Luca Wackermann, 22 anni. Bettini

Luca Wackermann, 22 anni. Bettini

Campione italiano esordienti, su strada e su pista, nel 2005. Campione europeo juniores, nel 2009. Stagista tra i professionisti, quinto alla Tre Valli Varesine, nel 2012. Luca Wackermann, 22 anni, un grande avvenire dietro le spalle.
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Invece, Luca, che cos’è successo?
“Il passaggio nel professionismo è stato più difficile del previsto. Anch’io mi aspettavo di più, soprattutto quest’anno. Sono partito bene, fino alla Roubaix, poi un piccolo infortunio al ginocchio destro – un versamento sotto la rotula, che non si assorbiva con la fisioterapia né con la Tecar, ma solo con il riposo – mi ha fatto saltare il Giro d’Italia. Ho ricominciato nello Utah, poi ho preso il citomegalovirus, e mi sono fermato ancora. Alla Bernocchi mi sono fatto vedere in una fuga, ma ho chiuso così”.
Anche con la Lampre.
“Non rientravo più nei loro piani. Ma ho trovato ingaggio alla Neri Sottoli di Scinto e Citracca. È stata una scelta di cuore: mi volevano fin dai tempi in cui ero dilettante. E invece ero andato alla Mastromarco, proprio i loro storici rivali. Fra Mastromarco, la squadra che è stata anche di Caruso e Nibali, e quella di Scinto e Citracca, che è stata anche di Visconti, è un eterno derby fra due grandi famiglie”.
Lei viene da una famiglia a due ruote.
“Due fratelli e due sorelle. Marco, 21 anni, ha smesso per frequentare l’università, Economia alla Bicocca, a Milano. Sara, 18 anni, che pure è andata bene ai Mondiali juniores a Ponferrada, pensa di smettere perché quest’anno avrà la maturità classica. Elisa, 16 anni, corre per la Molinello, ogni tanto vince, ogni tanto no, si diverte, per lei il ciclismo è soltanto un gioco”.
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E per lei che cos’è?
“Passione, lavoro, un modo per mettere su casa e famiglia, soprattutto per conoscermi meglio. Dopo il diploma da geometra, mi sono dedicato al ciclismo. Ma devo ancora scoprire la mia natura e i miei limiti. Se potrò mai, nelle corse di un giorno, diventare un campione o un buon gregario”.
Il ciclismo è da geometri?
“Essere schematici e precisi aiuta negli allenamenti, fatti di tabelle e programmi, e nel lavoro, vissuto giorno dopo giorno, e anche nella ricerca del meglio, se non della perfezione. Ci provo”.
Con chi?
“Michele Bartoli. È il mio preparatore, spesso anche il mio compagno di allenamenti. Lui sostiene che ho un gran motore, ma aggiunge che non ho testa. Ha ragione. Ma sto lavorando anche su questo”.
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Le corse in cui si è sentito più forte e più debole?
“Nella Parigi-Roubaix mi sentivo super, ma ho forato nella foresta di Arenberg, e addio. Nel Delfinato, con poco allenamento, ho fatto una fatica come mai nella vita”.
Come sogna il suo 2015?
“Una bella partenza, poi il Giro d’Italia che passa vicino alla casa dove abito, a Monsummano Terme, e che arriva vicino alla casa della mia famiglia, a Rho, e magari la prima vittoria. Da metà novembre ricomincio a prepararmi: palestra, piscina, stretching, poi bici. In Toscana e alle Canarie. Convinto, convincente e, spero, vincente”.