove. Rimpianti?
“No. Penso di aver fatto le tappe che dovevo fare e di essere arrivato a Sky al momento giusto. L’esperienza alla UAE mi è servita e ho potuto avere un approccio col professionismo più soft. Adesso sono pronto per un ulteriore salto di qualità e credo di essere capitato nella squadra ideale, al top in tutto. Cioni (il suo d.s. di riferimento, ndr) mi chiama ogni giorno. Mi sento molto considerato e questo è un grande stimolo”.
Dalla pista alla strada: non è un mistero che la Roubaix, già vinta da Under 23, sia il suo sogno.
“Sì, è una corsa dal fascino unico. Prima dei Mondiali eravamo in ritiro a due passi dal traguardo. Ed essere lì mi dava un po’ di emozione. Spero di correrla anche quest’anno. Prendere appunti è importante”.
E il Mondiale a crono?
“Mai fatto allenamenti specifici per crono lunghe, serve tempo. Pazienza, esperienza, applicazione. Non ho fretta. Ma il titolo iridato è un obiettivo, sì”.
Lei è un tipo tranquillo, si lascia scivolare tutto addosso. E’ così?
“Per la verità a volte sono teso per niente, è un po’ un mio difetto. Ma sto imparando a trasformare la tensione in carica”.
Si riconosce qualche pregio?
“Non sarò bello, ma credo di essere simpatico... Mi piace l’ironia. Aiuta molto. A volte la uso anche con Villa, così, per sdrammatizzare”.
I suoi punti di riferimento?
“La famiglia è il mio rifugio: i miei genitori, mia sorella, la fidanzata Carlotta… Le poche volte che sono a casa mi rigenero circondato dal loro affetto. E da quello dei miei amici più stretti: Dario, mio compagno di banco alle superiori e a cui sono legatissimo; Alessandro, che fa lo chef; e Thomas, un ex dj un po’ folle”.
E nel ciclismo?
“Beh, io e Consonni siamo come fratelli. Poi c’è Scartezzini, il mio compagno di camera fisso in Nazionale. Con Bertazzo si fa a gara a chi fa più battute. E naturalmente Viviani: Elia è una persona speciale, un esempio, un consigliere insostituibile”.
E nel tempo libero?
“Ogni tanto mi diverto con il Lego”.