DA TUTTOBICI. Pelucchi, easy ryder

| 30/04/2012 | 08:56
Matteo Pelucchi è un ra­gazzo genuino per il quale «il ciclismo nella vita non è tutto, ma mi ha dato molto». Un ragazzo che a soli 22 anni ha dovuto affrontare un ostacolo ben più grande di quelli che può presentare una semplice gara in bici, ma che si è saputo rialzare. Ci racconta l’incidente occorso due anni fa alla sua fidanzata Marina Romoli, la rabbia provata nei confronti della bicicletta, il rifiuto iniziale di tornare in sella e alla fine il ritorno, ma «solo perchè Marina mi ha quasi obbligato». Un ragazzo che, a parte questa vicenda, è uno dei tanti in gruppo che pedalano da una vita e con la spensieratezza della sua età ci confida i suoi interessi, l’emo­zio­ne per la prima vittoria nella massima categoria vissuta un anno fa e la nuova avventura nella francese Europcar.
Lascio a te le presentazioni...
«Sono un tipo abbastanza tranquillo, non un “fissato” del ciclismo. Oltre alla bici ho altre passioni: come mio papà sono “malato” di moto. Io ne ho tre, a casa in totale ne abbiamo otto. Abito a Rogeno (Lc) con mamma Sa­brina e papà Filippo. Ho una sorella maggiore, Elisa, che ha 27 anni e ora vive da sola. Mi sono diplomato geometra. Come andavo a scuola? In mo­to! A parte gli scherzi, ho sempre fatto il minimo indispensabile. Quando arrivava un’insufficenza mi impegnavo per portare a casa un 7 e tornare alla mia media standard del 6. I professori non apprezzavano molto la mia tecnica. Di­ciamo che sui banchi mi comportavo come in sella quando ci sono in programma delle tappe dure: “vado al risparmio” preoccupandomi solo di stare nel tempo massimo (sorride, ndr)».
Che corridore sei?
«Sono veloce. Questo è poco, ma sicuro. I risultati che ho ottenuto finora sono arrivati tutti allo sprint. Con gli anni capirò comunque meglio quali sono i miei punti di forza e i miei punti deboli. I “vecchi” del gruppo mi hanno detto che, col passare delle stagioni, il fisico cambia, quindi staremo a vedere quale sarà la mia direzione».
Chi ti ha trasmesso la passione per il ci­clismo?
«In famiglia nessuno ha mai amato particolarmente questo sport, da piccolino papà mi mise in bici dicendomi: “prima impari ad andare in bici, poi impari ad andare in moto”. Il suo obiettivo e la mia volontà era di correre sì sulle due ruote, ma a motore. Il motociclismo però costava parecchio e col tempo la bici mi ha affascinato sempre di più, tanto che non l’ho più la­sciata. Il mio vicino di casa Enzo Fu­ma­galli mi ha visto andare in bici ed è rimasto impressionato perché per la mia età ero un funambolo. Mi ha convinto ad iscrivermi all’UC Costama­sna­ga e da lì è iniziata la mia avventura».
La tua prima gara?
«Da G2, a otto anni, su una piccola biciclettina rossa della società. Alla prime corse continuavo a piazzarmi 3°, poi mi hanno spiegato come si cambiava rapporto (prima correvo sempre con lo stesso) ed è iniziata ad arrivare an­che qualche vittoria. Il ciclismo è come una malattia, quando entri in questo mondo non ne esci più. Anche quando si appende la bici al chiodo non ci si riesce a staccare. Ad andare in bici si fa fatica, ma non se ne può fare a meno. È strano, ma sappiamo bene tutti che è così».
Cosa provi quando sei in volata?
«Lo sprint, oltre che una sfida di forza, è un duello di abilità, scaltrezza, prontezza e chi più ne ha più ne metta. La vivo in maniera diversa in base a come mi sento: se sto bene sono lucido per decidere che tra­iettoria prendere, se invece sono in giornata no la subisco e mi faccio trascinare dal gruppo, il che non è il massimo. È affascinante, ma non semplice. Confesso che quando guardo una gara da spettatore ho pau­ra, tremo e ho il cuore in gola, quando rivedo una corsa a cui ho preso parte mi spavento vedendo quanto andavamo forte, quanto eravamo vicini e penso “siamo dei pazzi”. Quando sono sulla sella è tutto un altro di­scorso: non mi accorgo nemmeno dei rischi che prendo, quando è il mo­mento di giocarsi tutto “spengo il cervello” e lo riaccendo dopo l’arrivo. In genere riesco ad essere abbastanza calcolatore, ma nei chilometri finali mi faccio guidare dalla trance agonistica, se ragionassi troppo non mi “butterei” come faccio. Credo sia così per tutti i velocisti, non solo per me».
Un tuo campione di riferimento?
«Valentino Rossi perché è Valentino Rossi: per quello che ha fatto a livello sportivo e per la cattiveria agonistica che continua ad avere nonostante ab­bia vinto tutto. Solo i campioni sanno mettersi sempre in gioco, intraprendono senza paura nuove sfide e scommettono su se stessi. Ho avuto modo di vederlo al rally di Monza, ma non ho ancora avuto l’occasione di conoscerlo, anche se guardando tutte le gare di moto GP alla tv mi sembra quasi uno di famiglia. È un bell’esempio da seguire».
Corsa del cuore?
«Sarà banale, ma rispondo la San­remo. Per tutti gli italiani è la gara dei sogni. Poi c’è la maglia iridata che è il top. Io mi accontenterei già di arrivare davanti alla Classicissima, l’an­no scorso al mio primo anno tra i professionisti vi ho preso parte ed è stata una grande emozione. Quest’anno purtroppo la squadra non è stata invitata, ma spero nelle prossime stagioni di ri­percorrere quelle strade dal sapore speciale».
Come giudichi l’anno scorso trascorso in Geox?
«Sono abbastanza soddisfatto perché la prima parte di stagione è andata bene: mi sono subito piazzato in Oman, poi ho vinto e raccolto altri risultati interessanti. Per colpa di una mononucleosi trascurata, che mi permetteva sì di correre ma non di esprimermi al me­glio, ho terminato la mia stagione a settembre. Durante l’inverno ho recuperato bene e a Maiorca ho finalmente ri­provato la sensazione di stare bene. Era ormai un anno che arrivavo a di­sputare le volate ed ero sempre esausto, “finito”. Anche considerando il clima in squadra, è stato un buon inizio tra i professionisti. Le ragioni che han­no portato alla chiusura della squadra non riguardano nè i corridori nè lo staff, io so­no stato sempre trattato al me­glio e non mi è mai mancato nulla».
Alla Clasica de Almeria la pri­ma vittoria da professionista.
«Ho vinto al colpo di reni su Rojas. La prima cosa a cui ho pensato è stata “ecco, mi ha fregato!”. Nell’in­de­cisione del risultato ho alzato le mani, mi dicevo “al massimo le alzo per niente, quand’è che mi ricapita...”. Lì per lì non ci credevo, nei dieci minuti in cui i giudici guardavano il photofinish volevo morire. Mi sembrava di aver vinto, ma visto che si trattava di millimetri mi ripetevo “vuoi vedere che so­no così sfortunato, che mi ha battuto proprio sulla linea? E ho anche alzato le braccia...”. Quando hanno ufficializzato che ero io il vincitore sono rimasto incredulo per almeno tre ore. Nella mia testa pensavo “ok mi hanno detto che ho vinto, ma sicuramente succede qualcosa per cui mi tolgono la vittoria” (sorride, ndr). Invece è andato tutto per il meglio e ho provato una grande emozione. È proprio bello vincere!».
Dall’ultima vittoria alla prossima. Quale corsa ti piacerebbe far tua?
«Qualsiasi gara va bene (sorride, ndr). Prossimamente prenderò parte alla Parigi-Roubaix, al GP de Denain, al Gi­ro di Turchia e poi alle corse del calendario francese. Ho in programma più corse di un giorno che corse a tappe, anche se sono un “diesel” quindi preferisco avere qualche giorno per ingranare, comunque cercherò di dare il massimo a ogni occasione. Non vedo l’ora di fare esperienza delle classiche del nord!».
Dopo il crack Geox, hai trovato un ingaggio alla Europcar.
«Non è stato bello trovarsi tutti spiazzati: a me alla fine è andata bene, mentre altri ragazzi purtroppo non hanno trovato un’alternativa. Io ho avuto la fortuna di ottenere un ingaggio per un anno in questa squadra in cui per ora mi trovo da dio. Sono arrivato senza sa­pere neanche una parola di francese e con la paura di rimanere un po’ isolato, invece i miei compagni sono stati i primi a coinvolgermi. Ormai faccio par­te integrante del gruppo e mi diverto anche parecchio. Anche uno come Voeckler, tanto per fare un esempio, a tavola non fa attenzione al grammo di più o in meno di pane, e alla sera una birretta se la concede. Chiaramente agli appuntamenti importanti sarà molto più attento anche all’alimentazione, ma in generale si prende meno sul serio di altri campioni. Insomma nella Euro­p­car ho trovato un po’ meno pasta in bianco e un po’ più di vita normale. Un’altra mia paura quest’inverno era la difficoltà di essere seguito a distanza, ma il team anche da questo punto di vista mi ha rassicurato e si sta dimostrando molto professionale. Tutto è pianificato per tempo e nulla è lasciato al caso. Da quest’anno per la preparazione mi affido al Centro Mapei di Ca­stellanza e posso dire che non sono mai stato tranquillo come adesso».
Che rapporto hai con Malacarne, l’unico altro italiano della squadra?
«Davide mi ha aiutato molto nel pri­mo periodo in cui non riuscivo a spiaccicare una parola di francese. Se non ci fosse stato lui a darmi una mano, avrei fatto molta più fatica a integrarmi, quin­­di colgo l’occasione per ringraziarlo. Dal punto di vista atletico secondo me può fare molto bene quest’anno. In ritiro staccava tutti, anche i capitani. La squadra punta molto su di lui e per come sta andando, sono sicuro che nei prossimi mesi potrà togliersi delle belle soddisfazioni. Almeno per la prima me­tà di stagione abbiamo programmi molto diversi, lui sarà al via del Tour, ma saremo uno a fianco all’altro al Campionato Italiano e a qualche altra gara più in là».
Quali sono le tue ambizioni per quest’anno?
«Vincere, perché ci vuole davvero (sorride, ndr). Quante gare? Iniziamo con una perché arrivare primo non è mai facile, poi conquistata la prima, possiamo pensare alla seconda, alla terza e così via. Già essere tra i migliori negli sprint, costante tutto l’anno, per me sarebbe una bella dimostrazione».
Un momento chiave della tua vita e della tua carriera è stato l’incidente occorso a Marina, il 1° luglio del 2010 a Lecco, mentre vi stavate allenando insieme.
«Una macchina uscita da una strada laterale l’ha presa in pieno. Ho vissuto attimi di terrore, che non potrò mai dimenticare (Marina a quasi due anni dall’incidente è costretta su una sedia a rotelle, ndr). Quando è successo questo maledetto incidente ho sofferto mol­to. Volevo assolutamente smettere di andare in bici, dall’istante dell’impatto avevo chiuso con il ciclismo, il gioco era finito su quella strada, ma Ma­rina mi ha convinto a tornare. Lei ha insistito molto, io ho ripreso a pedalare ma davvero controvoglia. Il primo periodo avevo paura della mia ombra, non avevo timore di cadere, cadere è normale in questo sport, ma avevo paura di farmi male anch’io. Ero ancora dilettante e pensavo “lei sta passando un periodo orribile, perchè devo darle una preoccupazione in più?”. D’altro canto volevo vincere, per lei, per renderla felice. Quello che abbiamo vissuto è difficile da spiegare, poi è ar­rivato il passaggio con la Geox e la vittoria in Almeria che non potevo che de­dicare a lei. Il regalo più bello che le ho fatto».
Cosa pensi ora quando sei in bici?
«Il ciclismo è il mio lavoro quindi devo superare le mie paure, ma va detto che, come qualsiasi altro corridore, ogni mattina esco di casa per allenarmi e non so se ci tornerò intero. Non voglio essere allarmista ma sulle nostre strade ormai è una vera guerra con gli automobilisti. Ogni settimana capita l’oc­ca­sione in cui mi trovo a pensare: “cavolo, anche stavolta è andata bene, meno male che non mi ha preso”. Per chi esce in bici ogni tanto questa situazione può andare anche bene, per chi co­me noi è sulla strada ogni giorno il ri­schio è altissimo. La mia paura più grossa è allenarmi in strada. Da quando è successo l’incidente di Marina sto molto attento e mi è rimasta la paura delle macchine, in gara per fortuna ne avverto molta meno».
Dai la colpa di quanto successo alla bici, ma questo sport ti ha anche dato molto.
«E mi è servito anche in questa situazione difficile. Essere abituato a fare sacrifici come quelli che comporta il ci­clismo mi ha aiutato a crescere in fretta. Fin da quando si è piccoli questa disciplina dà delle responsabilità, insegna a mettersi in gioco, a fare rinunce, a diventare uomo. Pedalando si diventa grandi in fretta e questo aiuta nella vita».
Visto quello che hai passato, consiglieresti a un bambino di praticare questo sport?
«Nonostante tutto non sconsiglierei questo sport a nessuno però direi a chiunque di prendere tutte le precauzioni possibili per evitare qualsiasi rischio evitabile. Noi ciclisti abbiamo solo una protezione: il casco. Va mes­so, non ci sono storie che tengano. Seconda cosa: in strada bisogna essere concentrati. Quando si è in bici non ci si può distrarre pensando alla morosa, agli impegni che si hanno dopo gli allenamenti o a qualsiasi altra cosa. Io sono un corridore quindi sono dalla parte di chi pedala e pretendo più rispetto da chi è al volante, ma noi atleti dobbiamo essere i primi a stare lontani dai pericoli. Tra bi­ci e automobili servirebbe davvero maggiore rispetto reciproco».
Chi ti supporta nella tua professione?
«Marina mi sta molto vicino, come ov­viamente i miei genitori che non hanno la possibilità di venire a vedermi spesso alle corse per motivi di lavoro (papà lavora per un’impresa edile in Svizzera, mamma è operaia in un’azien­da vicina a casa), ma sono sempre dalla mia par­te. Poi gli amici di sempre, quelli di una vita, i più conosciuti proprio grazie al ciclismo».
Cosa speri per il tuo futuro?
«Intanto di continuare ad avere una professione (scherza, ndr). Spero di rinnovare il contratto con la Europcar, di ottenere dei buoni risultati e perchè no di vincere una corsa importante. Questi sono gli obiettivi, ma non sono uno che si assilla troppo. Ci tengo a far bene, ma so che nella vita non c’è solo il ciclismo. Per quanto riguarda il privato non ho ancora progetti a lungo termine. Il ciclismo con le gare in giro per il mondo non porta via solo una fetta della nostra vita, ma l’impegna quasi tutta. Soprattutto dopo quello che mi è capitato vivo alla giornata, credo sia il modo migliore».

di Giulia De Maio, da tuttoBICI di aprile
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COMMENTI
Un grandissimo augurio per Matteo.....
30 aprile 2012 15:32 Bartoli64
... e, se possibile, uno ancor più grande per Marina.
DUE BRAVISSIMI RAGAZZI!!

Bartoli64

Europcar
30 aprile 2012 16:18 ale63
Resta in Francia nel Team della Vandea di Bernadeau! E' una grande famiglia! Ottima la tua scelta! Ale

Bartoli64
30 aprile 2012 16:19 Fra74
..mi hai anticipato...un GROSSISSIMO IN BOCCA AL LUPO ad ENTRAMBI, due splendidi ragazzi, due realtà di vera UMANITA'...due ESEMPI!
Francesco Conti.

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