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La strada di Malori: "Tornato bambino per battere il trauma"

Il ciclista speranza olimpica, poi un anno fa vittima di un terribile incidente: "So che tornerò ma non so dire quando"

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UN anno in un lampo. "La caduta, quella mi torna spesso, come una visione, come un miraggio, io davanti che prendo una buca e poi il buio, una luce e poi il buio". Era un anno fa, la 5ª tappa di una corsa che non esiste più, il Tour de San Luis. Sull'asfalto argentino Adriano Malori lasciava una probabile medaglia olimpica e quasi la vita. 15 giorni di coma, al risveglio la parte destra del corpo paralizzata. Mesi infernali, il ritorno faticoso in bici, a settembre le prime gare, alla Milano-Torino cade di nuovo, si frattura la clavicola. Un virus gastrointestinale a fine anno.

Il passato è passato, o no?
"Il fisico risponde, e questa, dopo tutto, è una bellissima notizia. Mi sto allenando, la squadra mi è vicino, non so effettivamente quanto valgo, non so dirlo, non è un pensiero che ho al momento".

Ha detto: "Non tornerò il Malori di prima".
"Hanno scritto male, è una frase che non ho mai detto. Invece so che tornerò, non so dire quando, avremo qualche risposta già alle prime gare di quest'anno, partirò dalla Spagna, forse già a fine mese. Sono curioso di vedere quanto il lavoro fatto questo inverno intorno a casa, a Traversetolo e sull'Appennino emiliano, mi potrà dare".

Come si torna da un incidente così?
"Con più rabbia di prima, con più voglia di fare".

Quanto incide un incidente su un corridore, sulla sua voglia di rischiare?
"Non so quantificarlo, so solo che ho avuto momenti di rabbia nei confronti della bici, soprattutto dopo la caduta alla Milano-Torino. Ma so che appena tornerò a mettere un numero sulla schiena, non tirerò più degli altri i freni, perché il ciclismo è il mio lavoro e se hai paura non puoi farlo. E io voglio fortissimamente continuare a farlo".

Perché nel ciclismo si cade tanto?
"Perché si corre forte e non tutti ne sono in grado, stare davanti è fondamentale se no i contratti non te li rinnovano, in gruppo non si sopravvive più di due, tre anni senza risultati, senza essere stati importanti per il capitano: per entrambe le cose gli altri devi metterli dietro".

Si corre in troppi?
"No, ma ci sono troppi corridori incapaci di limare. Con ciò, mi oppongo all'idea di ridurre il numero di corridori. Ci vuole, piuttosto, un salto di qualità, mettere in bici gente che sa starci. Poi, è ovvio, la fatalità è sempre dietro l'angolo".

Crede nel destino?
"Credo che tutto alla fine si compensi nella vita, ma non lo sai mai quando la tua bilancia è in pari. Se ti fai spaventare dalla sfortuna, perdi in partenza. L'incidente mi ha fatto ragionare sulle cose davvero importanti, su quanto si è stupidi a volte, su quanta parte della vita sprechiamo. Sono ripartito dalle cose essenziali, vedere, respirare, toccare, piangere. Sono come tornato bambino per qualche tempo, tabula rasa. Da lì a tornare campione del ciclismo potrà volerci molto tempo e molto lo dovrò passare sottozero, da solo, a pedalare nella nebbia".

Cosa succederà nel 2017? Il suo compagno Quintana prova l'accoppiata Giro-Tour.
"Lo aiuterò, se verrò chiamato in causa, è un progetto ambizioso e difficile. Ma quest'anno il ciclismo, per me, è Adriano Malori, quel che saprò fare io. Ogni tirata davanti, per Quintana o Valverde, sarà un segnale, sarà premere di nuovo play dopo aver messo in pausa, sarà dire "eccomi"".
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