Di Luca, l'arte della pazienza
L'abruzzese si sta preparando per il 2007 dopo una stagione avara di soddisfazioni e una sola vittoria. "A 30 anni e dopo 10 anni di professionismo ho ancora voglia di bici"
Danilo Di Luca, una vittoria nel 2006. Ap
Danilo Di Luca, una vittoria nel 2006. Ap
MILANO, 30 novembre 2006 - Il ciclismo è lo sport della pazienza. Gli spettatori che aspettano la corsa, magari già da un paio d’ore sulla strada prima che passi il gruppo. I direttori sportivi, che dall’alba al tramonto, dalla colazione alla cena, dal Costa degli Etruschi alla cronocoppie di Borgomanero, aspettano i loro corridori. E i corridori, che — come diceva Hennie Kuiper — "aspettano che gli avversari svuotino il loro piatto prima di cominciare a svuotare il proprio". Danilo Di Luca è nato con poca pazienza, ma ha imparato ad averne. "Con il tempo — spiega —, più con le sconfitte che non con le vittorie. Magari ti tocca lavorare tutto l’anno per uno scatto, per una fuga, per una volata". Anche per un’avventura, un sogno, una prova di coraggio. "Poi basta poco, e non combini più niente. E’ il bello, è il brutto, è il ciclismo. Però, se hai fatto tutto quello che dovevi fare, almeno non ci rimani male. Ti dici: è andata così, è andata come è andata, è andata come doveva andare".
Pazienza, appunto. Il 2006 va in archivio con una tappa alla Vuelta: magnifica vittoria, ma una sola.
"E pensare che anche quel giorno girava male. Su una salita, a 30 km dall’arrivo, mi sentivo le gambe molli. Di solito le gambe dicono la verità, invece quel giorno no. Ho stretto i denti, ho tenuto duro, e mi sono ritrovato davanti. Quasi solo. Primo".
Il Mondiale di Salisburgo?
"Stavo bene. E l’ho dimostrato. Ma piano, patto e strategia erano: aiutare Paolo Bettini. Piano perfetto, patto rispettato, strategia giusta. Senza rimpianti. Magari il prossimo anno tocca a me. In quel caso mi piacerebbe avere la stessa disponibilità e lealtà dai compagni".
Ultima corsa dell’anno?
"Il Lombardia. Poi un mese di stop. Compresa la settimana di vacanza, l’unica fatta, alle Seychelles. Sull’isola di Praslin: spettacolare. E una gita, in giornata, all’isola di La Digue: fantastica. Io e mia moglie Valentina, da soli. Per staccare da tutto, e da tutti".
Poi?
"Ho ricominciato a metà novembre. In palestra, da solo, e in bici, in compagnia. Perché in compagnia il tempo passa più in fretta e più in allegria. Uscite di due o tre ore. Avevo voglia di tornare in sella. In questi giorni sono a Salsomaggiore Terme, in ritiro con la Liquigas".
Voglia di bici?
"A 30 anni, al decimo di professionismo, la bicicletta è ormai uno strumento di lavoro. Ma uno strumento speciale. Non esiste solo reciproca conoscenza, ma quasi affetto, se non addirittura bisogno. La bici come regola, disciplina, direzione".
Programmi?
"Un secondo ritiro a Terracina dall’11 al 17 dicembre, un terzo in gennaio. Quest’anno niente preparazione in altitudine, in Messico. Non ha dato i risultati sperati. Rimarrò dalle mie parti".
Sentimenti?
"Voglia, appunto. Voglia di riscatto, di fare meglio, di avere anche un po’ di fortuna perché, senza quella, non si va da nessuna parte. Voglia di partire bene, dedicarmi alle classiche e poi affrontare il Giro d’Italia".
Altre voglie?
"Mi affascina l’idea di cimentarmi, prima o poi, in una Sei Giorni. Intanto mi sbizzarrisco sulla mountain bike: respiri la natura e affini la tecnica».
Ci faccia la sua pagella.
"Morale buono, salute buona, squadra ottima. Con Pippo Pozzato, Murilo Fisher e Leonardo Bertagnolli ci siamo rinforzati. E poi, nel 2007, ci sarò anch’io".