Sport

Ciclismo, Ulissi, un tipo da classiche: "Ma dovevo fare il calciatore"

25 anni, toscano di Cecina, ha vinto 14 gare in cinque stagioni tra i professionisti

2 minuti di lettura
Nella Tirreno-Adriatico si è visto poco. Ma lui resta l'italiano che si è meglio presentato in questo avvio di stagione, forse quello con il futuro più promettente. Toscano, 25enne, nato a Cecina, terra che ha già sfornato Paolo Bettini, Diego Ulissi vive a Lugano, il nuovo paradiso dei ciclisti "vip" ("mi alleno quasi tutti i giorni con Nibali; si sta benissimo").

Ulissi, i tecnici vedono in lei un futuro protagonista di grandi classiche. Ma dicono che le manchi sempre qualcosa...
"Il solito ritornello. Per primeggiare nelle grandi classiche ci vuole tempo. O nasci come fenomeno alla Sagan, e allora anche a 22-23 anni emergi; oppure ti devi costruire anno dopo anno".

Sta dicendo che lei non si ritiene un fenomeno.
"Sono un professionista che fa al meglio il proprio lavoro. Ho vinto 14 gare in 4 anni. Niente di clamoroso, dite? Beh, io mi tengo ben stretto il mio GP di Camaiore, la Milano-Torino, il Giro dell'Emilia: sono grandi classiche".

È che non vinciamo più una classica monumento dal 2008.
"Il problema è che c'è un vuoto. I corridori attorno ai 30 anni stentano e i giovani devono formarsi. L'età media della maturazione è cresciuta, bisogna lavorare sulle propriequalità".

Le sue quali sono?
"Posso dire di avere la testa. Mi sono distinto per il modo con cui ho vinto. Quando gli altri vanno in confusione io resto freddo, lucido e non sbaglio".

La testa non è poco nel ciclismo di oggi, molto omologato.
"Certo. Oggi viviamo uno sport più difficile di qualche anno fa. C'è un grande livellamento. Tutti sannocome allenarsi e cosa fare per rendere al meglio. I talenti sono davvero pochi. Solo la cura dei particolari consente di emergere. Sogno di diventare come Bartoli, che mi segue personalmente da un paio di stagioni. Come Bettini. Ma mi rendo conto che è ancora un sogno".

Se continua a sognare non arriverà mai.
"Il mio ciclismo è un cielo azzurro e un aereo che vola. Per dire che sono sempre in viaggio, non ho tempo per il resto. Il ciclismo mi piace moltissimo. Mi hanno messo in bici a sei anni e alla fine questo è quello che so fare meglio. Ma fosse dipeso da me avrei fatto il calciatore. Mi piace più il calcio, se devo scegliere in tv preferisco il pallone e la mia Juventus".

Diranno che sputa nel piatto in cui mangia.
"Tutti nel plotone la pensano così. Ci facciamo un gran mazzo; chilometri, allenamenti, fatica, sacrifici. Poi vedi questi quattro stupidotti del calcio che con due pedate al pallone sono portati alle stelle. Amo il ciclismo ma, francamente, li invidio".

Si è mai chiesto se può vincere una Milano-Sanremo?
"Mi manca ancora la tenuta alla distanza. Ma quella verrà, non dubitate. Già in questa stagione mi sento cresciuto fisicamente. Farò Freccia Vallone, Amstel e Liegi, che richiede una grande maturità per arrivare con i primi. Posso dire: ci punto, poi si vedrà".

Quello di oggi non è più il ciclismo della farmacia?
"L'Uci sta facendo grandi cose. Abbiamo un sofisticatissimo sistema di controllo; ma credo che nel gruppo ci sia netta la sensazione che solo l'allenamento, la vita da corridore e la cura dei dettagli possano portare ai risultati. In realtà non serve altro".
 
I commenti dei lettori