BRAMBILLA. «Un Giro di emozioni»

| 23/07/2011 | 08:53
Gianluca Brambilla sta crescendo. Quando ha mosso le sue prime pedalate era così piccolo che gli hanno dovuto fare un telaio su misura «che andasse bene con le ruote da 28 pollici». Faceva tanta fatica a tenere le ruote degli altri bambini perché all’epoca la differenza tra il suo fisico e quello dei suoi coetanei era mol­ta. Era mingherlino, quindi penalizzato dai tipici percorsi lineari su cui ogni domenica i giovanissimi battagliano. Già allora però, quando la strada cominciava a salire il piccolo e minuto Gianluca ave­va l’impressione che il ciclismo non era poi così sbagliato per lui. L’attuale portacolori della Colnago CSF, nonostante le difficoltà incontrate nelle categorie minori, ha tenuto duro e, anche alla luce di quanto ha dimostrato all’ultimo Giro d’Italia, ha proprio fatto bene a insistere.
Nella corsa rosa ha fatto vedere, che ol­tre ad essere cresciuto fisicamente (oggi 170 cm per 58 kg, ndr), ha il carattere e la forza per lottare coi migliori. È stato l’unico giovane italiano a riuscire a tenere testa agli uomini di classifica nella ter­za settimana, stupendo se stesso e accendendo una speranza azzurra per le corse a tappe dei prossimi anni.
Come giudichi il tuo primo Giro?
«Sono molto soddisfatto. Ho saputo che l’avrei corso solo pochi giorni prima del via da Torino, quindi non ero al top della condizione. Alla vigilia ero emozionato, ma anche un pochino intimorito di fare brutta figura. Non sapevo come avrei reagito a uno sforzo così impegnativo, ma giorno dopo giorno è andata benissimo. Ho preso parte a diverse azioni e indossato per quattro giorni (tre da titolare, ndr) la maglia verde. L’ultima settimana andavo ancora forte, merito anche del supporto del pubblico del Giro che iniziava a riconoscermi. È stato un ottimo debutto».
Qual è stato il momento più difficile?
«Senza dubbio la tappa del Gardeccia, in cui ho avuto seriamente paura di tornare a casa. Il giorno prima ero stato in fuga quasi per l’intera frazione, ero davvero cotto. Ho chiuso con un ritardo di 47’, ma l’importante è stato restare in gara. Al diesse Giuseppe Lanzoni che guidava la seconda ammiraglia della Colnago, quando sono arrivato in cima al Fedaia, scherzando, ho detto: “Lanzo, ho visto la Madonna di Fa­tima”. Sono fatto così: an­che nella crisi più nera non mollo e cerco la battuta. I momenti duri della vita sono altri. Ho fatto sì tanta fatica, ma non c’era motivo per non sorridere».
E il più bello?
«Sempre un momento di fatica. Sul Colle delle Finestre, ero a tutta, ma coi migliori. Sul finale purtroppo mi sono staccato, ma percorrere una salita mitica, attorniato dal pubblico in delirio, per di più lì da­vanti, è stato qualcosa di indescrivibile»
Sei andato in fuga nella tappa dello Zon­co­lan. Temerario o incoscente?
 «Eh, diciamo che non l’avevo mai provato e in tv sembrava duro, ma non così tanto. A parte gli scherzi, ho cercato la fuga per mettermi in mostra e perché nella vita non si sa mai. Anticipato lo Zon­colan, annullato il Crostis, quasi quasi io e gli altri fuggitivi arrivavamo... Il gruppo ci ha ripresi ai meno 5 km dall’arrivo. Lo Zoncolan è micidiale, l’ho iniziato con un buon passo, ma a un cer­to punto mi sono piantato. A farmi il tifo in salita quel giorno c’era anche la mia ragazza Cristina, ma prima del triangolo rosso, dove era lei, ero già in piena crisi».
Cosa non dimenticherai facilmente?
«Mi rimarrà impressa la gente sulle strade. Non avevo idea che potesse esistere un tifo del genere! Mi porterò dietro per sempre l’immagine del muro di folla sul Colle delle Finestre e nella cronoscalata del Nevegal. Non avevo mai vissuto da vicino qualcosa del genere».
Finora sei appagato dalla tua stagione?
«L’obiettivo numero uno era il Giro: è mancata una vittoria di tappa, ma ho corso alla garibaldina, facendo vedere le mie doti di resistenza e facendomi conoscere. Il finale in crescendo fa ben sperare per il futuro, se mi preparo bene nei prossimi anni potrei ambire a qualche tappa e a competere in salita coi più for­ti. Finito il Giro, a differenza di alcuni miei colleghi, non sono andato al mare, ma ho continuato ad allenarmi. Al Brixia Tour sarò pronto».
Al secondo anno tra i professionisti vanti una vittoria e una partecipazione al Giro. Non c’è male...
«Direi di sì. La stagione 2010 è iniziata all’insegna della sfortuna, prima mi sono ammalato della famosa “influenza suina” e poi dopo il debutto al Gp In­su­bria e a Lugano sono stato costretto a stare fermo per una tendinite al gi­nocchio destro. Nonostante ciò, il 19 giugno, alla quarta corsa da professionista, sotto un diluvio universale, è ar­rivato il mio primo successo nella massima categoria, (al Gp Nobili - Coppa Papà Carlo), e a seguire tante altre sod­disfazioni al Melinda e al Giro dell’E­mi­lia. Sono soddisfatto sia per i risultati raccolti, sia per il contributo che ho dato alla squadra».
Che corridore sei?
«Sono uno scalatore, ma posso fare bene anche negli arrivi di gruppetti ri­stretti. Mi gioco le mie carte ogni volta che è possibile, ma mi metto volentieri al servizio dei miei compagni più in forma. Da dilettante ho imparato a correre così, combattivo e generoso, anche perché non si può pretendere di essere competitivi tutto l’anno».
Hai un soprannome?
«Valgono le abbreviazioni Gian o Bram­bi?».
Un portafortuna?
«No, fortunatamente non sono scaramantico».
Tatuaggi?
«No, ma fino a qualche anno fa avevo l’orecchino. L’avevo fatto a 7 anni, quan­do a mia sorella per la comunione avevano regalato un paio di orecchini, l’avevo accompagnata a “fare i buchi” e già che c’ero... Da dilettante però Lu­cia­no Rui, ds della Zalf Désirée Fior, mi ha obbligato a toglierlo».
Segno zodiacale?
«Leone».
Raccontaci da dove arrivi.
«Sono nato a Bellano (Lecco), ma da quando sono piccolo vivo a Tezze sul Brenta, in provincia di Vicenza, dove la mia famiglia si è trasferita per esigenze di lavoro. Abito con mamma Patrizia, casalinga, papà Riccardo, consulente finanziario, e mia sorella Isabel, che ha un anno più di me e per lavoro è spesso via. Fa l’impiegata e gira il mon­do più del sottoscritto: è stata tre anni in Au­stra­lia e tra poco parte per il Canada».
Cosa fai nella vita, a parte pedalare?  
«Sono un ragazzo semplice, alla mano, che fa le cose che ama fare qualsiasi ragazzo di ventitré anni. Mi piace stare con gli amici, giocare coi videogiochi, andare al cinema, portare a spasso il mio rottweiler Schwarz».
Segui altri sport?
«I motori, adoro quel fenomeno di Valentino Rossi. Il calcio, invece, non lo reggo».
Titolo di studio?
«Sono diplomato in ragioneria. Mi sa­rebbe piaciuto proseguire gli studi, ma dopo le superiori li ho abbandonati per provare a far qualcosa di buono in bici. Da un lato è stato un peccato rinunciare all’università, sarebbe stato interessante frequentare una facoltà tipo fisioterapia o scienze motorie, qualcosa sempre legato allo sport per intenderci, ma il ciclismo mi sta dando tante soddisfazioni».
Come ti sei avvicinato al ciclismo?
«Ho iniziato a correre all’età di dieci anni, da G4 con l’UC Romano, quando decisi di smettere di correre dietro a un pallone e con una piccola biciclettina rossa trovata nella soffitta di un negozio di bici iniziai a pedalare».
Chi ti supporta nella tua professione?
 «La mia famiglia, soprattutto la mam­ma che alle tre passate - quando torno dagli allenamenti - mi lascia sempre la tavola apparecchiata e qualcosa di buo­no da mangiare. Sono tante le persone che devo ringraziare per dove sono ar­rivato, ma il grazie più sentito va ai miei genitori che quando ero più piccolo hanno fatto tanti sacrifici per portarmi alle gare, anche se non ero un fenomeno, e mi hanno aiutato a tener duro quando le “prendevo” dai ragazzini più forti».
Al Giro abbiamo conosciuto lo slogan “Tut­ti pazzi per Pirazzi”. I tuoi tifosi come ti incitano?
«Non hanno ancora partorito nessuna frase ad effetto, dirò loro di lavorarci».
Il tuo idolo sportivo quando eri un bambino?
«Marco Pantani. Quando scattava lui, io scattavo sul divano».
Un collega che stimi?
«Ce ne sono tanti da prendere ad esem­pio, ma se devo fare un nome dico Contador. Al Giro ha dimostrato di es­sere il più forte di tutti e di essere uma­no. Quasi tutte le tappe le ha decise lui, vincendo o lasciando vincere qualcun’altro».
In gruppo c’è un altro Brambilla, Giorgio della De Rosa Ceramica Flaminia, con cui ogni tanto ti confondono.
«Sì (sorride, ndr), pensa che l’anno scor­so a Donoratico, nell’ordine d’ar­ri­vo avevano messo “Brambilla G.” per indicare il piazzamento di Giorgio. Diversi amici mi hanno chiamato facendomi i complimenti, convinti che fossi io. Mi hanno detto frasi del tipo: “Ca­voli, alla prima gara ti sei già piazzato”. “Cos’è, ora vai forte anche in volata?”. Ho dovuto spiegare loro che il “Brambilla G.” in questione non ero io, che non ero diventato un velocista e che quel giorno ero a casa e non in gara».
Nel 2009 hai vinto l’Oscar tuttoBICI, che ricordo hai della Notte degli Oscar?
«La premiazione alla Gran Guardia di Verona mi era piaciuta tantissimo, ero ancora dilettante ed era la prima volta che vedevo da vicino campioni come Bugno, Cunego, Basso... L’Oscar ora è in cucina, in bella vista».
Sei cresciuto nella Zalf Désirée Fior. Da questo team dilettantistico l’anno prossimo arriveranno nella Colnago due ragazzi promettenti come Colbrelli e Battaglin. Li conosci?
«Molto bene. Mi alleno spesso con lo­ro e gli altri ragazzi della Zalf. Penso che Sonny ed Enrico abbiano dimostrato di essere due ottimi corridori, vedremo come affronteranno il salto di categoria».
La tua gara dei sogni?
 «Il giro d’Italia, ma nel nostro paese ci sono tantissime belle corse: il Giro di Lom­bar­dia, il Giro dell’Emilia... Al­l’estero a oggi ne ho testate poco. Le classiche da vedere in tv sono bellissime, ma da correre immagino siano tut­ta un’altra co­sa. Sarebbe bello prendervi parte e ve­dere dove posso arrivare sul pavé».
L’obiettivo da centrare entro l’anno?
«Una vittoria, come l’anno scorso».
Entro i prossimi cinque?
«Una tappa al Giro e, perché no, anche più di una».
E “da grande” come ti vedi?
 «Spero di diventare un professionista di buon livello, che è in grado di giocarsi le sue carte sia nelle corse di un giorno, che in quelle a tappe».
Sposato e con figli?
«Sì, ma non c’è fretta. Come tutti per il futuro mi auguro di avere una bella famiglia, ma a differenza di alcuni coetanei al momento non ci penso ancora. Corro sì, ma solo in bici».

da tuttoBICI di luglio
a firma di Giulia De Maio

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