Niccolò Bonifazio, 20 anni, ha debuttato al Dubai Tour il 5 febbraio. Bettini

Niccolò Bonifazio, 20 anni, ha debuttato al Dubai Tour il 5 febbraio. Bettini

La domanda sugli idoli è un classico. E le risposte, molto spesso, pure. Invece Niccolò Bonifazio fa come il rigorista di calcio che manda il pallone dalla parte opposta del portiere: ti spiazza. Così: "Non ho idoli. Quelli che avevo si sono rivelati tutti falsi. Non credo a niente e a nessuno". Bonifazio, classe 1993, è il più giovane professionista italiano del World Tour e corre nella Lampre-Merida. Aveva sette mesi quando Pantani decollò al Giro 1994. Ha aperto la prima stagione vera tra i grandi al DubaiTour (5-8 febbraio) e ha fatto capire che non ha paura a buttarsi nella mischia. Prendete l’ultimo giorno: Sagan, tamponato, scaraventa la bici per la rabbia, Cavendish centra un paletto in mezzo alla strada. Lui, Bonifazio, non si scompone e chiude settimo in volata. È giovane e scaltro. Non è allineato. Lo rivedremo in gruppo venerdì al Trofeo Laigueglia.
Bonifazio, ci spiega meglio quella riflessione sugli idoli?
"La maggior parte delle cose che ho visto non erano veritiere. Sembravano reali e poi dopo qualche anno si è capito che la verità era un’altra. Così, io vado avanti per la mia strada. Mai avuto problemi, nonostante le tante difficoltà. E nel professionismo, intanto, ci sono arrivato".
Nato a Cuneo: piemontese?
"No, mio nonno è piemontese, ma sono nato per caso lì. Sono ligure, di Imperia. Mia madre fa l’infermeria, mio padre il bidello. Mi ha messo lui in bici, era dilettante, mi ha insegnato molto. La Sanremo passa a un chilometro da casa e andavo sempre a vederla, sui Capi".
Altri ciclisti in famiglia?
"Mio nonno e mio fratello. Lui era al primo anno da dilettante, ma ha smesso. Era il 2009 e ha visto da vicino l’incidente che è costato la vita in Toscana allo junior Orsini. Si stavano allenando insieme. È stato uno shock troppo forte, ha fatto fatica a superarlo ma adesso è a tutto a posto. Ora, con un socio, ha un negozio di bici ed è contento così".
Lei al professionismo è arrivato molto presto. Troppo?
"No, già dall’inizio tra i dilettanti pensavo che fosse inutile andare troppo per le lunghe. Ho fatto due belle stagioni con la Viris Maserati, 7 vittorie ciascuna. Al Giochi del Mediterraneo ho lavorato molto con la Nazionale per Ruffoni, che ha vinto. Quando è arrivata l’offerta di un team di prestigio come la Lampre-Merida, l’ho presa subito. Mi sono integrato bene, penso di avere fatto una bella impressione e di non stare sulle scatole a nessuno. Ogni tanto mi alleno con Pozzato, che mi insegna sempre qualche cosa di nuovo".
Che tipo di corridore è?
"Mah, non lo so bene. Ho un buono spunto veloce e tengo un po’ in salita. Le corse mi piacciono tutte, tranne quelle troppo dure".
È vero che quando non corre le piace trafficare con i motori delle macchine d’epoca?
"Sì, anche se prima ero più bravo, adesso mi sto dedicando al ciclismo a tempo pieno. Una macchina d’epoca mi piacerebbe averla, ma costano tanto e io non ho ancora il budget. Amo anche le moto da cross e andavo a fare qualche giro, d’inverno con gli amici. Ora ho smesso. Nel nome della bici, che è diventata il mio mestiere".