Marco Marcato, 32 anni, seconda stagione alla Wanty Group Gobert. Bettini

Marco Marcato, 32 anni, seconda stagione alla Wanty Group Gobert. Bettini

Drongen è un grosso sobborgo alla periferia di Gand. L’hotel Van der Valk un albergo come tanti. Antoine Demoitié ci ha passato l’ultima notte della vita, prima della Gand-Wevelgem che gli sarebbe poi stata fatale. "Non vedeva l’ora di attaccarsi il numero alla schiena. Una gara così importante non l’aveva mai fatta. Il venerdì, ad Harelbeke, era stato in fuga. Protagonista. Era contento". La "voce" narrante è di Marco Marcato. Era il 32enne padovano a dividere la stanza con il 25enne belga scomparso nella notte tra domenica e lunedì, in seguito a un tragico incidente in gara. Una settimana dopo, Marco guida la Wanty-Groupe Gobert - dopo la rinuncia alla Tre Giorni di La Panne - al ritorno in gruppo nel centesimo Giro delle Fiandre.
Marcato, conosceva bene Demoitié?
“Io sono alla seconda stagione nel team, lui alla prima. L’avevo incontrato a Benidorm a gennaio: il primo ritiro. I programmi di gare erano stati diversi ma l’avevo ritrovato già ad Harelbeke. E prima della Gand-Wevelgem abbiamo diviso la camera. Stavo cominciando a conoscerlo meglio”.
Quella sera come è trascorsa?
“Abbiamo guardato su youtube le immagini della Gand-Wevelgem dell’anno prima. Fermavamo le immagini, si parlava dei punti chiave, del percorso, della strategia. Era curioso, aveva voglia di imparare. Mi aveva raccontato anche che si era da poco sposato, che non aveva figli".
In corsa, lei aveva avuto la percezione dell’incidente?
“Io ero nel suo stesso gruppetto, ma davanti di qualche secondo. No, non me ne ero accorto. Dove credo sia successo si andava in leggera discesa, la velocità era abbastanza sostenuta. Un po’ di corridori si sono staccati, io non ho più visto Antoiné, ma non pensavo al peggio. Ho saputo tutto al pullman dopo la gara. All’inizio ci avevano detto che era in coma, ma stabile. Poi, quando il d.s. verso le 20 è tornato dall’ospedale, ci ha riferito di uno stato molto critico”.
E il giorno dopo la notizia della morte, come è stato?
“Brutto. Il programma prevedeva di uscire in bici, una sgambata dopo la Gand. Ma è saltata. La scelta di non essere alla Tre Giorni di La Panne l’abbiamo presa tutti assieme. Credo che quanto successo sia stata una fatalità. Io sono sposato con Elisa, abbiamo una figlia di due anni e mezzo. Si chiama Aurora. Ho pensato a loro, ai rischi, ai pericoli. Ci dobbiamo convivere. Non è la prima volta, ricordo la morte di Weylandt al Giro: l’ho vissuta da fuori. Mi aveva toccato sì, ma forse non me ne ero reso conto. Stavolta ho perso un compagno con cui avevo diviso la camera la sera prima”.
Come lo ricorda, adesso?
“Simpatico, scherzoso. La battuta pronta. Gli piaceva fare gruppo. Non sono, non siamo preparati ad affrontare tragedie così”.