La galleria del vento e gli ulivi al vento, il Golden Gate Bridge e il Convento alla Castellina, la California e la Toscana, una mountain bike (S-Works) in regalo e un premio (“Coraggio e avanti”) alla brillante carriera. Fabio Aru, 24 anni, ha alternato vacanze e lavoro, su e giù dalla bici, ed è prontissimo a ricominciare con un primo ritiro a Montecatini Terme.
Aru, se chiude gli occhi, che cosa vede?
“Il Giro d’Italia 2014, la tappa di Montecampione, gli ultimi metri, in solitudine, a tutta, poi la linea del traguardo, le braccia al cielo. Una felicità pazzesca”.
Poi?
“La Vuelta di Spagna, la prima delle due tappe vinte, quella del Santuario de San Miguel de Aralar. Quando sono scappato e non mi hanno ripreso. Una soddisfazione immensa”.
E ancora?
“Il Mondiale di Ponferrada. Correre con la maglia azzurra è un onore, un privilegio, una responsabilità. Una emozione unica”.
Aru, più difficile rivelarsi o confermarsi?
“Confermarsi, temo. Tutti ti aspettano, come se fosse sempre possibile ripartire da quel punto, da quel podio, da quell’arrivo”.
Che cosa le ha insegnato il 2012, il suo primo (mezzo) anno fra i professionisti?
“A guardare, scoprire, esplorare”.
E il 2013?
“A considerare i sacrifici e affrontarli”.
E il 2014?
“Ad avere i gradi di capitano e le conseguenti responsabilità”.
Si sente più vecchio dei suoi 24 anni?
“Forse soltanto più maturo. Per noi isolani – un sardo come me, un siciliano come Nibali – certi situazioni si verificano prima degli altri. A cominciare dall’allontanamento da casa e famiglia”.
La bici le regala la felicità?
“La bici è la mia vita. E una vita è fatta di gioie e dolori. Tanti momenti belli, anche qualche momento brutto o duro o difficile. Ma la bici ti insegna anche a superarli”.