Fabio Aru era in Sardegna nei giorni della grande partenza del Giro d'Italia, in borghese, costretto a una dolorosa assenza dall'infortunio a un ginocchio, ed è in Germania per il via del Tour de France, ma qui, da fresco campione d'Italia, sta per uscire per il primo allenamento in terra tedesca. Aru appare sereno, concentrato, disponibile, con la giusta accortezza di scegliere una zona della grande hall dell'albergo non resa troppo fredda dall'aria condizionata. L'anno scorso ha scoperto il bello e il brutto del Tour de France, sesto fino alla penultima tappa e poi respinto dai primi 10 (13° alla fine) per una crisi verso Morzine. Stavolta spera in un finale diverso. Non è un uomo da proclami, ma manda volentieri un pensiero all'Italia che lo spingerà come unica nostra carta per la generale: "Tifate per me, cercherò di farvi emozionare". E in tanti - italiani e non solo - lo hanno acclamato nel tardo pomeriggio alla presentazione della squadra in centro a Dusseldorf (dove fino a domenica sono attese tra le 500.000 e le 700.000 persone) quando ha sfoggiato la nuova maglia tricolore. Vai, Fabio.
Aru, lei domenica ha vinto dopo un anno. E in generale, per caratteristiche, non può certo sperare in tanti successi ogni anno. In tante occasioni per alzare le braccia, anche nelle stagioni migliori. La curiosità è: avrebbe mai voluto essere un forte velocista, per poter esultare di più? E quella emozione di domenica, a freddo, come la giudica?
"Ah sì. L'ho pensato tante volte, soprattutto da Under 23 quando c'erano più arrivi allo sprint. Avrei voluto essere più veloce, trovavo sempre l'Enrico Battaglin di turno che mi batteva. Quanto a domenica, il successo tricolore ha avuto un sapore speciale perché venivo da un anno duro. Anzi, da un anno e mezzo: la vittoria al Delfinato 2016 la tralascerei addirittura, perché in generale tante volte non sono riuscito in quello che speravo di fare, pur facendo belle gare. Problemi fisici, sfortuna, e poi è arrivata la morte di Michele Scarponi, che mi ha distrutto. Quel momento di domenica, lo sognavo. Ho rivisto la luce. Quella vittoria vale una carriera".
Addirittura?
"Sì. Campione d'Italia lo rimani per sempre. Tutti ricorderanno e diranno "Hai vinto il Tricolore, quella volta a Ivrea, staccando tutti". Vorrei che quegli ultimi duecento metri durassero dieci minuti, di recente ho rivisto 3-4 volte il finale e mi sono emozionato ancora".
In Germania non c'era mai stato, la Francia che il Tour raggiungerà stavolta alla terza tappa l'aveva scoperta in un viaggio con la famiglia in auto nel 2003. Che cosa l'aveva colpita, allora?
"Era una estate caldissima, quella. Le campagne con l'erba secca mi ricordavano un po' la Sardegna. Ci fermavamo nelle stazioni dove c'erano tanti camionisti, mangiavamo, facevamo i pic-nic. Parigi poi mi aveva colpito parecchio. Abbiamo fatto tappa anche a Lourdes. Bello. È stato in quel viaggio, proprio a Lourdes, che ho comprato la prima maglia in assoluto da ciclista".
A questo Tour si presenta in squadra con un'altra punta come Jakob Fuglsang. Al Delfinato lui ha vinto, lei è arrivato quinto a 5" dal podio, avete mostrato grande unità. Lo ha definito un "hermano", un fratello. E lei sicuramente non è persona da usare termini a caso. Come nasce questo rapporto?
"Mi piace sempre, quando si può, creare con i compagni anche forti un bel rapporto, un bel legame. Al Delfinato alla radio gli urlavo di crederci, perché stava facendo un numero nell'ultima tappa. Io ho corso alla garibaldina, le mie azioni erano fatte per favorire lui. È stato piacevole, abbiamo una grande intesa".
Lei è l'unica carta italiana per la classifica generale, una situazione in cui tante volte si era trovato il suo ex compagno Vincenzo Nibali. Si sente di dire qualche cosa ai tifosi?
"Voglio dire che dopo tutto quello che ho passato, il fatto di rialzarsi non è stato banale. Ci avrei messo la firma per arrivare al Tour nella forma in cui sono adesso. Quindi, un messaggio di speranza. Di crederci sempre. I momenti brutti ti buttano giù ma bisogna reagire. Il Tour è il Tour, ce ne saranno anche altri di italiani da seguire... Io cercherò di fare di tutto per emozionare il pubblico".
Se le dicono adesso di firmare per un podio a Parigi, ma senza vincere il Tour, accetterebbe?
"Non lo so. A me piace arrivare il più in alto possibile, ma è difficile in questo momento fare una previsione, perché mi trovo in una situazione nuova, imprevista. Stavo preparando il Giro d'Italia, poi mi sono infortunato. Mi sono presentato comunque con una buona condizione. Ho fatto dei sacrifici, per non prendere peso durante la fase della rieducazione tante volte ho mangiato solo un'insalata a pranzo. Non so dove posso arrivare, ma sicuramente sarò lì a giocarmela per cercare di ottenere il miglior risultato possibile".
Negli ultimi giorni ha concluso le ricognizioni delle tappe chiave, scalando pure Galibier e Izoard. Che Tour si aspetta, che Tour sarà?
"Per corridori abbastanza completi. C'è della cronometro, ma non tantissima. Arrivi in salita, ma anche in questo caso non tantissimi. Finali in discesa. La grande incognita del vento. Quindi, incerto fino all'ultimo, anzi fino al penultimo nella crono di Marsiglia".
C'è un chiaro favorito?
"Ne ho parlato con Cataldo (l'altro italiano del team qui al Tour, ndr) e riflettevamo su come sia sicuramente un errore sottovalutare uno come Chris Froome solo perché quest'anno, contrariamente alle sue annate migliori, non ha ancora vinto. Sarà molto competitivo, penso che il pronostico sia molto aperto. Da Quintana a Porte, da Contador a Chaves, ma ce ne sono altri, in tanti sono qui con l'ambizione massima. Penso che per il pubblico sarà molto divertente".
Questo Tour de France lo affronta di fatto senza sapere in che squadra correrà l'anno prossimo, visto che il contratto in scadenza con l'Astana non è stato ancora rinnovato. Dunque potrebbe restare come andare altrove. Come si vive? Per lei non è un possibile fattore destabilizzante?
"No. La visione che ho di questa mia scelta è che si tratti di un grande sintomo di professionalità. Lo dico abbastanza umilmente, avrei potuto già firmare un contratto, con un team o con l'altro, ma ho preferito concentrarmi esclusivamente sul Tour de France, al cento per cento. Il risultato è mio, ma anche della squadra. Dunque, voglio dare tutto e poi al momento giusto arriverà il tempo della scelta".
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