Sacchi, il mondo su due ruote
Mentre prepara la 12ª stagione da pro e con 350mila chilometri corsi, Fabio Sacchi spiega la sua geografia imparata in bici. Tra hotel di lusso, stamberghe e indimenticabili esperienze umane
Fabio Sacchi, 32 anni, dodici stagioni da pro.
Fabio Sacchi, 32 anni, dodici stagioni da pro.
MILANO, 20 dicembre 2006 - Undici anni da professionista. Il 2007 sarà il dodicesimo. Contando solo i chilometri pedalati a pagamento, siamo ad almeno 350 mila: più di quelli collezionati da una Mercedes africana, che non fa differenza fra strade d’asfalto e piste di terra. Fabio Sacchi potrebbe scrivere un libro di geografia. Proviamo.
La salita più bella?
«L’Alpe d’Huez. A ogni tornante, se ce la fai ancora, si respira un capitolo di storia. E poi la gente: mai visto i lati della strada, solo due muri di occhi e braccia, queste spesso anche troppo vicine. E’ una salita bella, e anche bella dura: 14 chilometri, e non molla mai un metro».
La più brutta?
«Tutte le altre. Le salite non sono il mio forte. Anzi, le salite con me si divertono, tant’è che cercano di tenermi lì il più a lungo possibile. La più brutta delle brutte è il Sampeyre: durante il Giro d’Italia 2003, quando finalmente abbiamo scollinato, in premio abbiamo ricevuto una grandinata».
Il rettilineo più lungo?
«Via Roma, Sanremo, Milano-Sanremo 2005, vittoria di Alessandro Petacchi. Il traguardo non arrivava mai, neanche a pregare. Eppure lo striscione era lì».
Il rettilineo più breve?
«Via Roma, Sanremo, Milano-Sanremo 2006. Altri 20 metri e "il Peta" avrebbe raggiunto e superato Pozzato».
La discesa più pericolosa?
«Giù dal Mortirolo. Bisogna anche considerare le condizioni in cui si arriva su al Mortirolo».
La discesa più comoda?
«In una tappa della Vuelta, ma non ricordo quale. E poi quella della Marmolada, giù dal Fedaia. Dritta come un’autostrada, bisognerebbe mettere i limiti di velocità».
L’albergo più elegante?
«Hotel Caesar a Lido di Camaiore. Quello dove mi trovo in questi giorni, in una specie di ritiro volontario, con alcuni compagni di squadra. Non lo dico per avere uno sconto, ma perché è un signor quattro stelle».
L’albergo più modesto?
«Sempre alla Vuelta, vicino a Salamanca, una stella rubacchiata. In mezzo all’autostrada. Mancava solo che, invece della reception, ci fosse il casello».
Il ristorante migliore?
«Quello dell’Hotel Caesar, sempre a Lido di Camaiore. E non lo dico, sia chiaro, sperando nello sconto. La verità è che, quando andiamo nei ristoranti durante il periodo delle corse, mangiamo sempre le stesse cose: prosciutto e mozzarella, pasta in bianco con un filo di olio extravergine. Il massimo della trasgressione è l’acqua minerale frizzante. Ma non trasgrediamo: e la beviamo naturale. Invece qui esagero: l’altra sera un rombo da Premio Oscar alla carriera — alla carriera del cuoco, e anche del rombo —, stasera tagliata. Ho provato perfino il tiramisù».
Il ristorante più scarso?
«Sempre alla Vuelta. Si mangiava da cani. A un certo momento abbiamo cominciato ad abbaiare».
Il bagno più grande?
«Quello di casa mia. Vasca con idromassaggio. Dentro con i miei figli».
La vasca più confortevole?
«In un albergo di Livigno. Ero così esausto che ci entrai vestito da corridore e rimasi mezz’ora a mollo nell’acqua calda».
A proposito di calda: la gente più calda?
«I baschi. Nella Classica di San Sebastian, sulle salite, i tifosi regalano Coca-Cola a tutti».
La gente peggiore?
«Mi dispiace dirlo, perché sono di Milano, nato a Peschiera Borromeo e cresciuto all’Idroscalo, ma è quella del Trittico Lombardo. Noi la chiamiamo "la sagra della bestemmia". A chi arriva staccato sulle salite certi tifosi urlano "andate a lavorare" e il complimento più chic è "barboni"».
Il panorama più ricco?
«Montecarlo».
Il panorama più naturale?
«Australia».
Il panorama più desertico?
«Qatar».
Il panorama più umano?
«Il Messico. Gli occhi di quei bambini che muoiono di fame non te li dimentichi più».