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CICLISMO

Gimondi: "Assurdi i controlli a scoppio ritardo
Pantani ha già pagato caro gli errori"

Parla l'ex presidente della squadra del pirata: "Tra noi non c'è stato mai feeling, ma gli volevo bene. Era fragile e sensibile, a volte impossibile capirlo"

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AJACCIO  -  Felice Gimondi, ha sentito? Potrebbero togliere a Pantani il Tour del '98.
"Assurdo, non esiste. L'antidoping non si fa a scoppio ritardato: o gli atleti risultano positivi subito, o mai più. Lo penso per Pantani e anche per Armstrong".

Ma a volte non ci sono le tecniche giuste, bisogna aspettare.
"È come quando abbassano il limite di velocità da 150 all'ora a 130: cosa facciamo, mandiamo le multe a tutti quelli che prima andavano regolarmente ai 150?"

Dunque, l'UCI ha torto?
"Non ha le palle, mai avute. Fa solo scelte di comodo".

Lei potrebbe rimanere l'ultimo italiano ad avere vinto il Tour.
"Non me ne importa niente: Marco meritò di vincere nel '98, e io ho settant'anni".

Come ricorda Pantani?
"Era un ragazzo in apparenza forte, in realtà molto fragile e sensibile. A volte, capirlo diventava impossibile".

Sulle strade, la gente continua ad amarlo moltissimo: come lo spiega?
"Lui ha lasciato il segno con la forza delle emozioni, vincendo in quella maniera unica: per questo, gli sportivi non lo possono dimenticare".

Quando pensa a Pantani, quali immagini le tornano in mente?
"Dopo tanto dolore, preferisco ricordare di lui solo le cose belle, le imprese di Oropa, del Galibier, dell'Alpe d'Huez. Che corridore".

Lei è stato il presidente della Mercatone Uno dal gennaio 2000 fino alla conclusione del Giro 2001: poi cosa accadde?
"Decisi di fare un passo indietro, perché purtroppo Marco non mi ascoltava. Del resto, non ascoltava nessuno. Forse, tra noi non c'è stato mai davvero del feeling, ma posso dire di avergli voluto bene. E sono sicuro che se avesse seguito i consigli di chi lo aveva a cuore, si sarebbe salvato la vita e sarebbe tornato ad essere un campione grandissimo".

Per questo è morto in totale solitudine?
"Tutti sapevamo che aveva grossi problemi, e in tanti abbiamo provato ad aiutarlo, ad avvicinarlo. Ma lui aveva interrotto i rapporti con il mondo intero, si era totalmente isolato".

Come ricorda quel 14 febbraio 2004?
"Stavo rientrando a casa con mia moglie, quando una telefonata mi avvertì che Marco era morto. Rimasi pietrificato, senza parole: non potevo crederci e non avrei mai immaginato una fine del genere, non così".

La vicenda sportiva, ma soprattutto umana di Pantani non trova pace, neppure a nove anni dalla morte: le sembra giusto?
"No, non lo è. Quel ragazzo può avere commesso gravi errori, ma ha pagato tutto troppo caro".
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