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Denunciò il suo team, ora Bani vince tra i Pro: "Il coraggio funziona"

In Venezuela il primo sprint azzurro del 2016 è di un 24enne che sfidò l'omertà

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LA VOLATA, presa in testa. Una volata lunga tre anni e finita sul traguardo di Santa Barbara de Barinas, spartiacque di una carriera, di una vita che riparte ora, a 24 anni. La prima vittoria da professionista di Eugenio Bani è arrivata alla Vuelta al Tachira, remota ma importante corsa a tappe del Venezuela. Uno sprint di potenza, la maglia dell'Amore&Vita stesa a prendere aria in un pomeriggio di ciclismo vero. Era tornato a correre alla Coppa Agostoni del 2013, dopo una squalifica conseguente a una vicenda di farmaci e tribunali. Imbottito di medicinali dalla sua squadra di allora, la Ambra Cavallini Vangi, quando era ancora juniores, trovato positivo a un controllo antidoping, Bani vuotò il sacco. La sua denuncia portò alla condanna penale di direttore sportivo e vicepresidente del team. Poi il buio: un anno e mezzo di squalifica, il marchio d'infamia in un ambiente che non perdona le lingue sciolte. Dopo, la fatica di trovare una squadra, le tante porte sbattute, la paura. Poi arrivò Ivano Fanini, la seconda chance, la seconda vita. "E sono diventato il corridore che sognavo di essere".

La prima vittoria da professionista è anche la prima di un italiano nel 2016.
"Questo aggiunge valore e non è una coincidenza. Vuol dire che la fortuna sta girando e che a 24 anni la mia carriera può fare da oggi in poi un salto di qualità".

Dove può arrivare?
"Sogno di correre una classica, la Sanremo, la Roubaix, possono diventare le mie corse. Intanto un traguardo l'ho raggiunto, dimostrare che nel ciclismo posso starci e vincere senza doping".

Ha qualche macigno da togliersi dalla scarpa?
"Non inseguivo vendette, ma inseguivo qualcosa, e ora so cosa, la sensazione di alzare le braccia, di sentire il vento nelle mani, dopo aver mollato il manubrio".

E Fanini, quanto ha contato?
"Tutto, la mia vittoria è la sua e la dedico alla sua passione e alle sue lotte, spesso incomprese, ma straordinarie".

Ha detto il patron: "Una delle vittorie più belle del ciclismo degli ultimi 10 anni".
"Uno dei giorni più belli della mia vita, sicuramente. Adesso che la ruota ha preso a girare, non voglio più fermarmi".

Ha mai pensato di mollare?
"Ho sempre creduto che prima o poi ne sarei venuto fuori, ma sì, è stata durissima e a farmi male è stato soprattutto il silenzio dell'ambiente".

Come funzionava la "cura"?
"All'Ambra Cavallini Vangi ci sottoponevano a iniezioni endovena e intramuscolo di sostanze che dicevano essere vitamine, ferro, antidolorifici, Mionevrasi, Tadd, B.12, ferro, Contramal, prima e dopo le corse, dicevano servisse per il recupero. Dopo una positività alla Gonadotropina corionica e la conseguente squalifica, ho scelto di parlare: mi ha aiutato a pulirmi la coscienza, non certo a trovare comprensione. Lo sconto per aver collaborato, ma dopo il nulla".

Quale insegnamento crede debba trarne il ciclismo?
"Il coraggio paga, alla lunga, il silenzio è complice, è il peggiore dei mali".
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