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Ciclismo, Moser riparte dal Laigueglia: "Devo scoprire i miei limiti"

Nella corsa in cui si rivelò con la vittoria di 5 anni fa, il trentino cerca il grande rilancio

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ROMA - Cinque anni fa il futuro del ciclismo italiano aveva un cognome rassicurante, un volto fresco, due gambe meravigliose. Sul muretto dei ciclisti, in tutto simile al mitico muretto di Alassio, quello delle miss, la firma di Moreno Moser è sopra la scritta Trofeo Laigueglia 2012. Terza corsa da pro, prima vittoria. La salita è iniziata dopo, per il nipote d'arte che inizia dal Laigueglia (sintesi alle 17 su Repubblica.it) la stagione 2017, carico più di anni bui che di vittorie, con l'ultimo successo, il settimo della carriera, lontano ormai due anni. Si riparte da Laigueglia in maglia Astana, e questa è la prima novità.

La seconda, sperano gli appassionati, è un Moreno di nuovo vincente.
"Ho lavorato tanto con la squadra, abbiamo già fatto alcuni ritiri in altura, l'ultimo a Sierra Nevada. Abbiamo lavorato molto sul fondo, non ho ancora la brillantezza forse per finalizzare, ma non si sa mai. Il nostro obiettivo stagionale è vincere il Giro con Fabio Aru".
E il suo personale, Moser?
"Crescere come corridore, capire quali sono le mie possibilità e i miei limiti. So di certo che non diventerò un corridore da corse a tappe, non ho le caratteristiche per tenere duro tre settimane. Posso fare bene in tutte le altre corse, sono uno scattista, per me sono ideali le classiche vallonate, le tappe dei Giri, ho 26 anni e devo ancora scoprire molto di me".
Laigueglia 2012: alba di un campione o abbaglio?
"Correvo con "ingenuità", in maniera incosciente, nemmeno guardavo l'SRM. Mi ha impressionato una mia foto in smanicato al Laigueglia, oggi sarebbe improponibile, sono subentrate la consapevolezza e la maturità e non sempre questo è un bene. All'inizio ero un corridore istintivo, ma è vero anche che le prime vittorie mi hanno dato forse più di quanto valessero quelle corse. Se avessi corso il Giro nel 2012, ad esempio, non l'avrei di certo finito".
Cosa è cambiato di più, Moreno Moser o il ciclismo, in questi cinque anni?
"Il ciclismo è molto cambiato, il livello si è alzato notevolmente perché anche i corridori medi, oggi, si allenano come i capitani, mantengono il peso, la forma, hanno bisogno di risultati, è quasi scomparsa la classica figura del gregario senza ambizioni se non quella di servire la squadra. Quindi gli ordini d'arrivo sono più vari, i vincenti sono sempre di più e per vincere una corsa bisogna davvero fare un'impresa ogni volta".
La sua vita com'è cambiata nel frattempo?
"Dopo la Liquigas ho corso in una squadra americana, la Cannondale: è stata una bellissima esperienza di vita, ho imparato l'inglese, ho allargato i miei orizzonti, sono stati anni importanti, anche se con rare soddisfazioni sportive. Adesso corro per una squadra kazaka, ma piena di italiani. Anche in questo il ciclismo è molto cambiato, una volta un corridore italiano non si accasava mai all'estero. Oggi è la norma".
Anche perché l'Italia, intesa come sponsor e squadre, è sparita dal World Tour.
"Sì, è una situazione strana, paradossale. Ho corso nella Liquigas, di fatto l'ultima squadra totalmente italiana nel circuito maggiore e avevo la consapevolezza, già allora, di partecipare a qualcosa di storico, di essere parte della fine di un ciclo positivo. Adesso i denari vengono da altre parti del mondo e dobbiamo adeguarci e, volendo, dovremmo anche imparare".
Al Giro ci saranno solo due formazioni italiane, ma Nippo e Androni stanno dando battaglia per tentare di far cambiare idea a Rcs.
"Vedere squadre come la CCC o la Gazprom, con corridori che difficilmente portano pubblico sulle strade e danno interesse alla corsa, non è una buona decisione, ma nel ciclismo contano molto gli sponsor e le prospettive economiche di una scelta e dunque, se Rcs ha scelto loro al posto delle italiane Nippo e Androni, avrà avuto i suoi motivi e non entro nel merito. Credo che però il nostro movimento ci perda con questa scelta".
Un'altra querelle nata in questi ultimi tempi è quella relativa ai freni a disco: banditi un anno fa dopo il terribile incidente di Ventoso alla Roubaix, riammessi ora.
"Dobbiamo intenderci: i freni a disco sono diversissimi da quelli tradizionali e non è ammissibile un gruppo in cui ci sono corridori che li hanno e altri che non li hanno, il tipo di frenata è totalmente diverso, si rischiano assurdi tamponamenti e molti incidenti, per non parlare dei rischi di tagli o di ustioni. Io non li ho mai usati e non credo di farlo a breve. Fabio Aru ha pronta una bici con freni a disco ma per ora non dovrebbe usarla. La differenza può creare disparità: o tutti o nessuno".
Come va con Fabio?
"Avevamo una bella amicizia ai tempi delle categorie giovanili, siamo coetanei e abbiamo negli stessi anni nelle stesse categorie, anche se mai in squadra assieme. Lui è una macchina da guerra, se ha un obiettivo si impegna da morire, non sgarra, ha una mentalità da leader. Voglio farmi trovare pronto per il Giro e dargli una mano importante. Per il resto, l'intesa già c'è, sapremo metterla sulla strada".
Sente e vede spesso zio Francesco, il mitico Sceriffo?
"Ci vediamo due volte l'anno ormai, io vivo a Montecarlo, la mia ragazza è austriaca, in Trentino capito purtroppo poco".
Progetti, idee per il futuro?
"Sto sfogliando il libro dei test d'ingresso universitari, ho intenzione di iscrivermi a Scienze motorie, ma non so quando né dove ancora. È un mio progetto di vita, vedremo, ma adesso testa bassa e pedalare".
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