PROFESSIONISTI | 25/11/2013 | 08:54 Ha un cognome che ha qualcosa di epico, Ulissi. Anche lui, come Odisseo (questo il nome di Ulisse), nel suo piccolo lotta e combatte in giro per il mondo. È in continuo movimento Diego Ulissi, anche se in realtà amerebbe la pace di una spiaggia davanti al mare. «Io quando sono in vacanza ho un solo obiettivo: non fare niente», dice con quella sua parlata calma e placida, che non tradisce però incertezze.
Ha un nome doppio: Diego Armando, come il “pibe de oro”, lui che da sempre ha una incrollabile fede bianconera e un debole per Del Piero e Andrea Pirlo. «Ma anche per Paul Pogba: un vero fenomeno della natura», ci dice.
Due titoli mondiali conquistati fra gli juniores avrebbero potuto fiaccare l’appetito di chiunque: troppi onori, troppe aspettative e troppa voglia di trovare un nuovo Bettini o un nuovo Bartoli. Lui, anche in questo, è stato bravo: ha lasciato dire e fare con calma olimpica - sempre per rimanere nel campo epico -, aspettando il suo momento. «Ho fatto cose buone ogni anno. Piccoli passi, piccole cose, piccole grandi vittorie come la tappa di Tirano al Giro d’Italia del 2011 - dice Diego in questo inverno di fine stagione accanto ad Arianna, sua moglie e a Lia, la piccola nata il 9 ottobre dell’anno scorso -. Quest’anno ho chiuso con sei vittorie: non sono poche, ma non sono nemmeno tantissime. Potevano essercene anche qualcuna di più. Diciamo però che mi sono superato, visto che ho battuto il mio record (l’anno scorso 3, ndr) ma ora inizia il bello se non il difficile: devo cominciare a mettere della qualità. Ad oggi la tappa del Giro risplende, assieme al Giro dell’Emilia, ma io sono uno che difficilmente si accontenta». Un lungo letargo: un mese lontano dalla bicicletta. Ultima corsa: Trofeo Beghelli il 13 ottobre, il 13 di questo mese tornerai a pedalare, un mese esatto dopo. «Niente palestra, niente corse a piedi, niente di niente - ci dice -. Solo riposo per ricaricare le pile, per assimilare quello che ho fatto di buono e quello che dovrò fare. Per godermi la mia famiglia. Per mettermi al loro servizio. Per sbaciucchiarmi Lia, per aiutare mia moglie in casa, anche se mi pesa più che fare il Mortirolo, perché come ti ho detto se fosse per me non muoverei nemmeno un dito. Io veloce vado solo in bicicletta. Per il resto con calma: non c’è fretta». È per questo che non porti gli orologi? «Forse. Il bello è che continuano a regalarmeli, ne avrò più di trenta, ma io non lo porto mai perché mi da fastidio». Ti piace però sorseggiare un buon bicchiere di vino… «Quello sì, anche se potrei essere molto più preparato e addentro alla questione, visto che mia mamma Donatella lavora da anni all’Ornellaia, una delle più prestigiose aziende vinicole del mondo. Ho libri da tutte le parti, ma non ho punto voglia di leggere. I vini preferisco collezionarli e berli con calma: anche con il vino non bisogna avere fretta». Hai intenzione di invecchiare in un buon “barrique” anche tu? «Assolutamente no. Come ti ho detto, in bicicletta sono smanioso e desideroso di andare sempre avanti. Ho appena compiuto 24 anni, non penso di essere vecchio. Ho trovato la squadra ideale, che fa crescere i corridori con assoluta calma e tranquillità, ma ora sono io per primo a chiedere un salto di qualità. Il prossimo anno vorrei qualcosa di più. In questi anni ho imparato il mestiere dai gregari, ho ascoltato le parole dei dirigenti e dei tecnici, ho “rubato” un po’ di segreti ai compagni. E in questi anni ho imparato che ci vuole pazienza». Cosa chiedi al 2014? «Di fare meglio di quest’anno che, in ogni caso, è stato il mio miglior anno per continuità di rendimento e risultati conseguiti. Gli appuntamenti a cui tengo sono le classiche delle Ardenne. Nonostante la mia giovane età sono corse che conosco già bene: la Freccia Vallone è quella che mi è più congeniale, la Liegi è quella che mi richiederà più tempo ed esperienza, per l’Amstel mi sento già pronto». Non ti sei mai sentito un po’ dimenticato?... «Guarda, se si vince si ricordano di te, altrimenti sei uno dei tanti. Certo, penso che per l’età che ho e per quello che ho già fatto vedere o intravedere, possa meritare un pizzico di considerazione in più, ma non ne ho mai fatto una malattia. Come sono solito dire: non cerco inviti su palcoscenici, mi basta la strada». La prima corsa? «A Piombino, avevo 6 anni, categoria G1 e maglia dell’Uc Donoratico: arrivo terzo. La vittoria va al mio amico Elia Favilli, con il quale ho ingaggiato duelli memorabili. La seconda gara a Marina di Cecina ed è subito vittoria. E dopo di questa, ne arriveranno una montagna: più di cento». Tante le vittorie, quali quelle da ricordare?… «Da allievo vinco due edizioni consecutive della Coppa d’Oro oltre ad un titolo italiano a cronometro. Da juniores con la maglia della Vangi Cycling Team vinco due titoli mondiali: nel 2006 sul circuito di Spa-Francorchamps in Belgio; e nel 2007 in quel di Aguascalientes, in Messico, davanti ai compagni di Nazionale Daniele Ratto ed Elia Favilli. Dal gennaio 2008 a tutto il 2009 corro con la maglia della Seano Hopplà, per poi esordire nella categoria Professionisti all’inizio del 2010 con la divisa della Lampre-Farnese Vini». La prima bicicletta? «Una Francesco Moser blu». Ti piaceva lo sceriffo? «No, i miei corridori erano Marco Pantani, Miguel Indurain e soprattutto Paolo Bettini e Michele Bartoli…». Ora Michele è il tuo preparatore. «E ne vado fiero, con lui c’è una bellissima intesa: ho un feeling molto particolare. E poi ha un’esperienza impagabile». Come ti sei avvicinato al ciclismo? «Per caso: papà Mauro (che lavora al ministero della Difesa di Livorno, ndr) correva tra gli amatori in mtb (vinse anche un titolo italiano, ndr): andando a vedere lui, è venuta la passione anche a me». Torniamo al ciclismo di oggi: per te un gran bel finale di stagione… «Sì, non è stato male. Ho vinto la Coppa Sabatini sulle mie strade e ho inserito il mio nome nell’albo d’oro di due gare prestigiosa come la Milano-Torino e il Giro dell’Emilia: non è poco. Peccato solo per i Mondiali. Stavo bene, ero uscito dalla Vuelta con una buona condizione: senza le due cadute sarei stato in grado di dare il mio contributo all’Italia. E se lo stesso Vincenzo (Nibali, ndr), non fosse stato costretto a mettere piede a terra, sono sicuro che avrebbe vinto. Quel giorno è stato davvero un grande». Ma in Italia c’è solo Nibali? «No, Vincenzo è chiaramente il punto di riferimento per tutti noi, ma c’è una buona generazione che sta crescendo e maturando. Ci sono io e tanti altri…». Tanti altri chi?... «Tanti altri…». Tra i tanti altri c’è anche un portoghese con tanto di maglia di campione del mondo che il prossimo anno sarà il tuo compagno di squadra: non ti dà fastidio l’arrivo di Rui Costa? «Ma perché dovrebbe darmi fastidio? Con lui ho un bellissimo rapporto. Ci conosciamo da quando eravamo dilettanti. Lui cercherà di fare bene al Tour, io alle classiche e al Giro: alle tappe, logicamente…». È vero che l’idea di puntare al Giro dell’Emilia ti è venuta scorrendo l’albo d’oro con Manuele Mori? «È andata proprio così. Eravamo in camera e ci stavamo studiando il percorso. Poi mi è caduto l’occhio sull’albo d’oro: Girardengo, Coppi, Bartali, Merckx, Bugno… E ho pensato: non sarebbe male metterci anche il mio nome». Senti Diego, stai facendo vedere grandi cose, ma sembra che ti manchi un po’ di tenuta nelle corse di 250 chilometri: è una nostra impressione o è davvero così? «È davvero così, e sono io il primo a saperlo. Mi manca ancora qualcosa. Ma sono certo che già dal prossimo anno, dopo un altro inverno di lavoro specifico, fatto di tante ore di sella, posso colmare questo gap ed essere pronto per il salto di qualità. Come si dice in questi casi? Bisogna solo lavorare e portare pazienza». La più grande delusione di questa stagione? «Il Mondiale di Firenze: ci tenevo parecchio. Purtroppo ho patito moltissimo il freddo sul San Baronto e poi nell’entrata sul circuito di Firenze, quando sono rimasti coinvolti in una caduta tra gli altri Evans e Samuel Sanchez, io ho evitato di finire per le terre, ma ho subìto un danno alla mia ruota posteriore. Mi sono dovuto fermare e cambiare bici. Poi, nel corso del secondo giro su Fiesole, sono caduto e ho rimediato una bella botta al bacino. Insomma, non è stata una gran bella giornata e io ci tenevo tantissimo a fare bene quel giorno». Corridore per le corse di un giorno o per le corse a tappe? «Penso di aver anche un buon recupero, ma adesso come adesso in un Grande Giro potrei al massimo entrare nei dieci e io preferisco vincere una tappa che fare un piazzamento anonimo. Insomma, sento di poter dire la mia nelle corse di un giorno, poi il tempo mi dirà se avrò sbagliato o meno». Sempre a casa o ti sei concesso anche un po’ di mare? «Dal 17 al 24 ottobre sono andato con mia moglie e la mia bimba a Fuerteventura sulle Isole Canarie: bellissimo. Sole, mare bello. Io sarei restato lì». Il mare è davvero casa tua… «Io al mare mi rigenero. Inutile chiedermi cosa faccio: niente. Al massimo mi dedico solo allo snorkeling». È vero che vivi tra Donoratico ed Empoli? «Verissimo: ho un bell’attico con ampio terrazzo a Donoratico e poi andiamo spesso a Empoli dai genitori di Arianna, Fabio e Monica. Però dal primo di gennaio ci trasferiremo a Lugano. Ha fatto tutto Arianna: ha trovato un bellissimo attico con un ampio terrazzo a 400 metri da Nibali. Così ci alleneremo assieme». Non ti mancheranno i tuoi luoghi, i tuoi amici, la tua gente… «Mi mancheranno i miei luoghi, i miei amici, i miei parenti, ma non la gente: i livornesi sono persone troppo invidiose e francamente non ne sentirò la mancanza». Tu sei invidioso? «Io nel mio lavoro cerco di ambire sempre al massimo, ma poi prendo atto della realtà e non riesco proprio a provare invidia per qualcuno, soprattutto se ha più qualità di me». Quali sono le tue passioni? «L’ozio. A parte gli scherzi, amo moltissimo muovere i pollici per azionare la consolle della mia Playstation: ci passerei delle ore». Il tuo compagno di allenamento. «Manuele Mori, con il quale divido anche la camera quando siamo in trasferta: è unico». Cunego tornerà Cunego? «Ha vissuto una stagione storta, e per uno come lui non è facile vivere una battuta d’arresto di tali proporzioni. Ma sono sicuro che, dopo aver toccato il fondo, saprà tornare a galla. Sai cosa ti dico?». Cosa? «Che il fatto che ad un certo punto della stagione si sia messo a disposizione degli altri mi è piaciuto un mondo. Non è da tutti. Non è facile riuscirci, ma lui l’ha fatto. Anche con me, e di questo gliene sarò sempre grato». Hai un fratello, Matteo, che fa il cuoco e con il ciclismo proprio non c’entra… «Mi segue, tifa per me, ma preferisce il basket». Quando hai conosciuto Arianna? «A Empoli, ad una festa di amici comuni. Non è stato amore a prima vista, o meglio, lei ha fatto di tutto per farmi capire che le piacevo, io però non ho compreso… Sai, sono un po’ lento…». Ti piace mangiare? «Moltissimo, soprattutto cose vere, di sostanza. Piatto? Pappardelle con il cinghiale e poi cinghiale in umido, annaffiato da un bel bicchiere di Brunello di Montalcino del ’90: ho una collezione di vini che piacerebbe a molti». Ma non temi di ingrassare? «Grazie al cielo non ho questo problema. In inverno prendo 3 massimo 4 chili». Altre passioni: le macchine? «Mi piacciono da vedere ma non mi solleticano più di tanto. Guardo solo se sono spaziose e comode. Ho una Nissan Murano». Le moto? «Mi lasciano indifferente». Ti piace pescare? «Quando ero ragazzino ci andavo, adesso preferisco la playstation». Cinema? «Ci andavamo molto prima che nascesse Lia. Mi piacciono tanto i film comici, soprattutto quelli di Pieraccioni». Musica? «Italiana. Jovannotti, Emma Marrone e Marco Mengoni i miei preferiti. Non mi dispiace nemmeno la musica rap, in particolare gli Articolo 31 e Dj Ax». I corridori che ti hanno catturato per le loro doti, non solo ciclistiche… «Tolti i miei compagni di squadra, tra i quali svettano Manuele Mori e Michele Scarponi, ma anche altri dei quali non posso fare i nomi altrimenti li rovinerei, posso dire che dal punto di vista umano mi ha colpito molto Franco Pellizotti: persona perbene. Ce ne vorrebbero di professionisti come lui. Per la visione di corsa, Luca Paolini: è uno spettacolo. Classe allo stato puro: Fabian Cancellara. Talento vero: Vincenzo Nibali, va forte ovunque o quasi. Ma il numero uno, per me, è Joaquin Rodriguez. Forte e modesto come pochi». Sarebbe bello diventare come lui… «Perché no? Anche “Purito” è venuto fuori alla distanza, anzi, io forse sono sbocciato anche prima. Joaquin a 24 anni aveva vinto solo quattro corse (Diego è a quota 13, ndr). Lui è esploso a tutti gli effetti nel 2010, a 30 anni: in ogni caso, ci metterei la firma a ripercorrere la sua carriera». Insomma, il prossimo anno contenderai l’Oscar tuttoBICI a Vincenzo? «Ne ho ha già vinti tre (uno da Allievo e due da Juniores ndr), ma da professionista mai. Ci provo. Lo prometto».
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