Io sono un runner: Claudio "El Diablo" Chiappucci

Parlare con Claudio Chiappucci è come chiaccherare con un amico al bar. Mi invita ad entrare in casa, mentre ancora si deve cambiare prima dell'intervista. Mi chiede consigli sulla divisa, mi mostra (qualche) bici e in anteprima il nuovo libro fresco di stampa. Avrei voglia di avere con me pantaloncini e maglietta per una corsa insieme mentre mi spiega la sua seconda vita da atleta. Usciamo verso il parco mentre il sole sta già chiamando la sera. Luce lieve e malinconica. Quella perfetta per iniziare a raccontare una storia.

«Sono nato tra il fango delle campestri»

Cosa stai facendo attualmente dopo il termine della tua attività sportiva da ciclista?
«Sto recuperando tutto quello che non ho potuto fare prima, spaziando in lungo e in largo su tutto quello che mi piace. Non solo bici. Io amo lo sport. E siccome durante la mia carriera non potevo praticarne altri al di fuori dal ciclismo per evitare incidenti o problematiche varie, da quando ho smesso mi si è aperto un nuovo mondo e sto cercando di provare un po' di tutto. Quindi sport nel tempo libero e stage di ciclismo come nuovo lavoro. Si, il ciclismo è quello che rimane alla base di tutto. Perchè quello che mi dà ancora l'opportunità di vivere nel mio mondo, di stare in mezzo alla gente, di fare delle gare. Perchè comunque continuo a gareggiare nelle Granfondo, che sono un po' paragonabili alle maratone nel running. Gli stage, che faccio da solo o anche insieme ad altri campioni, sono una parte importante. Per gli appassionati soprattutto, che hanno la possibilità di conoscermi, di pedalare insieme e di trovare risposta alle loro domande e curiosità».

Invece, la passione per la corsa com'è nata?
«La corsa l'ho sempre praticata da ragazzino come parte integrante della mia preparazione atletica da ciclista. Cosa che oggi invece non si usa più fare. Come runner sono nato tra il fango delle campestri, quando avevo 13 o 14 anni. E non andavo male. Credo che proprio in quei momenti sia nata la mia grande passione per lo sport. Perchè la corsa a piedi, come poi anche il ciclismo, mi ha dato la possibilità di essere me stesso. Di affrontare i problemi e la fatica in prima persona. Di darmi da fare per raggiungere il traguardo da solo, senza dover dipendere da una squadra. Lottare prima di tutto contro sé stessi e solo dopo contro gli altri».

Uno spirito da scalatore che è cresciuto insieme a te.
«Si. Mi hanno sempre appassionato le grandi distanze, la resistenza, l'endurance. Mi sono sempre sentito portato per questo. Non mi è mai piaciuto correre in pista. Anche adesso, se potessi prepararmi adeguatamente tra un impegno e l'altro, prediligerei la maratona o l'ultramaratona. Fa un po' paura. Perchè la distanza fa sempre un po' paura. Ma è anche il suo bello. Bisogna prepararla, con calma e dedizione e imparare a rispettarla. Rispettarsi».

«Sono curioso di sapere dove posso arrivare»

Quindi qual è stata la tua prima corsa da runner nel dopo la carriera cilcistica?
«In realtà non c'è stata una prima vera corsa da runner. Ho avuto una proposta per provare una gara di triathlon (un mezzo Ironman) durante la quale ho poi dovuto correre una mezza maratona. Questa è stata la mia vera prima volta. Poi mi hanno invitato ad una corsa nel deserto. Ma anche quella è qualcosa di diverso. C'è la sabbia, c'è il caldo e non riesci a correre come faresti su una strada normale».

Quanto tempo riesci a dedicare alla corsa attualmente?
«Avendo fatto un po' di esperienza lo scorso anno con il triathlon ed avendo poi fatto una maratona in autunno, adesso conosco abbastanza bene le metodologie per l'allenamento. E mi conosco anche un po' di più nella corsa a piedi. Quindi, appena termino gli stage di ciclismo ad inizio stagione, alterno un po' bici e corsa. Cosa che mi permette di essere sempre pronto non solo per running e ciclismo, ma anche per delle eventuali gare di triathlon».

Che ruolo ha assunto il running nella tua vita?
«Mi piace. Perchè comunque è la novità. Il diversivo. Anche andare in bici mi piace, ma è sempre la stessa cosa. Quando salgo in sella devo sempre trovare la motivazione. Correre a piedi invece mi dà sempre nuove opportunità. Basta anche solo cambiare strada, entrare in un sentiero di campagna piuttosto che seguire l'asfalto o provare ad attraversa il bosco. Vedere i progressi dà quella spinta in più che serve per non annoiarsi. Sulla bici ormai so quello che ho dato e che posso dare. A piedi invece ancora non mi conosco a fondo e sono curioso di sapere dove posso arrivare».

Nella vita di un ciclista professionista invece che ruolo ha il running? Viene affiancato alla preparazione?
«Chi va in bici fa so quello. Pedala e pedala. Il ciclismo è impegnativo, devi dare tanto. E devi dare tanto anche per recuperare. Non ci si può permettere di inserire allenamenti anche solo di scarico a piedi, perchè comunque non è rilassante. Ha un impatto invasivo sui muscoli. Se per un runner è valido il consiglio di pedalare per scaricare le gambe, lo stesso non è applicabile, al contrario, ad un ciclista».

Che differenze vedi tra chi pratica ciclismo e chi pratica running?
«La corsa a piedi è ancora più individuale del ciclismo. Più estrema. Quando corri sei solo tu, con te stesso. Non hai una squadra che ti può aiutare, trascinare, spronare. Nel ciclismo, pur essendo da solo in sella, hai il supporto della squadra, se buchi, se cadi, se davi fare un'azione di attacco. A piedi i conti li fai con te stesso. O vai o non vai».

Cosa ha in più il running rispetto al ciclismo?
«Ho notato che la corsa a piedi è lo sport che maggiormente ha impatto positivo sul peso e sul mantenimento della forma. E' più facile. Sia in termini di tempo che di libertà. In qualsiasi posto mi trovi, posso decidere di uscire ed andare a correre anche solo per qualche chilometro. Senza dover avere necessariamente con me la bicicletta e dover stare in giro per ore. Correndo non hai bisogno quasi di nulla. Un paio di scarpe e la voglia di farlo».

Questa è una immaginepinterest

«Probabilmente sarei potuto essere uno skyrunner»

Ti saresti mai immaginato come runner invece che come ciclista professionista?
«Io sono un fondista. Se mai avessi potuto avere una carriera podistica probabilmente sarei diventato uno skyrunner. Quello che sono stato in sella probabilmente sarei stato anche a piedi».

Hai già provato a fare qualche trail in montagna quindi?
«Qualche anno fa si ci ho provato. Quando ero un po' più in forma. Oggi è un po' più dura. Anche se a 54 anni mi difendo ancora bene, manca quello spunto in più per fare la differenza. Ma l'adrenalina, l'esperienza, la voglia di provare nuove avventure, la passione, la mia testa dura, sono tutti elementi che mi aiutano a volerci provare continuamente».

Sei stato un competitivo anche il sella alla bici. La stessa cosa ti capita ancora adesso quando corri a piedi?
«Uguale. Se non forse ancora di più. E la cosa un po' mi fa paura, perchè la competitività poi mi porta anche ad esagerare. Dato che nella corsa non ho ancora tutta l'esperienza che ho nel ciclismo, cerco sempre di stare attento a quello che faccio».

Che differenza c'è tra il mondo dell'atletica e del ciclismo?
«Ho visto che nelle maratone tutti sono amici. Tutti sono solidali, si salutano, si complimentano, si incitano, si applaudono. Anche nel triathlon c'è questa sorta di fratellanza, di unione. Che è bellissima. Nel ciclismo no. E' diverso. Molto più freddo. Si parte, si arriva e poi tutti a casa».

Tu non l'hai ancora corsa, ma lo fara il prossimo 7 maggio. Alla Wings for Life World Run questo clima è ancora più esasperato. Come mai hai deciso di essere uno degli ambassador di questa edizione e di correrla?
«Forse perchè io sono sempre alla costante ricerca dei miei limiti. Non sono mai soddisfatto. Appena intravedo qualcosa di nuovo, di difficile, ci voglio provare. Non so quanti chilometri riuscirò a correre. Non mi pongo degli obiettivi da raggiungere a tutti i costi, ma cerco di capire strada facendo dove poter arrivare, perchè ogni giorno è diverso dall'altro. E così farò anche questa volta. Anche nel ciclismo, ho fatto delle cose meravigliose in gare in cui non avrei mai pensato di poterci riuscire ed ho mancato l'obiettivo in altre in cui la strada sembrava più semplice. E' Il bello dello sport».

A novembre hai corso la tua prima maratona, ad Atene. Cosa ti è rimasto di quell'esperienza?
«Mi ha messo tanta soggezione. Perchè ho corso dove la maratona è nata. E' stato come correre per la prima volta in tutta la mia vita. Pur arrivando da centinaia di gare in bici, dai grandi classici alle corse del mondiale, mi sono emozionato come se fossi stato un ragazzino. Ho anche trovato maratoneti, italiani e stranieri, che mi hanno riconosciuto e pur nella fatica del momento sono venuti a salutarmi. Questa è stata una spinta in più. Non fermarsi e continuare a far vivere nella memoria dei tifosi quello che sono e che sono stato per loro: El Diablo».