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Keagan Girdlestone: "Dopo quella caduta pensai di essere morto"

La seconda vita di Keagz, che ritorna in bici: "I medici hanno fatto un miracolo. Avevo sfondato il vetro dell'auto con la testa: riuscivo a sentire solo il calore del sangue"

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Straziato dal lunotto in frantumi della sua ammiraglia, Keagan Girdlestone pensa: "Ecco, sono morto". È il 5 giugno scorso, si corre la Coppa della Pace, in Romagna. La notizia corre: un altro lutto nell'anno più orribile che il ciclismo ricordi, Keagz aveva solo 19 anni. E su Twitter appaiono messaggi di colleghi: "R.i.p. Keagan". "Adesso basta". "Maledetta bicicletta". Ma il corridore morto non era morto. La sua voce arriva dalla Nuova Zelanda, dalla fine del mondo. "Eh no, sto piuttosto bene per essere morto".

Lei è un miracolato, Keagan.
"Sono un ragazzo che ha saputo combattere. In fondo a 19 anni era un po' presto, no?"

Ricorda la caduta?
"Ho sfondato con la testa il vetro posteriore dell'auto, in quell'istante ho sentito il calore del sangue che mi scendeva dal collo su tutto il corpo. L'ultima cosa che ricordo sono le urla di uno spettatore che dice "piano, piano, piano". Ho perso litri di sangue. Poi il silenzio mi ha avvolto. Ho pensato "sono morto", l'ho pensato, è incredibile".

La notizia finisce anche in rete: il promettente sudafricano della Dimension Data Keagan Girdlestone è morto.
"Me l'hanno detto i medici al mio risveglio, "ehi Keagz, ma non eri morto?", nove giorni più tardi. Ho immaginato i miei genitori, i miei amici. Della mia prima morte, mi è rimasta una grande cicatrice a forma di croce sul collo. Vorrei ringraziare i medici dell'Ospedale degli Infermi di Rimini. Hanno fatto un capolavoro".

A fine 2016 si contano sette vittime, sette corridori morti in gara o in allenamento. Non crede che il ciclismo sia diventato troppo pericoloso?
"Non è il ciclismo a essere pericoloso, ma la vita, e se è vero che il 2016 è stato un anno terribile, credo si sia trattato solo di fatalità, tremende fatalità. Ho letto della proposta di diminuire il numero di corridori nelle corse. Può funzionare, sicuramente, ma nel mio caso, in quel momento, il numero di corridori in gara non c'entrava nulla. Lì, in trance agonistica, non mi sono reso conto di quanto fossi vicino alla mia ammiraglia e di quanto fosse stretta la curva che andavamo ad affrontare".

È tornato in bici?
"Mi sto allenando da novembre. Litigo qualche volta con i medici: loro mi chiedono di non esagerare, di non superare i 145 battiti al minuto, e invece ieri stavo sui 175. Durante la prima settimana ho fatto 200 km, ora sto crescendo. Non tornerò prestissimo a correre, ma tornerò, questo è sicuro".

Il sogno di vincere il Tour le è rimasto?
"Il Tour, ma anche il Mondiale, e le Olimpiadi... Ammiro Sagan, Froome, Robbie Hunter, il primo sudafricano a vincere una tappa del Tour. Due giorni prima dell'incidente ero a Pisa, le strade della Toscana sono sempre piene di amatori, è bellissimo. Il nostro è uno sport bellissimo".

Cosa le ha tolto l'incidente?
"La possibilità di partecipare al matrimonio di mio fratello. Ma mi ha dato la forza di un toro. Quando tornerò, mi vedrete davanti a menare la danza".
 
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