Matteo Trentin, 24 anni, alla Tirreno-Adriatico. Bettini

Matteo Trentin, 24 anni, alla Tirreno-Adriatico. Bettini

Nei club esclusivi non è facile entrare. Matteo Trentin c’è riuscito e ha fatto anche presto: un applauso se lo merita già solo per questo. L’Omega-Quick Step, se i temi sono Muri e pavé, assomiglia a quello che nella Champions League è stato il Barcellona e adesso sembra diventato il Bayern di Monaco: il punto di riferimento. Il Giro delle Fiandre (domani) e la Parigi-Roubaix (domenica 13) sono le bussole della squadra di Patrick Lefevere, che spera di scortare Boonen a due record storici (il quarto Fiandre e la quinta Roubaix), schiera alternative di lusso come Stybar e Terpstra, e si coccola questo 24enne trentino di Borgo Valsugana, unico italiano "ammesso" in questa sorta di Università, che conosce i Muri a memoria e a cui basta annusare l’aria del Belgio per sentirsi un privilegiato.
Trentin, è un po' atipico per essere un professionista italiano. Com'è nato l'amore?
"Alla televisione, guardando le gare. Di Roubaix, mi ricordo già quella del 2001, che vinse Knaven su Museeuw. L’ultima veramente bagnata, i corridori mummie di fango, trasfigurati. Una figata, ma se invece ci sei dentro non è esattamente così… Mi sono piaciute subito perché sono gare da corsari".
Corsari? In che senso?
"Le tappe di pianura o di montagna, in generale, hanno uno svolgimento abbastanza canonico. Qui al Nord no, ogni stradina, ogni pietra possono essere la pagina più importante del libro. Anche a cento, centocinquanta chilometri dalla fine. Non ti potevi permettere di cambiare canale. Mai".
Il Nord come l’ha scoperto?
"In maniera avventurosa, direi. Sono cresciuto facendo ciclocross, e nell’inverno 2010 sono venuto a fare delle gare in Belgio. Quasi da solo. Ero ancora dilettante. Ho preso un furgoncino e sono partito. Io e un indiano…".
Un attimo, si fermi. Un furgoncino? Un indiano?
"Sì. Il furgoncino me l’aveva dato il Team Brilla, per cui correvo. Il ragazzo indiano era un caro amico cresciuto a Borgo Valsugana come me. Niente meccanico, niente massaggiatore. Ci arrangiavamo, facevamo tutto noi, compresa iscrizione e documenti. Dormivamo prima nei bed and breakfast, poi presso una famiglia locale che avevamo conosciuto, vicino a dove abita Eddy Merckx, pensate. Il contatto con la Quick Step è nato anche così".
Campagne del Nord: 2012.
"Ritirato al Fiandre, ritirato alla Roubaix. Cominciai a tirare molto presto e quand’è così, le corse vere è difficile finirle".
L’anno scorso, invece…
"Non le ho neanche iniziate, a fine febbraio mi ruppi lo scafoide e ciao. Per fortuna la stagione, tra il Giro dove ho lavorato per Cavendish, e il Tour dove ho vinto la tappa di Lione, si è aggiustata".
E adesso?
"Spero di avere la possibilità e la forza di anticipare i “mostri”: Boonen, Cancellara, Sagan. E io dico che anche Devolder va molto forte. Se aspetto, finisce così: loro si muovono e io resto dove sono".
Perché i giovani italiani da pavé quasi non ci sono?
"Al Nord bisogna venire presto. Prestissimo. Se ci arrivi al settimo anno da pro’, è come se avessi sette anni di ritardo. Dove vai? Non sai dove metterti sul pavé, come affrontare i Muri, devi cominciare a limare da subito. Il rischio di passare più tempo a terra che in sella è concreto. Finisci che sei stordito, neanche sai dove ti trovi. E allora ti disamori. Ma è un peccato. Se cominci presto e hai le doti, vorresti correre sempre qui".
Per molti suoi colleghi il Fiandre è la corsa più bella.
"Tecnicamente, per la completezza di Muri e pavé. Ma è chiaro che è l’atmosfera a fare la differenza. In ogni singolo paesino, già in ricognizione, tutti aspettano tutto l’anno i secondi in cui passano i corridori. La partenza poi dalla piazza del Mercato di Bruges, onestamente, non riesco a spiegarla con le parole. Veniteci. E capirete".