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Nibali: «Un giorno lo Zoncolan sarà mio»

Il vincitore del Giro 2013: è una salita mito del ciclismo, dopo la caccia al Tour trionferò lassù

4 minuti di lettura

BARI. «Lo Zoncolan? Per la mia generazione è una salita-mito. Non mi piace mai dichiarare gli obiettivi, ma per lo Zoncolan faccio un’eccezione: lassù un giorno vincerò».

Dopo la sterminata distesa di ulivi, all’orizzonte ci sono le prime case di Bari. A fine ottobre in Puglia si sfiorano ancora i trenta gradi. Niente montagne. Solo mare e, appunto, gli uliveti ormai prossimi alla raccolta. Eppure quando Vincenzo Nibali, il trionfatore del Giro d’Italia 2013, sente la parola Zoncolan è come se già si preparasse alla scalata.

Anche se la Carnia è lontana quasi mille chilometri. Il campione dell’Astana la scorsa settimana ha guidato i 140 amatori della Crociera della Gazzetta, organizzata con Msc Crociere da Viaggi&Cultura. Dopo Bari gli appassionati arrivati da tutta Italia hanno fatto tappa a Olympia, Smirne, Istanbul e Dubrovnik prima del ritorno a Venezia. C’era anche il Messaggero Veneto.

Abbiamo parlato a lungo con il campione durante le pedalate. È stato facile, è bastato rompere il ghiaccio con il “mostro” carnico.

«Tre volte ho affrontato lo Zoncolan. È il massimo per uno scalatore, penso che per le sue pendenze sia quasi una salita da mountain bike. Non da scatti, da progressioni, come quella di Basso nel 2010».

Cosa significa per lei quella montagna?

«Prima del mostro la salita di riferimento era il Mortirolo poi Cainero ci ha fatto conoscere lo Zoncolan e le cose sono cambiate. Enzo è un grande manager, sta facendo tanto per il ciclismo, organizza delle tappe bellissime. In Friuli dovreste fargli un monumento».

Le sue tre scalate?

«Nel 2007 ero giovane, alla Liquigas correvo per far vincere il Giro a Di Luca. Tre anni dopo, quello dell’impresa di Basso, sono arrivato in Carnia “morto” perché il giorno prima avevo attaccato sul Grappa e vinto in solitaria ad Asolo».

L’anno dopo?

«Il casino del Crostis, la tappa tagliata: sono arrivato terzo sullo Zoncolan. Andavo forte, ma quell’anno ho fatto solo piazzamenti, seppur di prestigio, e nessuna vittoria».

A proposito, e il Crostis?

«Durissimo, panorama meraviglioso in quota, discesa tosta. Ma è inutile piazzare salite toste prima dello Zoncolan: il “mostro” fa la differenza anche da solo, se finora non ci sono stati grossi distacchi è solo perché i corridori hanno paura di quelle pendenze e perché le stesse pendenze impediscono livellano il gruppo dei big».

Una promessa di vittoria ai friulani?

«Ogni ciclista vorrebbe trionfare sullo Zoncolan, il massimo».

In Carnia, dopo una partenza a rilento, gli amministratori locali e la Regione stanno puntando a promuovere la montagna grazie al ciclismo...

«Ai sindaci dello Zoncolan, alla gente della Carnia dico che hanno un patrimonio incredibile, ci devono credere. La loro montagna grazie al ciclismo è conosciuta in tutto il mondo. Zoncolan è una parola magica che vuol dire grande ciclismo, ma anche turismo».

Al Giro 2013, ha conosciuto anche Cason di Lanza e il Montasio...

«Due salite toste, direi che da voi non mancano (nel frattempo lo affianca in bici anche Sante Chiarcosso di Colloredo di Prato, l’imprenditore-patron della Corsa per Haiti, dal Friuli c’erano anche l’avvocato goriziano Diego Contini e il “mago” delle bici di Cormòns, Franco Novelli ndr). Prima del Montasio ho chiesto due dritte sulla salita al mio amico Pellizotti che la conosce bene. È stata l’unica tappa di montagna col sole, una frazione organizzata benissimo in un luogo stupendo. Lassù ho costruito un pezzo di Giro. Ma da voi c’è stato anche un altro momento fondamentale della corsa rosa».

Quale?

«Prima l’omaggio dei minatori di Cave, poi il ricordo delle vittime della tragedia del Vajont. Il Giro è la storia dell’Italia anche per queste cose».

Il momento più bello del sua corsa rosa? Le Tre Cime?

«Non solo. Quella vittoria tra la neve resterà nella storia. Ma io non dimenticherò mai l’affetto della gente da Napoli a Brescia. Sentivo che mi spingeva, giorno dopo giorno. C’era un clima incredibile».

Per i siciliani è un idolo...

«Già dalla Vuelta vinta nel 2010, che hanno celebrato più del secondo posto al Tour del 2012. E quest’anno...ricordo nella tappa del Vajont uno striscione su un ponte in costruzione; i colori giallo-rossi, quelli della bandiera della Sicilia. Erano degli operai saliti al nord per lavorare, mi incitavano. Da brividi. Sono stato il primo siciliano a vincere il Giro, ho dimostrato che il Sud ce la può fare. Il Giro 2013 ha cucito l’Italia anche grazie alla mia impresa».

E ha riavvicinato al ciclismo tanti delusi dai casi doping...

«Lo spero. Io voglio essere un esempio per i giovani. Comunque in questi anni bui la gente ha sempre creduto in questo sport».

Quanto l’ha ferita il caso Armstrong?

«Tanto. Ma il ciclismo ha radici profonde per morire».

Dopo il trionfo al Giro è scontato l’assalto al Tour 2014...

«Il percorso mi piace, c’è solo una cronometro. Ci sono le salite storiche. Servono determinazione, rabbia, una squadra forte per battere gli avversari, Froome in testa».

Come fare?

«Al Giro dovevo battere Wiggins. Ho cercato di migliorare a cronometro, in salita. Ho fatto test nella galleria del vento. L’ho battuto. Ora con Froome l’asticella si alza. Ripartirò fra 15 giorni con una determinazione ancora maggiore».

Froome, si dice, corra telecomandato dall’ammiraglia. concorda?

«È forte, anche se non sa andare in bici (ride ndr). A me piace attaccare, tendere trappole in corsa, usare la fantasia. Alla Tirreno-Adriatico l’ho staccato nella tappa con colline e brutto tempo...ci riproverò».

Contador è in fase calante?

«Attenzione. Ha avuto solo un anno no, sarà tra quelli da battere».

Quintana?

«È forte. Basso mi ha insegnato questo: dovrà confermarsi ai livelli del Tour per due anni di fila, allora sarà un campione».

L’Astana sarà ancora più competitiva?

«Intanto abbiamo preso Pellizotti. Ho corso una vita con lui. So quanto è forte e come lavora. Ho sempre creduto che non avesse a che fare col doping. Sarà una pedina fondamentale per l’assalto alla maglia gialla».

E l’altro friulano Gasparotto? A Lugano siete vicini di casa...

«Lo chiamo il kazako, assomiglia ai nostri compagni che arrivano da là. Non ci alleniamo mai insieme. Lui è un computer: stessi percorsi, tabelle, orari inflessibili, io sono più “elastico”. Ma è una grande persona e un grande corridore. Un uomo da classiche: l’ha dimostrato e lo dimostrerà. Se andrò al Tour lui sarà contento perché potrà correre il suo Giro, quello che si deciderà a casa sua».

Al Mondiale le avrebbe fatto comodo...

«Eccome. Mi avrebbe tolto dalla morsa degli spagnoli, che hanno corso per farmi perdere e alla fine sono rimasti fregati da Rui Costa. Io mi sentivo il più forte, ma la caduta mi ha penalizzato. Comunque per correre il Mondiale Gaspa avrebbe dovuto fare la Vuelta e non il Tour».

Quanto brucia perdere la Vuelta per pochi secondi da un 42enne, per giunta “chiacchierato”?

«Horner ha vinto. È stato bravo, altro non voglio pensare. Poi è chiaro che mi chiedo: proprio in Spagna doveva esplodere?»

All’Astana arriverà anche Basso?

«Magari. Ma mi pare che Ivan costi troppo».

E se lei corresse il Giro “dello Zoncolan” prima del Tour?

«Ci ho pensato, l’idea mi intriga molto perché il percorso della corsa rosa è bellissimo, ma l’accoppiata di questi tempi è quasi impossibile. Friulani, state però tranquilli: ho 28 anni, sullo Zoncolan un giorno verrò per vincere».

E quella promessa fatta tra gli uliveti della Puglia, a un passo dal mare e a mille chilometri dallo Zoncolan, i friulani non la dimenticheranno.

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