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La resa di Gavazzi: "Il ciclismo malato, cocaina per la fatica"

Il ciclista, 32 anni, positivo per la quarta volta in Cina, ora sarà radiato: "Sonniferi, caffeina, tabacco: quanti rimedi"

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"La cocaina è un guaio della società, noi del ciclismo siamo controllati, di noi si sa tutto, si sa dove, come, perché. Al contrario della gente comune, noi dobbiamo spiegare". Ne ha voglia, Mattia Gavazzi, 32 anni, pizzicato per la quarta volta in corsa con la coca in vena. Per lui, ottimo velocista di corse minori con un progetto persino Mondiale, presto arriverà la radiazione. L'ultima volta è accaduto al Qinghai Lake Tour, nel luglio scorso. Un controllo in gara. La positività viene fuori 9 mesi dopo. Un parto mostruoso, e ora è finita davvero.

Quattro volte la coca, la prima nel 2000, a 16 anni.
"Ero un ragazzo, un gioco".

La seconda nel 2004, da Under 23.
"Era già dipendenza".

La terza, nel 2010.
"Quella mi ha stroncato la carriera. Dopo ho saltato tre anni. Sono andato in comunità, a Sonico, la Inexodus. Dovevo uscirne e ne sono uscito".

Fino all'estate scorsa.
"Una delusione d'amore, ero in albergo a Legnano. Ci sono ricascato ".

Ma non ha pensato all'antidoping, che presto o tardi l'avrebbero beccata?
"Tra di noi lo sappiamo: se uno si fa di cocaina, ci mette 10 giorni a smaltirla. La prima gara era dopo 13-14 giorni".

Sfortuna, in un certo senso.
"Il mio sangue ha messo più del dovuto a smaltirla. Sono rimasto sorpreso. Ma non posso recriminare contro niente, se non contro me stesso".

In squadra, all'Amore e Vita, sapevano?
"I direttori sportivi avevano notato in me delle stranezze, ma mi assumo tutta la responsabilità di ciò che è accaduto e anzi, mi dispiace per Ivano Fanini, che mi ha sempre trattato come un figlio ".

Anche Paolini, come lei, è stato beccato nel luglio scorso per cocaina. L'Uci l'ha condannato a 18 mesi, solo "uso ricreativo".
"Ha senso, non ci si fa per vincere. Ma quello della cocaina è comunque un problema serio. Noi ciclisti siamo sottoposti a pressioni fisiche enormi. E ci industriamo come possiamo per combattere la fatica. Dilagano i sonniferi, il Tramadol (un antidolorifico), la caffeina, il tabacco masticabile, la cocaina è solo uno dei rimedi, di certo il più stupido. Ma appena è uscita la notizia della mia positività, diversi corridori mi hanno chiamato, allarmati. Sono parecchio deleteri anche i dopo-corsa, le feste e l'ambiente che ci circonda, bisogna avere una grande saldezza di nervi per non caderci".

Nei giorni scorsi, in Francia, è uscito un libro, "Je suis le cycliste masqué", in cui un corridore in attività sotto mentite spoglie racconta il para-doping, il prontuario in possesso dei corridori nell'era attuale, quella della politica no needle. Il quadro è inquietante. Possibile che il ciclismo non sia ancora uscito dalle farmacie?
"È estremamente difficile, ma non impossibile".

Cosa le resterà della bici?
"Quarantaquattro vittorie. Il fascino dell'avere un numero sulla schiena, il modello di mio padre Pierino, che vinse una Sanremo prima che nascessi, le belle persone conosciute, Gianni Savio, Ivano Fanini su tutti".

Cosa vorrebbe, adesso?
"Che questa storia svanisse presto. Forse tornerò nel ciclismo, prima o poi. Ma, ricordate: quel che ho vinto, l'ho vinto nonostante la cocaina".
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