Gasparotto: anno pazzo addio
Cadute, malattie, contrattempi ma un finale in crescita: il friulano si allena per un 2007 più sereno. "La Sanremo? La vogliono tutti, io sogno altro: c'è meno concorrenza..."
Enrico Gasparotto, 24 anni, dopo il successo al Cimurri. Liverani
Enrico Gasparotto, 24 anni, dopo il successo al Cimurri. Liverani
MILANO, 28 novembre 2006 - Enrico Gasparotto lo ricorderà come un anno pazzo: tragico e comico. "Ogni volta che tornavo in forma, mi capitava qualcosa". Non fughe o volate o vittorie, ma cadute o malattie o contrattempi. A cominciare dalla mononucleosi, che l’ha inchiodato tutto l’inverno.
"L’ultima mi è successa prima del Gran premio Cimurri. Sono lì sulle strade di case, in Friuli, ad allenarmi. E c’è una gallina, sul ciglio della strada. Indecisa. Non sa che cosa fare: aspettare o scattare. Io la guardo, lei mi scruta. E quando ormai sto per passare, lei attraversa la strada. La schivo per un niente".
- Una gallina fra le ruote è peggio di un bastone: soprattutto per lei. Poi?
"Poi ho vinto il Cimurri. L’unica vittoria della stagione. Nel finale sono andato abbastanza bene: terzo nella Coppa Sabatini, ci ho provato nella Parigi-Tours, ma mi sono arenato sull’ultimo strappettino, ho chiuso al Giro del Piemonte. Quella sera ho appeso la bici al chiodo e per 23 giorni non l’ho neanche degnata di uno sguardo".
- Arrabbiato?
"Dispiaciuto. Proprio l’anno in cui potevo correre con la maglia di campione italiano addosso. Amen. Dal 7 novembre faccio uscite quotidiane. I primi giorni la bici mi era estranea, non c’entravamo per niente, come due che neanche si conoscono di vista. Mi sembrava frenata, mi giravo di continuo per vedere se per caso la ruota posteriore non fosse bloccata. Sentivo il telaio o grande o piccolo, mai giusto, come se qualcuno si divertisse a cambiarlo di notte. Pensavo a uno scherzo. Invece no: era lei, la mia bici, tale e quale".
- Quanto ci vuole per ritrovarsi?
"Due settimane per poter dire: questo è il mio sport. Otto settimane, ma certe volte anche 10, per riguadagnarsi la condizione. Poi dipende da fisico a fisico. Di solito si pensa che chi è piccolo di costituzione, faccia meno fatica e più in fretta. Finalmente una fortuna per nani come me".
- Il programma?
"Due ore a uscita, poi, settimana dopo settimana, si allunga. Esco con Christian Murro, l’unico professionista della zona. Da compagni di allenamento ad amici. Condividiamo tutto, dai chilometri alle parole. Si comincia sparando fesserie, poi s’inciampa in discorsi seri".
- Terzo anno da professionista.
"Ogni volta c’è un buon motivo per darci dentro. Il primo anno per dimostrare che sei degno della categoria, il secondo per segnalarti, il terzo perché ti scade il contratto. Già il terzo anno, eppure mi sembra di aver debuttato solo ieri. Intanto le occasioni viaggiano".
- Obiettivi?
"Partire bene, forte, esordire in Spagna a Maiorca in febbraio, vincere qualcosa alla Tirreno-Adriatico".
- Tutti sognano la Sanremo.
"Appunto. Io sogno qualcos’altro, così c’è meno concorrenza".
- Vacanze?
"L’anno scorso ero stato a Santo Domingo, stavolta casa, cene, amici fuori dal mondo del ciclismo. Se non avessi fatto il corridore, magari sarei all’università. Volevo iscrivermi a Scienze motorie, ma ho preso sotto gamba l’esame di ammissione, e allora quella strada si è trasformata in uno Zoncolan. E io non sono uno scalatore".
- Neanche un viaggio?
"Sì, uno, a Valencia per il motomondiale. L’ultimo GP. Quello in cui Valentino Rossi è caduto e ha perso il titolo. Sono amico di Roberto Locatelli: quel giorno è arrivato secondo, e 5° nella classifica finale".
- Sempre due ruote.
"Noi gli diamo dei matti perché vanno a 300 all’ora. Loro ci danno dei matti perché andiamo a 90, ma su due ruotine sottili come cannucce. La verità è che siamo tutti suonati. Ma essere suonati aiuta. Altrimenti, sai che noia".