Loddo punta al bis
Il velocista è stato il primo italiano a vincere nel 2006, e sarà anche fra i primi a correre nel prossimo anno. Naturalmente con lo stesso obiettivo. Il Giro parte dalla Sardegna: "Prenoto la tappa di Cagliari"
Loddo esulta nella terza tappa del Circuito della Sarthe. Afp
Loddo esulta nella terza tappa del Circuito della Sarthe. Afp
MILANO, 9 dicembre 2006 — Scommessa. Scommettiamo che il primo italiano a vincere nel 2007 sarà Alberto Loddo? Facile, risponderete: Loddo è stato il primo italiano a vincere nel 2006, e sarà anche fra i primi italiani a gareggiare nel 2007. Perdipiù è velocista.

- Pronto, Loddo?
"Pronto, quasi pronto. Nel 2006 ho cominciato presto e ho finito presto. Ho cominciato in gennaio, in Venezuela, con la Vuelta Tachira, dove sono stato il primo italiano a vincere una corsa nel 2006, e ho finito in settembre, sempre in Venezuela, al Giro del Venezuela. Caduto, ferito al ginocchio, infiammato, ritirato".

- E’ vero che in Venezuela è più popolare di Petacchi?
"Ma solo perché Petacchi non ci va. Quando vinci, hai il tuo bel momento di gloria. Miss, fiori, baci, giornalisti, conferenza-stampa. In spagnolo me la cavo: un po’ l’ho imparato dai compagni di squadra, un po’ improvviso, invento, adatto. Una "s " in fondo alle parole italiane: se la va, la va".

- Come sono quelle corse?
"La Vuelta Tachira attraversa una regione ricca, è organizzata in modo professionale, si dorme in alberghi confortevoli, su 100 corridori 35 sono buoni, e con almeno due velocisti è dura vincere. Il Giro del Venezuela passa per zone più povere, è organizzato in modo più allegro, a volte si dorme in alberghi così così, su 100 corridori 35 sono buoni, e ci sono sempre almeno due velocisti duri da affrontare".

- Il mangiare?
"Bisogna stare attenti all’acqua, alla frutta e alla verdura. Alla Vuelta Tachira ho beccato un virus intestinale e un altro alle vie urinarie, mi è venuto un febbrone, quando ho visto 40° mi sono tolto il termometro per paura che salisse ancora di più".

- E le tappe?
"Una media di 140-150 chilometri. Il solito: alcune facili, altre difficili. Io preferisco quelle facili. La salita non è mai stata il mio forte".

- Sei vittorie nel 2006: mica male.
"Ne avrei voluta una al Giro d’Italia. Mi è andata male. Sono riuscito a conquistare un terzo posto dietro a McEwen e Bettini. Mi è mancata un po’ di rabbia".

- Le qualità di un velocista?
"Le chiamo le tre effe: forza, furbizia e fortuna. Ovviamente tutto comincia con molto impegno in allenamento".

- Lei s’impegna?
"Più di un anno fa. Più fondo, più lavori: insomma, più tutto. Mi alleno con il mio figlioccio, Quirino Atzori, passista-scalatore, abbastanza buono, dilettante in Toscana. Oppure da solo. In Sardegna non si è mai veramente soli: c’è il vento".

- In Sardegna comincia il Giro 2007.
"Prenoto la tappa di Cagliari. Io sono di Capoterra, a 14 chilometri da Cagliari. L’arrivo lo conosco a memoria, sul lungomare di Poetto. Anche lì il vento non manca: o contro o laterale".

- Il favorito?
"Petacchi. Con quel treno".

- E lei?
"Forse avrò un compagno, Edgardo Simon, argentino, uno che fa anche la pista. Ma in quei vortici s’impara l’arte di arrangiarsi. Mi considero un kamikaze. L’altro giorno sono stato dal dentista, mi ha tenuto a bocca spalancata per un’ora e mezzo e alla fine mi ha tolto un dente del giudizio. Con un dente in meno e senza giudizio, sarò ancora più kamikaze".