Nibali: ecco lo Squalo 501
Il siciliano si racconta tra debolezze grandi ambizioni: "Non mi monto la testa e imparo da gente come Noè, Di Luca e Garzelli". L'appuntamento è per il Laigueglia
Nibali, 22 anni, in gara al Mondiale 2006. Ap
Nibali, 22 anni, in gara al Mondiale 2006. Ap
MILANO, 6 dicembre 2006 - Se ne conoscono 500 specie. Dipendono dalle pinne - pettorali, pelviche, dorsali, perfino anale, infine caudale - e da altri optional. C’è quello balena e quello elefante, quello spinoso e quello sonnolento, quello bianco e quello martello, quello sigaro e quello pigmeo. Lo squalo numero 501 si chiama Vincenzo Nibali: i suoi tifosi, e non sono pochi, l’hanno ribattezzato "lo squalo dello Stretto".
"Squalo", dicono che lei sia il futuro del ciclismo italiano.
"Lo so, ma non mi pesa. E’ facile giudicare dall’esterno, a volte è anche meglio, però si può anche sbagliare, per eccesso di ottimismo o per difetto di fiducia. Però io sto sulle mie".
Dicono anche che sia un po’ troppo sicuro di sé.
"Per natura sono timido. E sincero. E allora devo dire che sono consapevole di avere dei numeri. Ma ho 22 anni, e soltanto due da professionista. E non mi monto la testa. Quello del corridore è un mestiere dove basta un contrattempo e addio".
Intanto due vittorie.
"Una tappa alla Settimana Coppi & Bartali e il Gran premio di Plouay. La prima sotto la pioggia, da solo, dopo aver rincorso alcuni attaccanti. La seconda in una volata a quattro, rimango con Flecha, rifiato, rientrano Mori e Popovych, ultimo chilometro, falsopiano a scendere, gli ultimi 200 metri a salire, scatto e vinco".
Tanti piazzamenti.
"Per vincere bisogna rischiare di perdere. Per perdere basta voler vincere. Come al Giro dell’Austria: secondo perché un giorno abbia preso una cotta".
Una volta le cotte erano giudicate un segno di debolezza, adesso di purezza.
"O forse di pura debolezza. Sono un istintivo. Mi piace scattare, attaccare, andare davanti. Però ascolto i consigli dei compagni più esperti, da Cioni a Pellizotti. E Noè. Noè si raccomanda sempre: 'Tranquillo, aspetta, non c’è fretta'. Quasi una poesia".
Poi?
"Di Luca e Garzelli insegnano senza neanche bisogno di parlare: basta stargli vicino e guardarli. Solo che non è così facile stargli vicino, almeno nei momenti decisivi".
Si faccia una pagella.
"In pianura buono, in volata scarso, in salita dipende".
Da che cosa dipende?
"Sulle salite lunghe perdo dagli scalatori puri, invece sulle mie salite, se prendo il ritmo giusto, vado bene. Al Giro del Delfinato andavo dietro a tutti e mi finivo. Sul Mont Ventoux ho rincorso Caucchioli e a -5 chilometri sono scoppiato. Io dico che, sbagliando, si sbaglia. Ma dico anche che, guardando gli sbagli, ci si può correggere".
E nelle crono?
"Una disciplina che frequentavo da giovane, e che ho ricominciato a provare quest’anno. Non si sa mai. I risultati sono stati buoni. Al Mondiale un po’ meno: sedicesimo".
Ha ricominciato?
"Da quasi un mese. Un po’ in bici, un po’ in mountain bike. L’inverno lo passo a casa, a Messina. Esco da casa in bici, un paio di chilometri e poi via, nella natura: pianura zero, percorsi vallonati, come salita ci sono i Peloritani. Esco con mio fratello Antonio e con mio cugino Cosimo. Si parla, si scherza, si ride, si pedala. E ogni tanto si fa uno sprint".
"Squalo", ci dia un appuntamento.
"Passo del Ginestro, al Laigueglia. Tanto per cominciare".