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"Noia e poco coraggio". Gimondi boccia il Tour

L'intervista. L'ex campione azzurro e la vittoria di Froome: "Troppo facile, è bastata un'azione in discesa"

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TUTTI dietro al pifferaio magico: un tipo secco allampanato vestito di giallo gestisce il Tour de France con padronanza tale da farlo somigliare alla corsa del paese. Chris Froome comanda, tutti gli vanno dietro, e nella noia generale la corsa più importante produce un dato mai registrato: partiti 198, ritirati 24, arrivati 174, mai dal 1903 tanta gente aveva raggiunto Parigi. A dire il vero, di ritiri ce n'erano stati meno nel 1932 (23), 1934 (21) e 1968 (22), ma in quelle edizioni i partenti erano stati rispettivamente 80, 60 e 110. Un paragone con il vecchio ciclismo, non un rigurgito nostalgico. Non c'è necessità di tornare al Tour del 1928, al numero record dei 121 ritirati, ai 50 e passa minuti inflitti dal vincitore, il lussemburghese Nicolas Frantz, al co-favorito e compagno di squadra André Leducq. Un Tour diverso, ma per fare paragoni scomodi con l'attuale non bisogna andare così indietro. Felice Gimondi in Francia ha vinto al primo tentativo, nel 1965

Gimondi, le è piaciuto il Tour?
"È stata una corsa noiosa. Froome e la Sky sono da dieci, ma alla fine la maglia gialla ha vinto con una azione. Gli è bastata quella trovata nella discesa dal Peyresourde, una manciata di secondi che l'hanno resa inattaccabile".

Anche "colpa" degli altri?
"Sì. Prendiamo Quintana. In tre settimane non ha piazzato mezzo attacco".

Qualcuno da promuovere?
"Il francese Bardet mi è piaciuto, ha corso con coraggio, il suo secondo posto è meritato. E poi Sagan... Quando va a caccia delle tappe è uno spettacolo".

Italiani, note dolenti
"Nibali non è andato per la classifica, da Aru invece mi aspettavo entrasse tra i primi cinque. Ma si rifarà".

Non sarà che questo ciclismo è troppo tecnologico?
"Gli auricolari sono uno dei fattori che mi piace di meno. C'è troppo controllo, con questa logica azioni di fantasia come quella splendida di Bardet saranno sempre più rare".

C'è anche paura di osare?
"Sì. L'essenza del ciclismo è il rischio, l'inventiva. Bisogna attaccare, mettere anche in conto la possibilità di scoppiare, ma essere pronti a riprovarci subito".

Questo avviene sempre meno.
"Chiamo in causa i genitori. Mi è capitato di vedere delle corse di ragazzini che venivano apostrofati duramente se sbagliavano tattica. Tutto questo è assurdo, il ciclismo ha una base istintiva che va coltivata da subito. Il ciclista non va mai frenato...".

Ma Gimondi contro Froome?
"Potevo batterlo, ma pongo una condizione che la sorprenderà. Avrei voluto con me un certo Eddy Merckx".

Addirittura, ma poi avrebbe rischiato di perdere da lui.
"Forse, ma mica è detto. Intanto mi tengo Eddy in corsa. A 100 km dall'arrivo cominciava a tirare come un matto e allora avrei voluto vederli quelli della Sky".
 
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