I vincitori delle maglie del Giro Under 23 con il c.t. Davide Cassani sul podio finale di Campo Imperatore

I vincitori delle maglie del Giro Under 23 con il c.t. Davide Cassani sul podio finale di Campo Imperatore

"Abbiamo bisogno di una corsa come il Giro". Sette tappe e 956 km hanno confermato l’idea che Davide Cassani nutriva già da tempo. Il c.t. della Nazionale è stato il "regista" di un Giro d’Italia Under 23 che tornava in scena dopo cinque anni d’assenza. "Con il presidente Di Rocco ho sempre sostenuto l’esigenza di questa gara - spiega -, due anni fa ne ho parlato con Marco Selleri della Nuova Ciclistica Placci. Loro organizzavano le Pesche Nettarine, avevano la competenza per riportare in vita il Giro". L’edizione della rinascita - la quarantesima di una corsa che ha lanciato campioni come Moser, Pantani e Simoni - si è conclusa giovedì a Campo Imperatore. La salita, che vestì di rosa Pantani nel 1999, ha incoronato il russo Pavel Sivakov, un giovanissimo (compirà 20 anni l’11 luglio e ha conquistato quindi anche la maglia bianca dei giovani, oltre a quella rosa della generale) dalla grande forza fisica e mentale. Ma tra le vette del Gran Sasso, a duemila metri di quota, è stato anche il momento dei primi bilanci.
C.t. Cassani, è soddisfatto di questo Giro?
"Organizzazione impeccabile, percorso equilibrato: lo dimostra il finale, con soli 9” di distacco tra la maglia rosa e il secondo, Hamilton. Soprattutto, per gli italiani è stato un banco di prova, un’occasione di confronto con gli stranieri".
E il risultato? Abbiamo vinto solo una tappa...
"Io dico che il nostro livello non è affatto male: ho visto segnali di crescita, ci sono state belle sorprese".
Quali?
"Penso a Conci, il migliore in classifica, che si è dimostrato bravo a crono e solido in salita; a Monaco, che cresce benissimo, a Garavaglia, a Raggio, ma anche a Covili, che ha corso da protagonista l’ultima tappa. Peccato per Fabbro: è caduto a Gabicce Mare, altrimenti si sarebbe giocato la vittoria. Altra nota di merito: un velocista come Cima è arrivato fino in fondo. Il Giro è servito proprio a questo, a farci capire il valore dei nostri ragazzi".
Chi l’ha impressionata di più?
"Gli statunitensi della Bmc e gli australiani della Mitchelton-Scott, team che corrono già come i pro’. Ho visto il belga Philipsen lavorare 50 km prima per la maglia rosa, poi vincere lo sprint di Gabicce".
La Bmc di Sivakov è l’esempio di un vivaio che funziona: in 5 anni hanno “sfornato” gente come Kung e Dillier. Cosa manca alle squadre italiane per arrivare a quel livello?
"Il sistema del nostro ciclismo è diverso: meno verticistico, più affidato alle squadre di paese e al volontariato. Se vogliamo crescere, servono corse come il Giro: riqualificano il calendario, alzano il livello. Alle nostre squadre chiedo di correre meno e meglio: meno gare di media difficoltà con i soliti avversari, più impegni internazionali. Il Giro, poi, ci ha dato anche un altro insegnamento".
Cioè?
"Bisogna formare corridori completi e pensare meno al risultato, alla vittoria fine a se stessa. Da noi, i velocisti fanno solo pianura e gli scalatori solo salite: non va bene. Quintana da under 23 ha fatto due campionati del mondo a cronometro: in vista del professionismo, curavano tutti gli aspetti".
Il momento più intenso del Giro?
"La giornata di Osimo nel ricordo di Scarponi, con i suoi genitori alle premiazioni. Sono convinto che anche Michele sarebbe venuto a vedere i ragazzi correre sulle sue strade. Mi sarebbe piaciuto vederlo scambiare due battute con Areruya, il ruandese vincitore di tappa. Avrebbe parlato a gesti, ma si sarebbe fatto capire".
Anticipazioni per l’anno prossimo?
"Vogliamo passare da sette a nove giorni, correre da sabato a domenica. Niente semitappe, che sono molto stressanti, ma una giornata intera dedicata alla cronometro. Infine ci sposteremo più a Nord: Friuli, Veneto o Trentino".