Piepoli non concede il bis
Lo scalatore pugliese che lo scorso anno vinse due tapponi al Giro mette le mani avanti: "Lo dico subito: impossibile ripetere il 2006. Chiedo solo la salute, al resto ci penso io"
L'arrivo vincente di Piepoli, davanti a Basso, al passo Furcia al Giro 2006. Bettini
L'arrivo vincente di Piepoli, davanti a Basso, al passo Furcia al Giro 2006. Bettini
MILANO, 13 dicembre 2006 - Sette mesi fa, al Giro d’Italia, Leonardo Piepoli conquistò due tapponi di montagna: a La Thuile, rimanendo in salita con Basso e poi staccandolo in discesa sotto il nevischio; e ai piedi di Plan de’ Corones, rimanendo in salita con Basso e anticipandolo in volata sotto una tormenta al passo Furcia.
- Quelle due vittorie le hanno cambiato la vita?
"No, purtroppo. Se avesse vinto così un corridore di 23 anni, la gente l’avrebbe eletto fenomeno. Con un vecchietto di 35 anni, non c’è aria di miracolo, ma di cantina o solaio".
- Almeno ha battuto cassa?
"I dirigenti della Saunier Duval-Prodir erano entusiasti per la doppietta, sprizzavano felicità. Quando ho accennato a un possibile adeguamento del contratto, hanno cominciato a dire che "le due vittorie erano state fantastiche, meravigliose e...". Non riuscivano a trovare l’aggettivo adatto. Finché l’hanno trovato: "...impagabili". E non mi hanno pagato. Però la mia soddisfazione è stata enorme".
- Perché?
"E’ sempre stato detto che ero buono per una salita, ma alla seconda cedevo, alla terza mollavo, alla quarta sparivo. A me un po’ dava fastidio, un po’ mi caricava. Un giorno o l’altro, mi dicevo, ve la faccio vedere io. E quel giorno, anzi, quei due giorni sono finalmente arrivati. Ho sempre pensato di avere gambe e testa per vincere un tappone di montagna, e mi sono preso quello che meritavo. Non è stato un furto e neanche una sorpresa".
- Tornato in sella?
"Da un mese. Corsa, palestra, bici. Corsa: una mezz’oretta. Secondo una nuova teoria, non mia, ma di scienziati dello sport, i corridori hanno una densità ossea inferiore addirittura a quella dei sedentari. Lo si può controllare attraverso un test che si esegue soprattutto alle donne in menopausa. Insomma: va a finire che, se cadi, ti fratturi. La corsa è un toccasana: aiuta a fissare il calcio alle ossa. C’è un altro vantaggio. Capita che un corridore spinga più con una gamba che con l’altra, e questo alla lunga squilibra tutto il corpo. Invece la corsa ti fa lavorare con tutte e due le gambe allo stesso modo".
- E la bici?
"Niente passeggiate, ma vere uscite. Subito 4-5 ore, e con impegno. Giro tra Montecarlo, dove ho la residenza, la Versilia, dove ho la casa, la Puglia, dove ho i genitori, e i ritiri, con la squadra".
- Si allena sempre con Petacchi?
"Una volta capitava più spesso. Lui non era ancora il re delle volate, così si andava insieme sulle salite dell’entroterra. Adesso ci incontriamo e... ci evitiamo: lui fa pianura e dietro macchina, io salita. Sono sempre stato uno scalatore prima per necessità, poi per scelta. Le montagne sono dure, ma alla fine ti affezioni. Chieda in giro: qualsiasi corridore preferisce fare sei ore sulle Dolomiti che non nella Pianura Padana. Il tempo passa più in fretta, e gli occhi se la godono".
- Con il passare del tempo, che cosa la impigrisce di più?
"Le brutte giornate sulla costa: una stupida sofferenza. Ci sto a soffrire, ma non così, senza senso. Fino a 6-7 anni fa detestavo le ripetute, e le usavo pochissime. Poi ho cambiato mentalità, ho cominciato a crederci. Fanno bene".
- Lei è più famoso in Spagna che in Italia.
"Sono un emigrante. Nato in Svizzera, figlio di operai emigrati in cerca di lavoro. Da dilettante sono andato a correre in Piemonte, Friuli e Liguria. Adesso gareggio per una squadra spagnola. La mia prima vittoria da professionista è stata la Subida Urkiola, una classica corsa in salita, in Spagna. Non sono più quel tipo di emigrante con la valigia in cartone legata con lo spago, ho una Samsonite con le rotelle, ma è vero che non dormo mai più di una settimana nello stesso letto. E non per questione di donne. Magari".
- Piepoli, che cosa chiede alla vita?
"Salute. Al resto ci penso io. A me chiedo tanto e sempre. Mi accontento di tutto, e non mi sta bene niente. Mi ritengo fortunato. Confronto a Bettini, sono uno sfigato. E pensare che avevamo gli stessi sogni. Solo che lui campione del mondo lo è diventato, io no".
- E il 2007?
"Lo dico subito: impossibile ripetere il 2006. Un anno così mi è capitato alla 12ª stagione di professionismo. La prossima volta che succederà avrò 47 anni".